sabato 7 giugno 2014
Alla faccia di Heidegger: il padroneggiamento "metafisico" della tecnica nella Seconda guerra mondiale
Paul Kennedy: Engineers of Victory: The Problem Solvers, Random House
Risvolto
Paul Kennedy, award-winning author of The Rise and Fall of the Great Powers and one of today’s most renowned historians, now provides a new and unique look at how World War II was won. Engineers of Victory is
a fascinating nuts-and-bolts account of the strategic factors that led
to Allied victory. Kennedy reveals how the leaders’ grand strategy was
carried out by the ordinary soldiers, scientists, engineers, and
businessmen responsible for realizing their commanders’ visions of
success.
In January 1943, FDR and Churchill convened in
Casablanca and established the Allied objectives for the war: to defeat
the Nazi blitzkrieg; to control the Atlantic sea lanes and the air over
western and central Europe; to take the fight to the European mainland;
and to end Japan’s imperialism. Astonishingly, a little over a year
later, these ambitious goals had nearly all been accomplished. With
riveting, tactical detail, Engineers of Victory reveals how.
Kennedy
recounts the inside stories of the invention of the cavity magnetron, a
miniature radar “as small as a soup plate,” and the Hedgehog, a
multi-headed grenade launcher that allowed the Allies to overcome the
threat to their convoys crossing the Atlantic; the critical decision by
engineers to install a super-charged Rolls-Royce engine in the P-51
Mustang, creating a fighter plane more powerful than the Luftwaffe’s;
and the innovative use of pontoon bridges (made from rafts strung
together) to help Russian troops cross rivers and elude the Nazi
blitzkrieg. He takes readers behind the scenes, unveiling exactly how
thousands of individual Allied planes and fighting ships were
choreographed to collectively pull off the invasion of Normandy, and
illuminating how crew chiefs perfected the high-flying and inaccessible
B-29 Superfortress that would drop the atomic bombs on Japan.
The
story of World War II is often told as a grand narrative, as if it were
fought by supermen or decided by fate. Here Kennedy uncovers the real
heroes of the war, highlighting for the first time the creative
strategies, tactics, and organizational decisions that made the lofty
Allied objectives into a successful reality. In an even more significant
way, Engineers of Victory has another claim to our attention, for it restores “the middle level of war” to its rightful place in history.
Gli ingegneri eroi segreti della vittoria alleata
I tecnici lavorarono ai mortai e ai caccia P-51 che decisero il conflitto
di Gianni Riotta La Stampa 6.6.14
Nel
gennaio del 1943 a Casablanca, il presidente americano Roosevelt, il
premier inglese Churchill e il generale francese De Gaulle, decidono la
strategia finale della II guerra mondiale, resa senza condizioni per i
nemici dell’Asse, invasioni in Italia e Francia, dominio dell’aria.
Stalin, assente per seguire l’accerchiamento della VI Armata di von
Paulus a Stalingrado, è d’accordo, ma sollecita l’apertura del fronte
francese.
Oggi sappiamo che, entro l’estate del 1945, la strategia
alleata viene realizzata con successo, e ricordiamo con emozione lo
sbarco in Normandia. Guardando i film, da «Il giorno più lungo» a
Spielberg, osservando le foto di Capa, leggendo i libri di scuola, ci
sembra una marcia inesorabile, la democrazia che travolge il
totalitarismo. A ben guardare invece la vittoria non era per nulla
scontata, e il fattore decisivo non fu il coraggio militare dei tanti
che sbarcarono attaccando l’armata di Hitler, eroi che pagarono con la
vita, croci bianche che punteggiano le spiagge in Normandia. A vincere
la guerra e permetterci di vivere in libertà furono gli ingegneri, eroi
segreti della vittoria alleata.
Nelle prime settimane del 1943,
mentre a Casablanca si decide la strategia, l’ammiraglio tedesco Dönitz
affonda 108 navi che provano ad attraversare l’Atlantico e rifornire la
Gran Bretagna, senza viveri né benzina. Dei materiali e degli alimenti
che servono a Londra ne arriva meno di un terzo. La popolazione stenta a
sopravvivere, preparare l’invasione dell’Europa è impossibile. Hitler
sta vincendo la Battaglia dell’Atlantico e può resistere a lungo, magari
fin quando la voglia di battersi delle democrazie si affievolirà,
cercando un’intesa politica, come la maggioranza degli inglesi voleva
nel maggio 1940 (a guerra già iniziata!) e il Congresso Usa prima di
Pearl Harbor 1941.
