Un poliziotto della Repubblica popolare cinese, bruciato vivo e impiccato dai "pacifici dimostranti democratici", poco prima che l'esercito intervenisse per fermare il tentativo di colpo di Stato a Pechino.
Gli storici hanno ormai a disposizione materiali che Repubblica e il Corriere sembrano ignorare in favore delle veline del Dipartimento di Stato. Persino il reportage di Pifferi, sebbene rispolverato in funzione anticinese dal Giornale, dimostra l'attenzione e la cautela delle autorità [SGA].
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il «35 Maggio» e l’Anniversario oscurato Cina, Tienanmen cancellata anche online
di Guido Santevecchi Corsera 9.5.14
Gao
Yu, una brava giornalista cinese dissidente che scrive per l’edizione
online dell’emittente tedesca Deutsche Welle , era scomparsa il 23
aprile. Era in viaggio da Pechino a Hong Kong per partecipare a un
dibattito su un fatto che in Cina non si può nominare: la repressione
del 4 giugno 1989 sulla Tienanmen, con centinaia di morti. Una ferita
che la coscienza del potere cinese non ha voluto curare e ancora oggi, a
pochi giorni dal 25° anniversario cerca di (far) ignorare. Qualunque
ricerca su Internet con le parole tabù come «4 giugno», «Tienanmen
1989», viene respinta. La censura è pronta a cancellare ogni accenno sui
social network. I blogger ne inventano sempre di nuovi: il più popolare
è «35 maggio», una data inesistente, come quel 4 giugno.
Gao Yu,
che era stata arrestata la prima volta il 3 giugno del 1989 e detenuta
per 450 giorni, era finita in carcere di nuovo nel 1994 per un articolo
sgradito in materia di politica economica: altri 5 anni in prigione. Nel
1997 l’Unesco le assegnò il premio per la libertà di stampa. Pechino
reagì minacciando di cacciare l’agenzia Onu dalla Cina.
Gao Yu ora
ha 70 anni ed è ricomparsa ieri in tv, in tuta arancione da detenuta,
mentre confessava la sua colpa: diffusione di segreti di Stato. L’anno
scorso aveva mandato alla Deutsche Welle un articolo in cui descriveva
il Documento n. 9 del partito comunista, con la chiusura completa sulla
diffusione di valori come la democrazia occidentale, la società civile,
la libertà di stampa. Il suo nuovo arresto e l’esibizione in tv
dimostrano che il governo non intende lasciare alcuno spazio a chi
vorrebbe commemorare i 25 anni della strage.
La settimana scorsa a
Pechino la polizia ha sorpreso alcuni intellettuali e attivisti dei
diritti civili riuniti in una casa: sono stati arrestati per turbamento
dell’ordine pubblico. Tra di loro l’avvocato Pu Zhiqiang.
Ieri la
stampa di regime ha commentato: «L’avvocato conosce la legge, dovrebbe
sapere che va rispettata». Naturalmente il motivo della riunione (il 35
maggio) non è stato citato.
Prima la pioggia, poi 36 gradi. Ma i ragazzi sono sempre qui
Dalla legge marziale all'antivigilia del massacro. Ecco la vita degli studenti di Pechino accampati nella piazza Tienanmen
Enzo Pifferi - il Giornale
Gio, 15/05/2014
Fabbriche in fiamme e proteste Il Vietnam si ribella a PechinoRivolta anti-cinese per una piattaforma petrolifera nelle isole contesedi Ilaria Maria Sala La Stampa 15.5.14
qui
Il popolo della piazzadi Thomas L. Friedman Repubblica 15.5.14
HANOI (VIETNAM). PENSO proprio che inizierò a viaggiare più spesso da Kiev a Hanoi. È soltanto quando hai la possibilità di recarti in due luoghi apparentemente così tanto privi di connessione alcuna che ti rendi conto davvero dei big trend. E uno dei big trend di cui mi sono accorto è l’affermarsi del “Popolo della Piazza”.
Nel 2004 il politologo di Harvard Samuel Huntington parlò di una “superclasse” globale che si andava affermando, quella degli “Uomini di Davos”. Si riferiva a chi prendeva parte al Forum economico mondiale di Davos: un’élite transnazionale e cosmopolita, formata da appartenenti al mondo dell’hitech, della finanza, delle multinazionali, del mondo accademico e delle Ong. Gli Uomini di Davos avevano “scarso bisogno di lealtà nazionale” e più in comune tra loro dei loro concittadini, sosteneva Huntington. Oltretutto, avevano anche le competenze giuste per trarre beneficio in modo sproporzionato dalla nuova globalizzazione dei mercati e dal diffondersi delle tecnologie dell’informazione.
Beh, a distanza di dieci anni, mentre la rivoluzione dell’Information Technology e la globalizzazione sono state democratizzate e si sono espanse, e siamo passati dai laptop per le élite agli smartphone per tutti, dai network per i pochi fortunati di Davos a Facebook per tutti, e dai ricchi che potevano parlare dalle stanze del potere in esclusiva, a chiunque oggi può rispondere su Twitter ai propri leader - sta vedendo la luce una nuova forza politica globale, più grande e più importante degli Uomini di Davos. Io la chiamo il Popolo della Piazza.
