Rachel Holmes:
Eleanor Marx. A Life, Bloomsbury
Risvolto
Unrestrained by convention, lion-hearted and free, Eleanor Marx
(1855-98) was an exceptional woman. Hers was the first English
translation of Flaubert’s Mme Bovary. She pioneered the theatre of Henrik Ibsen.
She was the first woman to lead the British dock workers' and gas
workers’ trades unions. For years she worked tirelessly for her father,
Karl Marx, as personal secretary and researcher. Later she edited many
of his key political works, and laid the foundations for his biography.
But foremost among her achievements was her pioneering feminism. For
her, sexual equality was a necessary precondition for a just society.
Drawing strength from her family and their wide circle, including
Friedrich Engels and Wilhelm Liebknecht, Eleanor Marx set out into the
world to make a difference – her favourite motto: 'Go ahead!’ With her
closest friends - among them, Olive Schreiner, Havelock Ellis, George
Bernard Shaw, Will Thorne and William Morris - she was at the epicentre
of British socialism. She was also the only Marx to claim her
Jewishness. But her life contained a deep sadness: she loved a faithless
and dishonest man, the academic, actor and would-be playwright Edward
Aveling. Yet despite the unhappiness he brought her, Eleanor Marx never
wavered in her political life, ceaselessly campaigning and organising
until her untimely end, which – with its letters, legacies, secrets and
hidden paternity – reads in part like a novel by Wilkie Collins, and in
part like the modern tragedy it was.
Rachel Holmes has gone
back to original sources to tell the story of the woman who did more
than any other to transform British politics in the nineteenth century,
who was unafraid to live her contradictions.
This tireless campaigner wrested feminism away from its narrow, bourgeois agenda – but had terrible taste in men
Kathryn Hughes The Guardian, Friday 16 May 2014
Mio padre si chiamava Karl Marx
Il comunismo, il rapporto con Engels, gli amori sfortunati e la militanza In una biografia uscita in Inghilterra la storia di Eleanor detta “Tussy”
di Siegmund Ginzberg Repubblica 14.6.14
Poco prima delle 10 del 31 marzo 1898, Eleanor Marx, allora poco più che
quarantenne, inviò la fedele cameriera Gertrude in farmacia a comprare
del cloroformio e una piccola quantità di acido di cianuro. “Per un
cane”, aveva scritto nel bigliettino indirizzato al farmacista. La
trovarono morta, vestita con un abito tutto bianco fuori stagione. Sulla
scrivania dello studio c’erano i giornali con deprimenti notizie sugli
scandali di corruzione in tutta Europa, che lambivano anche la sinistra,
la corrispondenza con il sindacato dei minatori e altri esponenti
socialisti.
C’erano poi le bozze di Valore, prezzo e profitto , l’opuscolo del padre
che lei aveva scoperto e si accingeva a pubblicare con una propria
prefazione (“da Sonnenschein, che è un ladro, ma tutti gli altri editori
con cui ho provato non l’hanno voluto”), e i lavori preparatori per una
biografia del padre che non era mai riuscita a completare. “Tutto
sommato Marx il politico (Politiker) e il pensatore (Denker) possono
andare, ma dal punto di vista umano forse un po’ meno” aveva scritto
alla sorella maggiore Laura. Era stato durissimo per lei scoprire che
Freddy, il figlio della cameriera di sua madre, Helene Demuth, era
invece figlio di Karl Marx.
“Eleanor, non sposata, suicidio per ingestione di cianuro, sotto stress
mentale”, scrisse il medico legale. In realtà non era “single” ma aveva
convissuto per quasi vent’anni con Edward Aveling, mantenendo la sua
vita dispendiosa e tollerando le sue continue scappatelle. Lui era già
sposato, ma non le aveva mai detto che la prima moglie era deceduta da
tempo e lui aveva incassato e sperperato l’eredità. Solo il giorno prima
del suicidio lui le aveva confermato quello che già tutti gli altri
sapevano, che si era risposato un’altra volta ancora, in segreto, con
un’attricetta. Lei finalmente lo aveva diseredato in extremis, ma il
codicillo era stato fatto sparire. Si disse dallo stesso Aveling, che
aveva frugato tra le sue carte in presenza del cadavere. Anzi, corse
voce che addirittura fosse stato lui ad assassinarla. Lui morì l’anno
seguente, dopo aver sperperato in pochi mesi anche l’ingente patrimonio
che lei aveva ereditato dal suo “secondo padre”, il “vecchio generale”
come lo chiamavano in famiglia, Friedrich Engels.
