giovedì 22 maggio 2014
Un altro stimato politologo che non riesce ad astenersi dal fare propaganda per il proprio partito
La malattia populista e la cura dei partiti
di Piero Ignazi Repubblica 22.5.14
L’URLO
, l’invettiva, il dileggio, non sono nuovi nella politica italiana. I
lazzi e le volgarità di Beppe Grillo affondano le loro radici in un
lontano passato, costellato di dannunziane insolenze verso l’avversario,
come il “Cagoia” affibbiato dal Vate al capo del governo Francesco
Saverio Nitti, o di quarantottesche denigrazioni popolate di
trinariciuti e servi sciocchi. Le espressioni grevi e tonitruanti del
leader grillino risuonano però anche d’altro, al di là dello scadimento
nel cabarettismo da angiporto: portano a galla una storia antica di
rabbia e di esclusione. È con questo filo rosso della nostra cultura
politica che dobbiamo fare i conti. Grillo è il sintomo di una malattia,
di un malessere profondo che è esploso ora, dopo aver scoppiettato qua e
là per molti anni. In fondo, se risaliamo ai primi decenni della
repubblica, le lotte sindacali e politiche della sinistra esprimevano
anche la protesta per un senso atavico di esclusione, una condizione che
larghi strati della popolazione sentivano come incombente e
ineluttabile. Poi la stagione dei movimenti, a sinistra (‘68 e autunno
caldo) e a destra (maggioranza silenziosa), ha dato sfogo alle
frustrazioni
generate da una società e un sistema politico bloccati. E in seguito è
esplosa anche la violenza politica. La società pacificata degli anni
Ottanta ci ha illuso. Sembrava che la politica si fosse incanalata lungo
i sentieri della tolleranza e del pragmatismo. Addio alle ideologie e
all’impegno totalizzante, via libera al Macondo, alla febbre del sabato
sera e, per finire, alla Milano da bere. Una stagione di abbagli. Dopo
vent’anni di illusionismi berlusconiani, di saghe celtiche e di
“rivoluzioni liberali” alle vongole, la grande crisi ha riproposto le
antiche diffidenze anti-sistemiche. Con una carica di disperazione e
aggressività enormemente accresciuta. Un quarto degli italiani che
d’improvviso vota una improbabile lista di neofiti della politica,
guidata da un trascinante show-man, attesta quanto fosse -e sia
-profondo il malessere nel nostro paese.
Ora, è normale e fisiologico
che i nuovi movimenti abbaino alla luna e si popolino di
acchiappanuvole. Non è però questo il metro per valutare oggi il M5S. È
molto più rile- vante individuare il grado di irriducibilità della
protesta che esprime. Quanto è spessa e dura la rabbia che i grillini
canalizzano nelle istituzioni? E soprattutto, quali rischi esistono che
questo sentimento non sfugga di mano e non prenda altre strade, ben più
pericolose e violente? Sono queste le domande fondamentali da porsi di
fronte al perdurare del fenomeno cinque-stelle. In altre parole, visto
che il M5S non si sgonfia, contrariamente a quanto molti sprovveduti
avevano pronosticato di fronte agli insuccessi alle varie competizioni
amministrative (per i distratti, ricordiamo che Forza Italia alle prime
competizioni locali non raggiunse nemmeno il 10%…), quale impatto
sistemico può avere un movimento di protesta di tali dimensioni?
Finora
i grillini hanno preferito autoghettizzarsi, ritirarsi sdegnosi sulla
montagna rifiutando ogni contatto, considerato di per se stesso
inquinante e corruttore: Bersani docet. Questo perché la logica
totalizzante -o noi, o loro -non prevede intese di alcun genere con “gli
altri”. I guru genovesi vogliono tutto il banco. Anzi, ce l’hanno già,
visto che Grillo dichiara nel salotto di Vespa (che si è ricordato, per
una volta di essere un giornalista) di avere in tasca già il 96% dei
consensi. A questo infantile delirio di onnipotenza va contrapposta la
razionalità della politica. Anzi, la sua “normalità”. Non certo per
avviare trattative con i parlamentari pentastellati, ma per evitare che
il popolo grillino venga rinchiuso dai suoi leader in un recinto. Il
malessere di una così larga parte dell’opinione pubblica che va
riportata nella politica, non lasciata incancrenire nel ghetto di una
opposizione assoluta. Gli elettori grillini costituiscono un magma
indistinto, e oscillano tra l’iconoclastia nei confronti del “sistema”,
come predicano i loro rappresentanti, e il semplice desiderio-bisogno di
una politica concreta, fattiva e pulita. La loro disaffezione verso
tutto quello che fin qui ha offerto la politica è comprensibile; e
questo sentimento ha trovato sfogo nel grido furioso e distruttivo di
Grillo. Spetta ai partiti democratici, e in primis al Pd, riportare
questo elettorato ad avere fiducia nella politica. Anche perché, nella
nostra storia nazionale, la fuga dalla politica ha preso scorciatoie
pericolose.
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