lunedì 26 maggio 2014

Lerner, Barenghi e altri spingono già Tachipirinas nelle braccia di Renzi

Ora Pd-Pse e Tsipras possono fare grandi cose insieme (anche in Italia)
Gad Lerner lunedì, 26 maggio 2014


I dati rilanciano la sinistra radicale

di Riccardo Barenghi La Stampa 26.5.14 

Se così fosse, se cioè la sinistra radicale superasse il 4 per cento dei voti si tratterebbe di una piccola grande novità. Intanto per coloro che di quella sinistra fanno parte e che l’hanno votata. Ma anche per il Pd di Matteo Renzi che forse (forse) potrebbe buttare un occhio alla sua sinistra e non più al centrodestra di Alfano. Spinto in questa direzione anche da quelli che nel suo partito hanno sempre guardato anche a sinistra.

Al momento in cui scriviamo, visto il suo trionfo, il Pd di Renzi potrebbe vincere le elezioni politiche senza dover ricorrere al ballottaggio. Ma per stare più tranquillo gli converrebbe forse aprire da subito un dialogo con la lista Tsipras. A due condizioni però: la prima è che venga approvato l’Italicum, prospettiva nient’affatto sicura. La seconda è che i voti del Pd e quelli di Tsipras siano sommabili, anche questa un’ipotesi tutta da verificare.

In ogni caso, se queste proiezioni venissero confermate, la sinistra radicale italiana potrebbe brindare alla sua sopravvivenza nel panorama politico. Che invece sarebbe messa in seria discussione se il quorum non venisse raggiunto con i dati della notte. In questo caso si tratterebbe di una pietra tombale su un esperienza politica nata con la fine del Pci, la nascita del Pds e la conseguente scissione di Rifondazione comunista. Più di vent’anni dopo, si chiuderebbe una storia senza che si intravvedano spiragli per aprirne un’altra. 
Ma la lista Tsipras per un’altra Europa, sponsorizzata da alcuni intellettuali tra cui Barbara Spinelli, Marco Revelli, Moni Ovadia, Andrea Camilleri, Guido Viale e Paolo Flores, e nella quale sono confluiti i pezzi sparsi della sinistra che non sta nel Pd, per ora riuscirebbe a raggiungere l’obiettivo. Il che darebbe una boccata d’ossigeno a quel mondo che in questi anni si è via via frantumato. Con Rifondazione finita nelle mani di un leader come Paolo Ferrero, così radicale da apparire minoritario.
E con un personaggio come Nichi Vendola che contro tutte le aspettative era riuscito, dopo aver lasciato la casa madre, a costruire un nuovo partito. Sempre di sinistra ma non settario, con in testa l’idea che il governo non è un tabù dal quale rifuggire. Tutt’altro. Con la sua Sel, Vendola ha lavorato per costruire un partito di sinistra pronto ad assumersi responsabilità di governo, pronto a scommettere sull’alleanza col Pd diretto da Pier Luigi Bersani, pronto infine a giocare la partita in prima persona mettendo in campo propri ministri in quel governo “del cambiamento” che poco più di un anno fa sembrava cosa fatta. Non è andata così. Bersani è arrivato primo ma ha perso, Vendola si è fermato al 3.2 per cento, e i suoi compagni sono entrati in Parlamento solo grazie al premio di maggioranza garantito dal Porcellum.
Da allora la parabola di Sel è andata via via scendendo. Ora però, sempre se quel 4 per cento fosse confermato, Renzi potrebbe essere interessato a chiamare Vendola per progettare un futuro politico-elettorale insieme. Magari consentendo allo stesso Vendola di riacquistare quei consensi perduti, quando i sondaggi attribuivano al suo partito addirittura il 7 per cento. 
Se allora fosse passato il treno delle elezioni, oggi forse avremmo un governo di centrosinistra legittimato dalle elezioni. Invece quel treno non è passato e Sel è stata costretta ad aspettare. In Parlamento ma contro il governo di larghe intese di Letta. In Parlamento ma contro il governo di piccole intese di Renzi. In Parlamento ma aspettando che il governo cadesse e che Renzi all’improvviso guardasse alla sua sinistra. Finora nulla di tutto questo è accaduto, un domani chissà. Anche se il gioco ormai è saldamente nelle mani del presidente del consiglio.


