sabato 10 maggio 2014

Massimo Cacciari, trombato all'ultimo conclave, pensa già al dopo Francesco: "Oltre il discorso, il percorso, vi è il fine e il senso del cammino, l’Agathon"

Nel labirinto, per cercare una via d’uscita verso Dio
di Gian Guido Vecchi Corsera 9.5.14


TORINO - «Vede, parlando del Papa c’è sempre il pericolo dell’acculturazione. Vengono così enfatizzati i tratti morali, culturali eccetera, che si rischia di perdere la dimensione essenziale, mistico-religiosa...». A pochi passi dal Cupolone vaticano colmo di libri su e di Bergoglio, Massimo Cacciari è arrivato al Salone per presentare Labirinto filosofico (Adelphi), quasi una summa del suo pensiero. 
Il tema è affine. Il labirinto filosofico non è un intrico confuso, scrive, né ha un centro come punto di arrivo. «Centro» è piuttosto l’inizio di ogni interrogazione e il labirinto è una rete «polidimensionale» nella quale ogni punto è il centro, «come nel multiverso di Giordano Bruno». Le vie che lo costituiscono sono «palintrope», spesso per avanzare tornano sui propri passi. Tutte, da Eraclito a Wittgenstein, sono contemporanee. E ciascun cammino, nel labirinto comune, «soffocherebbe» se non trovasse la propria uscita - non ne esiste una sola - verso «l’Aperto». È una riflessione vertiginosa che ritorna all’essenziale del fare filosofia, il senso dell’essente, la cosa in sé, lo thauma aristotelico di fronte al mondo che è insieme meraviglia e sgomento e insomma il mégiston máthema di Platone nel sesto libro della Repubblica , «l’oggetto della conoscenza più alta» senza la quale ogni altra è inutile: l’Agathon , quel Bene che si può tradurre anche come Eccedente, suggerisce Cacciari. La proposizione 7 del Tractatus di Wittgenstein, «Di ciò di cui non si può parlare, si deve tacere», viene rovesciata: «Di ciò di cui non si può tacere, si deve dire», scandisce. Perché «la filosofia non si esaurisce con il logos apofantico», la parola assertiva. «Non può farlo. Oltre il discorso, il percorso, vi è il fine e il senso del cammino, l’Agathon , che non è dicibile. Ma nel discorso lo puoi mostrare, indicare, ne devi far segno». 
L’Agathon è anche Dio? «Si può assumere benissimo una dimensione teologica, trascendente, ma non necessariamente. Questo è il punto. Io non dico: oltre il discorso c’è il mistico che è dominio del religioso. No! Io dico: la filosofia deve indicarlo». Francesco dice che «l’aura mistica non definisce mai i suoi bordi» ed elogia il «pensiero incompleto, aperto». La verità ci precede. Però c’è una differenza fondamentale, spiega il filosofo: «Lì parti da una Rivelazione che non è solo la domanda ma è già insieme la risposta, a meno di cessare di dirsi cristiano. Certo c’è la via, ciò che dice Francesco, il mistico come ultima dimensione della testimonianza cristiana, l’inafferrabilità dell’essenza divina. La verità devi sempre cercarla. Però sei assolutamente guidato da Chi afferma di sé, e tu lo credi, di essere la via, ma anche la verità e la vita». 
Si può comporre, questa differenza? «È bello e importante che si dialoghi. Ma no, non si può. O meglio, si potrà comporre solo escatologicamente, se e quando tutti vedremo faccia a faccia il Signore. Chi sente in sé quella voce, con certezza e speranza insieme, non ce l’ha per suo merito o perché l’abbia cercata discorsivamente, ma per Grazia». 

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