venerdì 19 settembre 2014

Ancora Nussbaum e la banalità della filosofia liberal americana

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Le moderate passioni di Marta Nussbaum 

Saggi. Modelli ideali di società dove il bene viene perseguito facendo leva sui sentimenti di mutua reciprocità. Allo Stato spetta il compito di garantire la libertà individuale anche per chi propone una visione razzista e sessista delle relazioni umane. «Le emozioni politiche» e «Persone oggetto», due volumi della filosofa statunitense

Paola Rudan, il Giornale 18.9.2014 

 Il suc­cesso inter­na­zio­nale della filo­sofa ame­ri­cana Mar­tha C. Nus­sbaum è testi­mo­niato dall’incessante tra­du­zione della sua altret­tanto inces­sante pro­du­zione intel­let­tuale, arric­chita ora dalla pub­bli­ca­zione di Per­sona oggetto (del 1995, ma appena uscito per Erick­son, pp. 118, euro 9) e di Emo­zioni poli­ti­che. Per­ché l’amore conta per la giu­sti­zia (il Mulino, pp. 510, euro 38). Il primo testo con­si­ste in una cri­tica al fem­mi­ni­smo di Catha­rine Mac­Kin­non e Andrea Dwor­kin che, negli anni Novanta del secolo scorso, facendo della por­no­gra­fia il para­digma del rap­porto tra i sessi, con­si­de­ra­vano l’«oggettualizzazione» il prin­ci­pale ber­sa­glio non solo del fem­mi­ni­smo ma anche dello Stato, chia­mato a proi­bire e per­se­guire la pro­du­zione por­no­gra­fica. A que­ste posi­zioni Nus­sbaum risponde con una cri­tica basata sulla let­tura di alcuni testi più o meno cele­bri – da L’amante di Lady Chat­ter­ley a l’Ulisse di Joyce, da Play­boy a The Swimming-Pool Library di Hol­li­n­hurst – a par­tire dai quali svi­luppa un’analitica dell’«oggettualizzazione» per mostrare che le sette moda­lità di rela­zione che può inne­scare – stru­men­ta­lità, nega­zione dell’autonomia, pas­si­vità, fun­gi­bi­lità, vio­la­bi­lità, pro­prietà, nega­zione della sog­get­ti­vità – si com­bi­nano in modi diversi a seconda del con­te­sto e che solo quest’ultimo può deter­mi­nare se essa sia com­pa­ti­bile o meno con il con­senso e la reciprocità. 


