mercoledì 17 settembre 2014

Colonia felix: l'Italia e la Nato

Se dici guerra ...
Dinucci, Di Francesco e altri: Se dici guerra... Basi militari, tecnologie e profitti, Kappa Vu

Risvolto

Un sindacalista, uno storico, un geografo, un fisico, due giornalisti, un’ex lavoratrice del comparto militare industriale, un amministratore locale toccano in questo lavoro collettivo i vari aspetti che compongono il mosaico della guerra permanente: la storia dell’atlantismo, la disinformazione mirata, gli eserciti professionali, le nuove dottrine della Nato, l’espansione delle istallazioni strategiche statunitensi in Italia, lo stato di fatto del nucleare militare e delle industrie d’armi. Il quadro che emerge permette al lettore di farsi un’idea chiara della complessitą e dell’estrema pericolositą dei tempi che stiamo vivendo. In un contesto mondiale dominato dalle superpotenze e da una corsa agli armamenti che procede a gonfie vele, le implicazioni per l’Italia sono tanto determinanti quanto ignorate dai media mainstream e
dall’alta politica. La crisi ucraina è l’ennesima tappa di un percorso di guerra iniziato con il dissolvimento dell’Unione sovietica venticinque anni fa. Oggi la Nato è arrivata alla fine della sua direttrice verso est per spingersi oltre il limite sostenibile per la Russia. In questo disastroso gioco delle parti, l’Italia è ancora pesantemente schierata.



L’unità di misura della Nato per il mondo 
Saggi. «Se dici guerra...», un volume collettivo per le edizioni Kappa Vu. I mutamenti geopolitici testimoniano il declino dell’impero Usa e l’incapacità dell’Europa di una propria politica estera autonoma