Per permettere agli angloamericani di sbarcare
occorre dislocare l’Armata, navi, aerei, artiglieria e uomini in
Inghilterra, liberare l’Atlantico dai sommergibili U Boot, dominare il
cielo. Si fa un gran parlare dei logici che decifrano i codici segreti
tedeschi, guidati dal geniale Alan Turing, ma anche i nazisti leggono
gli alleati e dunque la chiave della vittoria, gli eroi del D-Day sono,
con marines, rangers, commandos e paracadutisti, gli ingegneri.
Nel
suo affascinante saggio «Engineers of Victory» lo storico Paul Kennedy,
autore del celebre studio sulla caduta degli imperi che stregò l’America
trenta anni fa, prova come ingegneri, geometri, ragionieri, analisti,
nel chiuso di uffici senza gloria e fama, mettono alle corde Hitler e
salvano la libertà. I combattenti arricciano il naso, irridono il
laboratorio delle innovazioni militari Department of Miscellaneous
Weapons Development come «Ufficio Bronchitici e Imboscati», ma quegli
uomini disegnano gli strumenti per realizzare la strategia alleata. Il
tenente colonnello Stewart Blacker progetta il «Riccio» un mortaio che,
montato sulle navi, centra i sommergibili con precisione. Da scolaro
aveva affinato l’arte costruendo un mortaio ad elastico contro le serre
del preside, e per far sì che Churchill investa nel progetto, la Marina
mobilita due giovani ufficiali con la missione di convincere la
giovanissima figlia del premier, Sarah Churchill (Kennedy non conferma
l’aneddoto, ma lo cita). Il «Riccio» affonda da solo 50 U Boot, aprendo
l’autostrada Normandia.
Un ingegnere aggiunge un serbatoio di
carburante ai bombardieri B 24 e allunga, con un foglio da disegno e
inchiostro di china, di centinaia di miglia la difesa aerea. I B 17
stentano con i carichi di bombe, gli ingegneri della Rolls Royce
disegnano un motore meraviglioso, il Merlin, che adattato al caccia Usa
P-51 Mustang lo può trasformare in arma letale. I burocrati americani
nicchiano, «Aerei a stelle e strisce con motori stranieri?», entra in
gioco Tommy Hitchcock, asso della I guerra mondiale, giocatore di polo,
laureato ad Harvard, playboy, modello per il personaggio di Tom Buchanan
nel romanzo «Il grande Gatsby» di Fitzgerald. Amico di tutti, Hitchcock
persuade l’Aeronautica a lanciare il P-51 che dominerà i cieli:
l’affascinante giocatore di polo paga con la vita l’idea, morendo
durante uno dei frettolosi test. Un altro «Bronchitico Imboscato»
disegna Fido, mina speciale antisommergibile.
La domanda di Kennedy
è: attraverso quali passaggi una strategia vince e una perde? Una
riflessione da fare anche a 70 anni dal D-Day. Le democrazie vincono –
scriveva già lo storico inglese John Keegan - perché innovano,
correggono errori, distribuiscono e controllano l’informazione e gli
errori in velocità. I sistemi centrali, totalitari, verticali bloccano
la trasmissione strategica e perdono alla lunga, da Hitler all’Urss. Il
Giappone aveva una buona flotta di sommergibili, ma puntandoli per
malinteso spirito da Samurai contro le navi da guerra e non da trasporto
sbaglia partita nel Pacifico.
Vedere gli ingegneri come i
protagonisti del D-Day è parte di un nuovo metodo storico e di analisi
politico-militare, lo studio della complessità. Legare, per esempio, la
caduta del Vietnam 1975 alla debolezza Usa dopo guerra del Kippur e
golpe in Cile 1973, fatti lontani, conseguenze lontane. Adesso tanti
hanno le idee chiare sulle partite in corso, Putin, Ucraina, Cina, Nsa,
Europa, ma la strategia di lunga durata, la tecnologia cui nessuno bada,
potranno rivelarsi decisive, magari uno smartphone avrà il peso
militare di un mortaio Riccio.
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