In nome del contesto 
Il con­te­sto è tutto, dun­que, ma diventa irri­le­vante nel momento in cui la «per­sona» prende il posto degli uomini e delle donne e il sesso si tra­sforma da que­stione poli­tica in que­stione morale risolta dalla libera, reci­proca espres­sione del con­senso. Le con­di­zioni in cui que­sto si esprime, il rap­porto di impli­ca­zione e non sem­plice con­trap­po­si­zione tra libertà e potere, non pos­sono per­ciò essere messe in que­stione. Biso­gne­rebbe invece ammet­tere che anche Marx avrebbe «sot­to­sti­mato» la dif­fe­renza tra il lavo­ra­tore, che prende parte a un con­tratto in cui si dà «qual­che tipo di con­senso», e lo schiavo, che non può mani­fe­starne alcuno ed è per­ciò ogget­tua­liz­zato fino in fondo. Se il con­te­sto fa l’oggetto, il con­senso fa la per­sona, tra­sfor­mando il con­te­sto in una varia­bile secon­da­ria e con­tin­gente. Anche quello sim­bo­lico, il modo in cui l’essere oggetto può inne­scare un godi­mento dell’asimmetria tanto «magni­fico» per il sesso quanto fun­zio­nale alla ripro­du­zione dei rap­porti di potere, diventa secon­da­rio. Il «bat­te­simo» dell’arrogante e spa­ven­toso mem­bro di Mel­lors – il John Tho­mas di L’amante di Lady Chat­ter­ley – e della timida e ine­sperta «Lady Jane» sono azioni equi­va­lenti e sim­me­tri­che in un rap­porto, tutto pri­vato, di con­sen­suale reci­pro­cità.
In modi diversi, la pro­po­sta di Mac­Kin­non era stata con­te­stata anche dalla filo­sofa ame­ri­cana Wendy Brown all’interno di una più vasta cri­tica del discorso libe­rale (Sta­tes of Injury, Prin­ce­ton Uni­ver­sity Press, 1995). Trat­tando la por­no­gra­fia come sin­tomo della crisi del domi­nio maschile piut­to­sto che come suo para­digma, Brown met­teva in guar­dia dagli effetti del con­si­de­rare le donne come sem­plici «oggetti» di quel domi­nio. Facendo di que­sta con­di­zione un dato «onto­lo­gico», Mac­Kin­non indi­cava come unica pos­si­bile via di uscita l’intervento ripa­ra­tore dello Stato che, con «attac­ca­mento appas­sio­nato», con­ti­nuava a essere pen­sato come media­tore neu­tro dei con­flitti nella società. Il pro­blema del potere – della deter­mi­na­zione sociale e sto­rica delle posi­zioni sog­get­tive e delle isti­tu­zioni – diven­tava dun­que il ful­cro della cri­tica di Brown. Nono­stante la cen­tra­lità che anche lei attri­bui­sce al con­te­sto, la posi­zione di Nus­sbaum è molto diversa. Seb­bene con­di­vida l’idea che la natura umana non possa essere con­si­de­rata un dato onto­lo­gico immo­di­fi­ca­bile, ma che vi sia al con­tra­rio un con­di­zio­na­mento reci­proco tra quella natura e l’ambiente isti­tu­zio­nale nel quale si dispiega, Nus­sbaum arti­cola que­sta con­ce­zione secondo il para­digma ari­sto­te­lico defi­nito dalle coor­di­nate potenza/atto. Una «ten­denza innata» alla giu­sti­zia si accom­pa­gna a una ten­denza altret­tanto innata alla sopraf­fa­zione che può essere tut­ta­via argi­nata da una «poli­tica delle emo­zioni» che per­metta di tra­durre in atto sol­tanto quelle fun­zio­nali al per­se­gui­mento di una società non solo «bene-ordinata», come auspica John Rawls, ma anche giu­sta.
Se nes­suna isti­tu­zione orien­tata alla giu­sti­zia può essere effi­cace senza un ade­guato sup­porto emo­tivo, si tratta di defi­nire in primo luogo le coor­di­nate di un libe­ra­li­smo inte­res­sato alle emo­zioni e Nus­sbaum lo fa nell’apertura di Emo­zioni poli­ti­che: prende le mosse dalla tol­le­ranza di John Locke, ma rifiuta l’indifferenza del padre del libe­ra­li­smo verso le emo­zioni che stanno alla base dell’intolleranza; rico­no­sce l’importanza dell’amore civile pro­mosso dalla reli­gione dell’umanità di Rous­seau e Comte, ma rigetta la loro ten­sione al maschi­li­smo e al raz­zi­smo, alla coer­ci­zione e all’omologazione degli indi­vi­dui in favore dell’ideale ire­nico, egua­li­ta­rio e plu­ra­li­stico, fon­dato sulla libertà di espres­sione della cri­tica e del dis­senso, di Her­der e J.S. Mill. La tra­di­zione libe­rale di Nus­sbaum si risolve nella ricerca di una reli­gione civile mode­rata che renda pos­si­bile un «con­senso per inter­se­zione» come quello indi­cato da Rawls. Un con­senso che non può fon­darsi su visioni com­ples­sive del mondo – siano esse lai­che o reli­giose – ma deve muo­versi attorno a valori leg­geri – ideali costi­tu­zio­nali e il per­se­gui­mento di una gamma di «capa­cità» – che siano il minimo comun deno­mi­na­tore alla base della società giusta. 