La stampa si buttò a pesce sulla notizia. Scrissero che era la
dimostrazione del fallimento morale dello stile di vita del “libero
amore” socialista. Scrissero che lei si era suicidata perché lui aveva
deciso di tornare a vivere con la prima moglie e i figli e voleva
imporle un mènage a tre. Questo era pura invenzione, la prima moglie era
morta da tempo. A prendere le difese del “buon nome” del socialismo fu
Eduard Bernstein, il leader riformista e “revisionista” della
socialdemocrazia tedesca. Scrisse un opuscolo sull’“enigma psicologico”
di una donna in preda ad un “malessere morale”, simile a quello di “
Frau Alving”, la protagonista degli Spettri di Ibsen.
Quello della figlia più piccola e preferita (“Tussy - questo il
nomignolo di Eleanor - è me” soleva dire il vecchio Karl) non fu l’unico
suicidio in casa Marx. Anni dopo, nel 1911, si sarebbero uccisi anche
Laura e il marito parlamentare Paul Lafargue, iniettandosi cianuro nelle
vene. Ma erano ormai vecchi (si avvicinavano alla settantina) e malati,
è un caso diverso, la si potrebbe definire auto-eutanasia. Quella
volta, a difendere la loro scelta, al posto di Bernstein, fu Lenin. In
modo alquanto agghiacciante: “Comprensibile quando si sente di non poter
più lavorare per la rivoluzione”. Ma certo i grandi padri spesso sono
ingombranti. Sigmund Freud non era stato un modello di padre, anche se 4
delle sue 5 sorelle non morirono suicide ma nei campi nazisti. Gandhi
era stato un pessimo padre e marito. Il figlio di Einstein, Eduard, morì
in manicomio. Per non parlare dei figli che Mao abbandonò durante la
Lunga marcia e di Svetlana, figlia di madre suicida, che per sottrarsi
al padre Stalin dovette scappare in America.
Eppure Eleanor non era affatto una donna sprovveduta. Era la più
intellettuale e politicamente attiva della sorelle Marx. Era una
femminista combattiva in un’epoca in cui le donne non avevano accesso né
al voto né agli studi. È sua la prima traduzione in inglese di Madame
Bovary e la messa in scena di diversi dei drammi di Ibsen (fu lei a
recitare Nora alla prima londinese di Casa di bambola ). Come il padre
adorava Shakespeare e Balzac. Ancora adolescente scriveva lunghe lettere
di “consigli politici” ad Abraham Lincoln (che Marx naturalmente
si guardava bene dallo spedire). Assieme ad Aveling aveva scritto un
libro sul “Socialismo di Shelley” e partecipava a tutte le iniziative
sindacali e politiche in tutta Europa. Aveva fatto da segretaria e
assistente di ricerca del padre. Alla morte di Engels fu lei a tentare
di trascrivere il Quarto libro del Capitale e mettere insieme il suo
carteggio. Fu lei a recuperare l’ebraismo con cui il padre aveva chiuso
con la giovanile Questione ebraica rivendicando con orgoglio le proprie
origini e mettendosi addirittura a studiare lo yiddish: “Mio padre era
ebreo …la lingua degli ebrei ce l’ho nel sangue… in famiglia dicono che
assomiglio a mia nonna paterna, che era figlia di un dotto rabbino”.
Lasciando perdere il fatto che la nonna si era arrabbiata moltissimo
quando Karl aveva deciso di sposare l’aristocratica prussiana Jenny Von
Westphalen, anziché una brava ragazza ebrea.
È fresco di stampa Eleanor Marx. A Life di Rachel Holmes (già autrice di
successo di una biografia della Venere Ottentotta), pubblicata per i
tipi di Bloomsbury. Mi sono chiesto anch’io se servisse un nuovo libro
sull’argomento dopo The Life of Eleanor Marx: A Socialist Tragedy di
Chusichi Tsuzuki (1967) e il monumentale lavoro di Yvonne Kapp (1972).
Ebbene, è diverso. Un’interpretazione più “moderna”, se così si può
dire, più rispondente forse ai gusti dell’epoca dei pettegolezzi da
tabloid, dei sitcom, reality e teleromanzi, anche se fondati su ricerche
meticolose nelle lettere, nei diari e nei “sentiti dire” dei
protagonisti. L’autrice confessa di sperare che possa essere trascinato
dal successo editoriale del Capitale nel X-XI secolo di Piketty (80.000
copie solo nelle prime settimane, mentre il primo libro di Das Kapital
nel 1867 aveva trovato pochissimi lettori). Glielo auguriamo. Anche Il
Capitale di Marx era, a modo suo, un romanzo. La struggente telenovela
su Eleanor tocca tasti ancora più universalmente umani.
Nessun commento:
Posta un commento