Simone Pieranni, il Manifesto 17.9.2014 


Il recente ver­tice Nato a New­port, in Gal­les, con­si­de­rato il più impor­tante dalla costi­tu­zione dell’Alleanza Atlan­tica, ha con­fer­mato in modo cla­mo­roso molte delle rifles­sioni e ana­lisi con­te­nute in Se dici guerra…basi mili­tari, tec­no­lo­gie e pro­fitti (a cura di Gre­go­rio Pic­cin, edi­zioni Kappa Vu, 12 euro).
Il volume è una rac­colta di inter­venti sui con­flitti bel­lici ina­nel­lati da un filo con­dut­tore, la totale subal­ter­nità di Ita­lia ed Europa alla Nato e agli Stati uniti. Si tratta di un dato con­fer­mato, del resto, anche nell’ultimo mee­ting «atlan­tico». Dovendo occu­parsi di Ucraina e di Isis, a fare la parte del padrone è stato Barack Obama, capace di det­tare la linea tanto sull’Ucraina, quanto sulla «coa­li­zione» extra Nato che dovrà annien­tare la nuova orga­niz­za­zione isla­mi­sta che imper­versa nelle regione tra Iraq e Siria (creata però pro­prio da chi ha finan­ziato «i ribelli» con­tro Assad in Siria). Ci sono molti punti che il libro coglie in pieno. In primo luogo, la subal­ter­nità ita­liana alla Nato. Come scrive Giu­seppe Casar­ru­bea, nel capi­tolo «La Nato e gli eser­citi Stay behind in Ita­lia», la situa­zione ita­liana «è carat­te­riz­zata dall’assenza di una pre­cisa iden­tità demo­cra­tica e dal suo per­fetto alli­nea­mento stra­te­gico mili­tare con la visione sta­tu­ni­tense del mondo».
Per quanto l’idea di un fronte comune euro­peo, «non c’è chi non veda come l’attuale con­ce­zione di que­sta idea sia pro­gres­si­va­mente deca­duta, sup­po­sto che abbia mai avuto una sua con­si­stente forza reale». Come spiega bene Man­lio Dinucci, una firma pre­sente in tema di armi, guerre e Alleanza Atlan­tica sul mani­fe­sto, nel capi­tolo «Il rio­rien­ta­mento stra­te­gico della Nato dopo la guerra fredda» la scom­parsa dell’Urss e del suo blocco di alleanza ha creato un primo momento di svolta, dando vita nella regione euro­pea ed euroa­sia­tica «ad una situa­zione com­ple­ta­mente nuova». La Nato amplia la pro­pria con­ce­zione si sicu­rezza, muta i suoi con­cetti stra­te­gici, pun­tando a coin­vol­gere altri paesi oltre quelli nord atlan­tici. Si comin­cia così a deli­neare la «Grande Nato». L’Italia, natu­ral­mente, par­te­cipa. «Tale stra­te­gia — scrive Dinucci — è fatta pro­pria anche dall’Italia quando sotto il sesto governo Andreotti par­te­cipa alla guerra del Golfo: i Tor­nado dell’Aeronautica ita­liana effet­tuano 226 sor­tite per com­ples­sive 589 ore di volo».
Sem­bra una vita fa. C’era l’America dei Bush; Washing­ton era uscita vin­ci­trice dal con­fronto con l’Unione Sovie­tica e poteva ancora affer­mare l’unilateralità impe­riale degli Usa. Da allora, molta acqua è pas­sata sotto i ponti. L’impero ame­ri­cano è in declino, men­tre altri stati affer­mano la pro­pria poli­tica di potenza. Il mondo è cioè diven­tato mul­ti­po­lare. In mezzo ci sono state le guerre jugo­slave, l’11 set­tem­bre, le pri­ma­vere arabe. E oggi, l’Ucraina, rap­pre­senta in pieno i cam­bia­menti epo­cali del mondo e la volontà sta­tu­ni­tense nel per­se­guire la sua poli­tica di potenza, uti­liz­zando come pedine in una scac­chiera tanti altri paesi, com­presa l’Europa, com­presa l’Italia. Secondo Dinucci, «l’operazione con­dotta dalla Nato in Ucraina ini­zia già nel 1991». Non riu­scendo l’operazione di ade­sione dell’Ucraina nell’Alleanza atlan­tica, gli Stati uniti hanno ini­ziato a tes­sere quelle reti di col­la­bo­ra­zione mili­tare, teste di ponte per agenti Cia e un lavo­rio ben più denso di natura poli­tica.
La nuova stra­te­gia Usa è spie­gata dal segre­ta­rio della difesa ame­ri­cana Chuc­kel Hagel. Le ope­ra­zioni ame­ri­cane, spiega Hagel, «non inten­dono più essere coin­volte in grandi e lun­ghe ope­ra­zioni di sta­bi­lità oltre­mare, come in Iraq o Afgha­ni­stan». Ormai la guerra si fa con squa­dre spe­ciali, con droni, con la crea­zione di quelle con­di­zioni «per desta­bi­liz­zare i paesi e pre­pa­rare suc­ces­si­va­mente attac­chi mili­tari mirati». Nel volume ci sono altri spunti di rifles­sione, ad esem­pio il ruolo dei sin­da­cati all’interno dell’economia della spesa mili­tare, che come richie­sto da Obama a New­port aumen­terà anche in Ita­lia.
Gianni Alioti scrive sul ruolo del sin­da­ca­li­smo ita­liano, che per l’autore si è «più volte messo in gioco sulle con­trad­di­zioni di natura etica e poli­tica, alla base della pro­du­zione e del com­mer­cio di arma­menti. Lavo­rando, insieme ai movi­menti paci­fi­sti e anti­mi­li­ta­ri­sti, sui temi del disarmo e del con­trollo dell’export e agendo in molti casi per la diver­si­fi­ca­zione e ricon­ver­sione nel civile delle indu­strie a pro­du­zione mili­tare». Argo­mento più che mai attuale, dato il pre­vi­sto aumento delle spese mili­tari in Ita­lia. La guerra è un evento nefa­sto, come abbiamo appreso dai rac­conti dei nostri nonni, padri e madri. Guerra è fame, sof­fe­renza e morte: una terrr­ri­bile realtà che le moderne armi pro­vano invece ad annul­lare, ridu­cendo i con­flitti bel­lici a un buon busi­ness o a una lotta di civiltà.
Come spe­ci­fica nell’introduzione Tom­maso Di Fran­ce­sco, «è nato un nuovo gior­na­li­smo embed­ded, al seguito col­la­te­rale degli eser­citi sul campo, una gene­ra­zione di inviati di guerra, come se la guerra fosse un evento natu­rale ogget­tivo e non un evento umano sulq uale avere un punto di vista con­tra­rio». Que­sti sono i mec­ca­ni­smi da sra­di­care e di cui invece «avere cura». Per­ché, si chiede Di Fran­ce­sco, «non c’è ancora una gene­ra­zione che riven­di­chi «il ruolo di inviati «con­tro» la guerra?».

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