lunedì 16 giugno 2014
Roberto Esposito sul libro di Nadler e altri spinozismi
Steven Nadler: Un libro forgiato all'inferno. Lo scandaloso «Trattato» di Spinoza e la nascita del secolarismo, Einaudi
Un romanzo e una monografia dedicate al filosofo rilanciano l’idea della repubblica federale olandese
Roberto Esposito 139 16-06-2014 la repubblica 34/35
E se fosse Spinoza l’autore in cui cercare un punto di riferimento in
una fase in cui è sempre più difficile orientarsi sul piano filosofico e
soprattutto politico? E se perfino questa Europa, sospesa tra vecchi
nazionalismi e nuovi populismi, prestasse qualche attenzione alla
Repubblica delle Sette Province Unite olandesi in cui egli visse,
godendo di insolita libertà intellettuale all’interno di un continente
insanguinato da guerre ininterrotte?
Certo, quella sorta di zona
franca, di felice anomalia, che furono i Paesi Bassi rispetto agli Stati
assoluti, si chiuse presto, come la condanna e l’espulsione di Spinoza
dalla comunità ebraica testimoniano. Eppure Il sogno di Spinoza - come
s’intitola il romanzo di Goce Smilevski appena tradotto da Guanda -
continua ad interpellarci non solo sul nostro passato, ma anche sul
nostro futuro.
In verità esso non tratta di questioni politiche e
considera solo di scorcio la prospettiva filosofica di Spinoza. Di cui
delinea, però, con maestria, il mondo interiore - turbamenti, emozioni,
ossessioni. La vita, in continuo transito tra Amsterdam, Rijnsburg e
l’Aia; il mestiere, singolare per un filosofo, di tornitore di lenti; le
amicizie, tra cui quella, forse sul punto di scivolare in passione, con
la sua giovane maestra di latino Clara Maria Van den Enden, e l’altra
con l’allievo, studioso di Cartesio, Joan Casearius.
Forse nulla più
del libro di Robert Burton sulla malinconia, insieme al celebre dipinto
di Rembrandt Lezione di anatomia del dottor Tulp , in cui lo scalpello
del medico penetra nelle carni aperte di un cadavere, restituiscono il
clima di quegli anni e anche qualcosa della psicologia di Spinoza -
pensatore della vita perché perennemente ossessionato dalla caducità
dell’esistenza. La sua stessa idea di una sostanza infinita ed eterna,
in cui Dio coincide con la natura delle cose, può essere interpretata
anche come il punto di resistenza nei confronti di qualcosa che ci viene
sottratta in un modo inaccettabile e prepotente.
La resistenza
all’oppressione e all’intolleranza è, d’altra parte, la cifra
dell’intero pen- siero di Spinoza. In particolare di quel saggio contro
ogni forma di teologia politica che curiosamente ha proprio il titolo di
Trattato teologicopolitico.
«Un libro forgiato all’inferno», come fu
definito dai nemici del filosofo e adottato come titolo della
monografia spinoziana, adesso tradotta da Einaudi, di Steven Nadler.
Autore già di un altro lavoro su Spinoza e l’Olanda del Seicento, nonché
di un originale saggio su Descartes, dal titolo Il filosofo, il
sacerdote e il pittore , entrambi editi da Einaudi, Nadler riesce nella
difficile impresa di presentare il complesso pensiero di Spinoza ad un
ampio pubblico senza tradirne i contenuti peculiari.
Ma che cosa c’è
di tanto scandaloso nel suo Trattato? Cosa ne fa un libro maledetto
destinato alla distruzione e all’oblio? Si tratta di una coraggiosa,
almeno per allora, difesa dell’autonomia della filosofia, e anche della
politica, dalla invadenza della religione. Rifiuto dei miracoli e del
ruolo divino dei profeti, riduzione della provvidenza all’insieme delle
leggi di natura, attribuzione della Bibbia all’opera dell’uomo sono i
contenuti blasfemi in base ai quali Giordano Bruno era stato bruciato
appena pochi decenni prima. Qualcosa di non meno pericoloso delle
scoperte astronomiche che Galileo fu costretto ad abiurare. Ma
l’elemento forse più rilevante in termini politici sta nella maniera in
cui la negazione del carattere trascendente ed onnipotente della Persona
divina si traduce nel rifiuto di quella del monarca. Ecco ciò che
differenzia Spinoza da Hobbes. Come questi, anch’egli è alla ricerca di
una forma politica che metta fine al caos delle guerre di religione. Ma
anziché individuarla nello Stato Leviatano, vale a dire nel potere
assoluto che condiziona la protezione dei sudditi alla loro obbedienza,
lo individua in una forma di democrazia che, contro il modello
monarchico e aristocratico, rispetta la libertà dei cittadini. Con ciò
Spinoza non intende negare il principio di autorità politica, ma
sottoporlo ad una legittimazione diffusa in base alla quale il diritto
di definire quello che è nell’interesse di tutti spetta al popolo
stesso.
Per certi versi Spinoza non fa che riprodurre in forma
radicale il regime politico della Repubblica olandese della seconda metà
del secolo, assediata dagli eserciti delle monarchie assolute. Essa era
governata, in forma federale, dai rappresentanti delle Sette Province
Unite, provenienti dal ceto mercantile delle città olandesi, gelose
della propria indipendenza nei confronti sia della Chiesa che, almeno
entro certi limiti, dello Stato centrale. Allorché Johan de Witt,
deputato permanente di Dordrecht e punto di riferimento politico dei
democratici radicali, fu assassinato, quel modello che rappresentava
un’eccezione vistosa nell’Europa del tempo crollò, perdendo le sue
connotazioni più peculiari. La messa al bando dell’opera di Spinoza fu
anche conseguenza di questa restaurazione. Ma tale esito non cancella,
né sul piano filosofico né su quello politico, il significato di quello
straordinario esperimento. Al suo centro era il progetto, fino allora
inaudito, di una federazione costituzionale che escludeva ogni carica
centralizzata e onnipotente. Ad ogni provincia era invece riconosciuto
il diritto di avere i propri rappresentanti, senza per questo indebolire
la loro unione, cui restavano le competenze della politica estera e
finanziaria.
Quali suggestioni tale modello costituzionale possa
contenere per un mondo, come il nostro, che ha conosciuto la crisi di
tutti i Leviatani, non è difficile intuire. Persino l’Unione europea
potrebbe riprodurne qualche tratto, nel difficile equilibrio tra unità e
differenze nazionali. Naturalmente senza omologare situazioni e
problematiche separate da secoli di storia e di pensiero. Se però
ricordiamo l’insistenza di Spinoza sulla necessità di contenere le
inevitabili spinte passionali nei limiti della razionalità, possiamo
ricavarne un’indicazione che muove in direzione contraria sia a un’idea
di sovranità trascendente - al potere assoluto degli Stati sovrani - sia
agli impulsi anarchici e irrazionali che alimentano la crescita dei
nuovi populismi.
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