For­ma­li­smo dei diritti 

Il para­digma antropologico-politico del sog­getto ade­guato a que­sta società si costrui­sce all’intreccio tra il Che­ru­bino delle Nozze di Figaro di Mozart-Da Ponte e i can­tori baul pro­ta­go­ni­sti della poe­tica di Rabin­dra­nath Tagore: un cit­ta­dino che si lascia alle spalle la virile ricerca di ven­detta per l’onore vio­lato per aprirsi alla reci­pro­cità e alla sen­sua­lità, all’ironia e all’amore, per rea­liz­zare una fra­tel­lanza nell’uguaglianza a par­tire da qua­lità tutte «fem­mi­nili», capaci di andare oltre la dif­fe­renza di classe.
L’approccio nor­ma­tivo di Nus­sbaum non per­mette di emo­zio­narsi di fronte alla con­trad­di­zione che que­sta «fra­tel­lanza fem­mi­nile» lascia aperta. Come d’altra parte non vi è posto per la con­trad­di­zione nella società giu­sta della quale elenca le carat­te­ri­sti­che. Ugua­glianza, per­ché a tutti è con­fe­rita pari dignità e dun­que non solo la for­male attri­bu­zione di diritti civili e poli­tici, ma anche il rico­no­sci­mento che gli esseri umani sono attivi e al con­tempo vul­ne­ra­bili. In alcune fasi della loro vita – infan­zia e vec­chiaia, disa­bi­lità e malat­tia – essi vivono rap­porti asim­me­trici di dipen­denza per i quali è neces­sa­rio un soste­gno. Inclu­sione, per­ché il discorso raz­zi­sta, ben­ché tol­le­rato e garan­tito dalla più ampia libertà d’espressione, deve essere fre­nato dalla legge lad­dove sfoci in una minac­cia rivolta a un par­ti­co­lare indi­vi­duo (in un modo non così diverso da ciò che lo Stato dovrebbe fare, secondo Mac­Kin­non, con la por­no­gra­fia) e stig­ma­tiz­zato social­mente in modo da diven­tare pro­gres­si­va­mente eva­ne­scente. Distri­bu­zione, per­ché il per­si­stere delle disu­gua­glianze mate­riali è ammis­si­bile solo «allo scopo di incen­ti­vare lo sforzo e l’innovazione che accre­scono il livello della società». Oltre a garan­tire salute e istru­zione, le «nostre» società giu­ste avranno dun­que sistemi fiscali capaci di soste­nere la redi­stri­bu­zione della ric­chezza, ma que­ste poli­ti­che pub­bli­che sareb­bero inef­fi­caci senza che venga al con­tempo ali­men­tata la sim­pa­tia neces­sa­ria a sup­por­tarle.
Così, la poe­sia, la danza e gli inni di Whit­man e Tagore, l’arte, le ceri­mo­nie e l’istruzione pub­bli­che, la tra­ge­dia e la com­me­dia, la reto­rica e l’esempio di grandi «eroi» come Washing­ton, Lin­coln e Roo­se­velt, King, Gan­dhi e Nehru, diven­tano modelli per la pro­du­zione di emo­zioni – la com­pas­sione, la sim­pa­tia, l’amore – capaci di soste­nere poli­ti­che orien­tate alla giu­sti­zia e di argi­nare gli effetti divi­sivi di pas­sioni quali paura, ver­go­gna, invi­dia e disgu­sto. Tali pas­sioni sono anch’esse parte della natura umana, ma pos­sono essere gover­nate attra­verso la sapiente mesco­lanza di stra­te­gie che, men­tre fanno leva sul par­ti­co­la­ri­smo, esten­dono lo spa­zio della sim­pa­tia fino ad abbrac­ciare la nazione e il mondo intero.
Nus­sbaum è stata senz’altro coe­rente con que­sta pro­spet­tiva, visto il suo impe­gno in favore dell’emancipazione delle «donne del Terzo Mondo» (un esem­pio è il suo Women and Human Deve­lo­p­ment. The Capa­bi­li­ties Approach, del 2001), le quali tut­ta­via erano già auto­no­ma­mente impe­gnate a denun­ciare la natura pater­na­li­stica, patriar­cale e colo­niale del discorso sullo «svi­luppo» (cele­bri sono le posi­zioni di Chan­dra Tal­pade Mohanty e Gaya­tri Cha­kra­vorty Spi­vak). D’altra parte, Nus­sbaum non fa mistero di quale sia il modello di que­sta «nostra» società giu­sta: gli Stati Uniti d’America – la cui costi­tu­zione è il faro illu­mi­nante di un avve­nire le cui magni­fi­che sorti non sono distur­bate dalla per­si­stenza del raz­zi­smo isti­tu­zio­nale che ha ucciso Michael Brown a Fer­gu­son – o l’India di Tagore – un esem­pio poli­ti­ca­mente cor­retto della pos­si­bi­lità di una demo­cra­zia libe­rale in Oriente, che si avvia a supe­rare l’orrore della società castale gra­zie al pro­gresso della sua cul­tura poli­tica e la cui imma­gine non pare detur­pata dalla prassi siste­ma­tica e impu­nita dello stu­pro o dalle poli­ti­che anti­o­pe­raie del nuovo eroe del capi­tale, Naren­dra Modi. L’appassionato attac­ca­mento di Nus­sbaum all’idea di pro­gresso e alla neu­tra­lità delle isti­tu­zioni spazza via que­sti gra­nelli di realtà dall’ingranaggio dell’ideale avvenire. 