Nuova sinistra, primi duelli tra gli intellettuali e i partiti
Alleanze, un pezzo di Sel guarda al Pd. Revelli: “Mai”di Giuseppe Salvaggiulo La Stampa 27.5.14

Due mesi fa, aver raccolto 150 mila firme per presentarsi alle elezioni era già sembrato un mezzo miracolo. Ieri, alle sette del mattino dopo una notte d’ansia danzando sul filo del quorum, la certezza di aver superato per 8 mila voti lo sbarramento del 4% è stata salutata come un miracolo pieno. In valori assoluti, i 1.103.203 voti della lista «L’altra Europa con Tsipras» (che riuniva Sel, Rifondazione, pezzi di Rivoluzione civile e centinaia di associazioni impegnati contro l’austerity e la privatizzazione dei beni comuni) non sono trionfali. L’anno scorso Vendola ne aveva presi altrettanti e 765 mila la lista Ingroia: per entrambi si era gridato alla débâcle. Nel 2008 la famigerata Sinistra Arcobaleno ne aveva raccolti 120 mila in più e fu trattata come il generale Cadorna dopo Caporetto.
Oggi con meno voti la lista Tsipras festeggia tre eurodeputati (nel Nord Ovest Moni Ovadia farà posto a Curzio Maltese, al Centro e al Sud Barbara Spinelli dovrebbe far subentrare due esponenti di Sel e Rifondazione). La differenza non la fa solo la bassa affluenza alle urne che gonfia le percentuali. È questione di contesto: la lista è nata in modo improvvisato a ridosso della campagna elettorale, non senza contrasti tra, nei e con i partiti. Nel simbolo non compariva la parola «sinistra» ma il riferimento al leader greco Alexis Tsipras, pressoché sconosciuto in Italia. Pochi soldi: 220 mila euro, in gran parte raccolti sul web, in minima messi dai partiti. Un’impostazione programmatica alta, in una corrida segnata da toreri populisti. Scarsa visibilità ed efficacia mediatica. Marco Revelli, uno dei garanti, rivendica «uno straordinario successo nelle città: 9 per cento a Firenze e Bologna, 6 a Milano e Torino, 7 a Roma con punte superiori al 10 in alcuni quartieri. Sono i luoghi dove si concentra il ceto medio riflessivo, un’opinione pubblica molto informata perché bisognava avere molta voglia di informarsi per conoscere la nostra lista».
E ora, che fare? A livello europeo, i tre eletti entreranno nel gruppo che fa capo a Tsipras per «provare a scomporre le larghe intese Ppe-Pse». Più problematico il futuro italiano. «Negli incontri - racconta Revelli - l’applauso scattava quando dicevamo “non finiremo il 25 maggio”. Bisogna trovare una dimensione comune e permanente».
I garanti hanno esaurito il loro ruolo. Ma prima di congedarsi, lanceranno un appello ai cento comitati promotori della lista, per organizzare un’assemblea «fondativa» entro un mese da cui uscire con una struttura leggera ma non evanescente: un coordinamento nazionale e una rete che tenga uniti i fili locali. «Il modello Syriza è interessante - spiega Revelli -. La sinistra in Grecia una decina di anni fa era ridotta come quella italiana: piccole formazioni litigiose, inconcludenti, dogmatiche. Syriza nacque come una confederazione plurale, rompendo i recinti tradizionali. Poi c’è stata un’immersione sociale: i militanti fanno interventi capillari nei quartieri di Atene: elettricisti, idraulici, muratori in sostegno della popolazione impoverita. Alla prima prova nel 2004 Syriza prese il 3,3%, due anni dopo il 5, ora è primo partito».
Poi c’è il problema della linea politica. Una parte di Sel guarda a Renzi, Cuperlo lancia segnali di pace. Per Revelli si tratta di «un’impresa disperata, da ceto politico. Mai con questo Pd». L’anno prossimo si vota in dieci Regioni: rifare liste Tsipras autonome? Discutere col Pd? Liberi tutti? «Questo è un tema aperto - dice Guido Viale, un altro garante - con contraddizioni al nostro interno ma anche nei partiti. L’amalgama è lontano». E fa l’esempio del Piemonte: alle regionali Sel con Chiamparino, Rifondazione e i No Tav contro; alle europee tutti insieme.
Il caso è illuminante. A Torino, in provincia e in tutta la Regione il risultato è omogeneo: lista Tsipras molto meglio della somma dei partitini divisi. Teme «una vandea partitica» il giurista Ugo Mattei, promotore dell’appello con Rodotà e Zagrebelsky, a posteriori risultato decisivo. «Da soli, Sel e Rifondazione non avrebbero mai fatto il quorum. Se Barbara Spinelli si dimettesse, i partiti con due eletti su tre risulterebbero i principali beneficiari del nostro sforzo di rendere votabile una sinistra che non lo era più. Syriza è cresciuta perché non aveva il tappo della nomenclatura politica. Renzi si è sbarazzato della sua, e noi?».
Nei prossimi giorni il telefono di Barbara Spinelli squillerà molto, per chiederle di non defilarsi. Lei non ha sciolto tutti i dubbi, se alla domanda sulla rinuncia al seggio risponde così: «Penso di sì, ma aspetto la proclamazione».


Nichi plaude a Matteo e detta la linea: ora si guarda al Pd, non a Cinquestelle
Il risultato elettorale ridà forza a chi, nella sinistra confluita nella lista Tsipras, preferisce un dialogo con Renzi piuttosto che con Grillo. Le parole di Vendola divergono da quelle di Barbara SpinelliMariantonietta Colimberti 



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