lunedì 26 maggio 2014
Carisma weberiano o bonapartismo postmoderno?
Giusta la precisazione di Emilio Gentile nel suo riferimento al tempo presente e nonostante la perfidia dell'accostamento tra Mussolini e Togliatti. Per quanto riguarda quest'ultimo, però, rimuove il fatto che il carisma del Segretario Generale nella tradizione comunista è in realtà in primo luogo il carisma della Ragione incarnata, solo secondariamente è una virtù personale [SGA].
L’esercizio del potere
Devoti al capo carismatico
In
Italia c'è oggi un abuso del concetto: i leader di massa seguiti con
dedizione furono il duce e Togliatti. E, in potenza, Nenni
di Emilio Gentile Il Sole Domenica 25.5.14
Circa un secolo fa, il sociologo Max Weber coniò il concetto di carisma
per definire una peculiare forma di potere politico, il potere
carismatico, che ha origine da una persona ritenuta in possesso di doti
straordinarie da parte di coloro che lo scelgono come capo, e lo seguono
con entusiasmo e dedizione perché lo considerano investito di una
missione.
Carisma in greco significa 'grazia'. Se consideriamo la
frequenza con la quale questo termine è stato attribuito a vari politici
italiani nell'ultimo ventennio - da Di Pietro a Berlusconi, da Bossi a
Grillo, da D'Alema a Renzi - si dovrebbe concludere che l'Italia è un
Paese pieno di grazia carismatica. Che ci siano tanti capi carismatici
può essere una conseguenza della personalizzazione della politica
italiana, derivata dallo sbriciolamento dei partiti di massa, sostituiti
da partiti personali o padronali. In realtà, la personalizzazione della
politica è stata costante nella storia dell'Italia unita, ma nel secolo
scorso i leader carismatici non erano frequenti. Basti pensare ai
presidenti del Consiglio che hanno governato più a lungo nell'Italia
monarchica, come Depretis, Crispi, Giolitti: nessuno, tranne forse
Crispi per qualche tempo, fu considerato un leader carismatico.
Poi ci
fu per un ventennio il dominio carismatico di Mussolini, che ebbe
origine da peculiari doti personali di oratore e di giornalista, e fu
istituzionalizzato nel regime totalitario fascista con il culto del
duce. Nella storia del ventesimo secolo, il carisma mussoliniano è stato
un fenomeno singolare e per certi aspetti unico. Infatti, a Mussolini
furono attribuite doti di leader carismatico molto prima del fascismo,
fin dal 1912, quando a ventinove anni balzò sulla scena nazionale come
leader del partito socialista. Il Mussolini socialista perse il carisma
nel 1914 perché, convertito all'interventismo, fu considerato un
traditore dalle masse socialiste. Dopo la Grande Guerra, Mussolini
dovette faticare anche nel movimento dei Fasci, da lui fondato nel 1919,
per essere riconosciuto leader carismatico: infatti, nell'estate del
1921 i capi dello squadrismo si ribellarono contro di lui perché aveva
fatto la pace con i socialisti e voleva smilitarizzare il fascismo. Il
carisma del Mussolini duce fu accettato definitivamente solo dopo
l'instaurazione del regime a partito unico nel 1926.
Da allora, fino
alla vigilia del 25 luglio 1943, Mussolini fu esaltato come duce
supremo, che incarnava la missione fascista di creare un'Italia
imperiale e una nuova civiltà. Il culto del duce divenne un modello per
esperienze analoghe non solo nei regimi fascisti o parafascisti, ma
anche nella Russia sovietica, dove l'istituzione del culto di Stalin
avvenne nel 1929, affiancandosi al culto di Lenin, istituito nel 1924
dopo la morte del leader carismatico del bolscevismo.
Caduto il fascismo
e abolita la monarchia, nell'Italia repubblicana i partiti antifascisti
esorcizzarono il mito del carisma mussoliniano, ma i nuovi partiti di
massa, la Democrazia cristiana, il Partito socialista e il Partito
comunista, non si sottrassero all'influenza dell'esperienza carismatica
come fenomeno di aggregazione e di mobilitazione collettiva. Tuttavia,
non tutti i leader dei tre partiti furono carismatici. Non lo fu De
Gasperi, anche se per un decennio fu il leader della Democrazia
cristiana e per sei anni ebbe autorevolmente la guida del governo
italiano nella fase più ardua della ricostruzione dell'Italia. Del
resto, difficilmente poteva diventare carismatico il leader di un
partito che aveva già una suprema guida carismatica nella figura del
pontefice. E poco di carismatico aveva la personalità di De Gasperi, un
«uomo vestito di grigio, con i suoi occhi grigi così poco cesarei, col
suo volto di pietra, grigio anch'esso», come lo descrisse Montanelli nel
1949. De Gasperi era un leader che suscitava rispetto ma non entusiasmo
e dedizione carismatica negli altri dirigenti e nella massa
democristiana.
Il leader socialista Nenni aveva doti potenzialmente
carismatiche, come la fede nella missione rivoluzionaria del socialismo,
il fascino oratorio, l'efficace stile giornalistico che suscitavano
entusiasmo nelle masse, ma non riuscì a unire nella dedizione alla sua
persona un partito afflitto da scissione cronica. Solo Palmiro
Togliatti, leader del Partito comunista fin dal suo rientro in Italia
dalla Russia nel 1944, divenne un capo carismatico per la massa dei
militanti del suo partito, anche se non tutti gli altri dirigenti
comunisti accettarono senza discussione la sua leadership. Alla
costruzione del carisma di Togliatti contribuirono il mito di Stalin,
dell'Unione sovietica e della rivoluzione bolscevica, la struttura
rigidamente unitaria e centralizzata del partito comunista, e la
trasfigurazione mitica di Antonio Gramsci come "grande italiano",
avvenuta nel 1947, nel decennale della sua morte. Nei manifesti del Pci,
l'immagine di Gramsci appariva accanto a quella di Togliatti, anch'egli
"grande italiano", il compagno fedele e il migliore erede del leader
sardo, morto prigioniero del fascismo.
Il carisma di Togliatti fu
consacrato con un culto della personalità iniziato fin dal 1945 e
intensificato dopo l'attentato da lui subito nel 1948, soprattutto con
la celebrazione del suo sessantesimo compleanno nel 1953, anno della
morte di Stalin. In quello stesso anno, tramontò definitivamente la
leadership di partito e di governo di De Gasperi, "uomo solo", che
moriva l'anno dopo. Intanto Nenni continuava a essere il leader
prestigioso di un partito che, oscillando fra riformismo e massimalismo,
non riusciva a scegliere la strada per compiere la sua missione,
rimanendo vincolato al patto di unità d'azione col più forte e
carismatico Partito comunista.
A metà degli anni cinquanta, l'Italia
entrava in una nuova fase del suo travagliato cammino verso la
realizzazione di una democrazia di cittadini liberi e eguali davanti
alla legge, dotati tutti di pari dignità, che scelgono liberamente il
loro destino senza lasciarlo decidere ai capi carismatici.
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