Grandi e pic­coli eroi 
La filo­sofa si mette però al riparo dall’obiezione della realtà sot­to­li­neando la fal­la­cia della distin­zione tra ideale e reale. L’ideale ha effetti reali – lo pro­vano le costi­tu­zioni demo­cra­ti­che i cui valori, ben­ché attuati in modo incom­pleto, ispi­rano le leggi. La realtà è carica di ideali, come dimo­strano gli esempi rea­lis­simi dei grandi «eroi» delle emo­zioni poli­ti­che di cui ci offre un’ampia ras­se­gna. Agli eroi minori, quelli che com­bat­tono ogni giorno con­tro la «dipen­denza asim­me­trica» deter­mi­nata non dalla malat­tia o dalla vec­chiaia, ma dal sala­rio; quelli che nelle peri­fe­rie della demo­cra­zia ame­ri­cana cono­scono l’uguaglianza come uguali ber­sa­gli delle armi di isti­tu­zioni «cor­reg­gi­bili»; quelle che per la loro «fem­mi­ni­lità» sono messe al ser­vi­zio – ses­suale, sala­riato, ripro­dut­tivo – della fra­tel­lanza degli eguali resta da spe­rare che la disci­plina delle emo­zioni metta tutti al pro­prio posto con sod­di­sfa­zione.
Per Nus­sbaum non ci sono fat­tori «non emo­tivi» – come quelli eco­no­mici – tali da incri­nare la vir­tuosa inte­ra­zione tra il polo «moti­va­zio­nale» e quello «isti­tu­zio­nale». La reto­rica di un grande eroe, come quella messa in campo da Roo­se­velt quando l’odio di classe minac­ciava la sta­bi­lità della nazione, potrà tra­sfor­mare la divi­sione in «ami­ci­zia» rac­co­gliendo «gli avvan­tag­giati e i meno pri­vi­le­giati in un solo gruppo». Per Nus­sbaum far parte di una società demo­cra­tica è comun­que un pri­vi­le­gio ridotto solo in minima parte dalle dif­fe­renze di red­dito. Anche in tempo di crisi i «meno pri­vi­le­giati» dovranno essere per­suasi che la nazione si pren­derà cura di loro, con buona pace per l’inesorabile tra­monto del wel­fare state e per l’impossibilità di un altro New Deal. Le isti­tu­zioni – a par­tire dalla scuola – con­tri­bui­ranno ad affian­care al valore attri­buito al denaro la pro­spet­tiva di sod­di­sfa­zioni ade­guate alle aspet­ta­tive di chi non gode e non può spe­rare di godere di un’uguale ric­chezza. Saranno date altre oppor­tu­nità – capa­cità equi­va­lenti – a chi altri­menti pas­se­rebbe le gior­nate a oziare su un muretto invi­diando «i ragazzi più popo­lari». A cia­scuno le emo­zioni ade­guate alla posi­zione che la «nostra» società prescrive. 

Il pri­vi­le­gio della democrazia 
Forse la poli­tica delle capa­cità di que­ste società in dive­nire, con le loro emo­zioni mode­rate ripro­dotte tec­no­lo­gi­ca­mente per un’epoca senza ideo­lo­gie, potrà dav­vero addo­me­sti­care l’odio di classe che col­pe­vol­mente soprav­vive alla fine della sto­ria, ispi­rando sen­ti­menti uni­fi­canti di com­pas­sione. La com­pas­sione, però, può rive­larsi un’emozione che divide. Ne fa espe­rienza Rosa Luxem­bur­gnel 1917, dopo tre anni in car­cere, quando incro­cia lo sguardo di un bufalo fru­stato a san­gue da un sol­dato per­ché rifiuta di trai­nare un carro carico e pesante. Luxem­burg rac­conta la com­pas­sione pro­vata attra­verso le sbarre per quell’«amato fra­tello» di cui con­di­vi­deva impo­tenza e dolore, debo­lezza e nostal­gia, men­tre il sol­dato sor­ri­deva fischiet­tando tra sé «una can­zo­nac­cia… e tutta que­sta gran­diosa guerra mi passò davanti agli occhi» (Un po’ di com­pas­sione, Adel­phi). Nus­sbaum ha ragione ad affer­mare che il con­te­sto è tutto. Esso cam­bia radi­cal­mente il modo in cui le emo­zioni pos­sono con­tare per la politica.

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