È formato per lo più da giovani, che aspirano a standard di vita migliori e a una maggiore libertà, che perseguono le riforme o la rivoluzione (a seconda del governo che si ritrovano), e sono collegati gli uni agli altri dal fatto di ammassarsi nelle piazze o ritrovarsi in massa in qualche piazza virtuale o in entrambe, e sono uniti più da una direzione comune nella quale vorrebbero avviare le loro società che da un programma comune. Questo Popolo ormai l’abbiamo visto nelle piazze di Tunisi, del Cairo, di Istanbul, Nuova Delhi, Damasco, Tripoli, Beirut, Sana’a, Teheran, Mosca, Rio, Tel Aviv, e Kiev, come pure nelle piazze virtuali di Arabia Saudita, Cina e Vietnam.
Questi tre ultimi paesi hanno un numero insolitamente grande di utenti di Facebook, Twitter o YouTube, o dei loro equivalenti cinesi, che complessivamente formano una piazza virtuale nella quale ritrovarsi, entrare in contatto, promuovere il cambiamento, e sfidare l’autorità. Il blogger più popolare in Vietnam, Nguyen Quang Lap, ha più follower di qualsiasi giornale governativo qui a Hanoi. In Arabia Saudita uno degli hashtag più popolari di Twitter è #If I met the King I would tell him (se incontro il re, glielo dico).
Ma il Popolo della Piazza non sta soltanto addensando le sue file e appropriandosi di sempre maggior potere. “Il nostro obbiettivo è che entro tre anni ogni vietnamita possegga uno smartphone” mi ha detto Nguyen Manh Hung, a capo del Viettel Group, una società di telecomunicazioni vietnamita. “Stiamo mettendo a punto uno smartphone che costi meno di 40 dollari, ma il nostro obbiettivo è scendere sotto i 35. Facciamo pagare due dollari al mese per internet, per la connessione a un pc, e 2,50 per i servizi voice da smartphone”. Dato che i media vietnamiti sono soggetti a una rigida censura, non è un caso se 22 su 90 milioni di vietnamiti hanno una pagina Facebook. Soltanto due anni fa erano otto milioni. Il Vietnam ha centomila giovani che studiano all’estero: dieci anni fa erano un decimo. E sono tutti Popolo della Piazza del futuro.
Certo, il Popolo della Piazza rappresenta politiche diverse, compresi i Fratelli musulmani in Egitto e gli ultranazionalisti a Kiev. Ma il trend dominante che pervade tutti loro è uno solo: “Adesso abbiamo gli strumenti per vedere come vivono tutti gli altri, comprese le opportunità che ci sono all’estero e quanto sono corrotti i nostri leader in patria. E non tollereremo all’infinito di vivere in un posto nel quale non possiamo realizzare il nostro pieno potenziale. Oltretutto, adesso abbiamo gli strumenti per partecipare e fare qualcosa in proposito”.
Come dice un esperto vietnamita di politica estera, in un modo o in un altro il Popolo della Piazza “chiede un nuovo contratto sociale” con la vecchia guardia che ha dominato la politica. “La gente vuole fare sentire la propria voce in ogni dibattito importante”, per non parlare della richiesta di scuole migliori, strade e legalità. Il Popolo della Piazza fa anche presto a instaurare paragoni con gli altri: “Perché quei thai escono a manifestare e noi non possiamo?”.
Il Popolo della Piazza in Ucraina vuole associarsi all’Unione europea non soltanto perché crede che essa sia la chiave per la prosperità, ma anche perché crede che le leggi europee, le norme giudiziarie, gli standard richiesti e il requisito della trasparenza forzeranno quei cambiamenti che vogliono a casa loro ma che non possono essere generati né dall’alto né dal basso. I riformisti vietnamiti vogliono per gli stessi motivi entrare a far parte del Partenariato transpacifico. A differenza degli Uomini di Davos, il Popolo della Piazza vuole sfruttare l’economia globale per riformare i propri paesi, non per innalzarsi sopra di essi.
A Hanoi ho tenuto un discorso sulla globalizzazione all’università. Poi ho chiacchierato con Anh Nguyen, una giovane studentessa di 19 anni che mi ha rivolto alcune domande interessanti. La sua conversazione era inframezzata dalle espressioni tipiche della Piazza: “Sento di avere più potere… Penso che il Vietnam possa cambiare … Per favore racconti a tutto il mondo l’enorme caso di appropriazione indebita [in una società statale di spedizioni] portato alla luce qui. Prima la gente se ne sarebbe rimasta zitta, ma adesso è arrivata la sentenza con la condanna a morte dei responsabili. Questo ha stupito moltissimo la popolazione… Adesso non tutti i grossi boss si sentiranno protetti dal governo… Riceviamo molte informazioni da fonti diverse di tutto il mondo. E questo ci apre gli occhi”. Anh Nguyen ha aggiunto anche : “Rispetto ai miei genitori, sento di avere molte più possibilità di perseguire il mio pieno potenziale, ma non ancora quanto vorrei”. (Traduzione di Anna Bissanti)
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