mercoledì 17 settembre 2014
Colore e percezione della storicità
La Roma imperiale era meglio di Disneyland
Im pazzano le ricostruzioni m useali in 3D e con i colori originali usati per le statue e i m onum enti tra Augusto stile Gaypride e Ara Pacis catarifrangente, la sobrietà dell’antico si perde nel cartoon
13 set 2014 Libero CINZIA LEONE
L’infotainment l'hanno inventato gli antichi romani. Dai trionfi in battaglia scolpiti sugli obelischi come un tg di pietra alle statue degli imperatori con labbra e capelli alla Vanna Marchi, l'Impero colpiva sempre sotto la cintura.
A dar retta alle ricostruzioni cromatiche e 3D dell'antichità che stanno incominciando a invadere i musei, l'informazione spettacolo colorata, aggressiva e pop, per la Roma imperiale era una necessità e un gusto. Un garum con cui speziare una comunicazione aggressiva, sboccata, e vincente. E fatta per intercettare l'audience di una plebe adorante. Dai casini di Pompei ai templi pittati in Technicolor, l'antichità era un'allegra baldracca: più vicina alla Liz Taylor di Andy Warhol che alla Paolina Borghese di Canova. Le fiere dei bassorilievi avevano criniere blu elettrico e baffi rossi come il gatto di Alice nel paese delle Meraviglie. Policromi i sarcofagi, i frontoni dei templi, il prezioso marmo alabastrino di Veneri e Apolli coperto da strati di colori sgargianti, offerti alla luce violenta dell' Impero al massimo del suo fulgore. Un'orgia di tridimensionalità da rotocalco tv. La celebre statua dell' Augusto di Prima Porta, immagine simbolo della romanità, non era come l'abbiamo sempre conosciuto: bianca, algida e glaciale. Nella ricostruzione esposta da una decina d'anni all'ingresso dei Musei Vaticani Augusto ha il rossetto sulle labbra, le ciglia e le sopracciglia bistrate, la chioma rossastra, la corazza dipinta di azzurro e oro, ed è avvolto in un drappo rosso come un trans al gaypride. Il primo nella romanità che unisce il potere politico alla carica divina, non più solo Dictator. Il Divo Augusto è una Diva, una popstar fatta per essere desiderata. Lo share dei cinquanta milioni di sudditi dell'Impero è alle stelle. Come l'indispensabile favore dei senatori, da comprare a suon di consensi e di sesterzi, per trasformare la Repubblica in dittatura illuminata.
Winckelmann e il neoclassicismo ci hanno bidonato. L'antichità era più simile ai film peplum, che alle statue di Canova. L'elegante e composto candore dell'antichità è un equivoco. La sua pelle marmorea era dipinta con colori accesi, e più simile ai film «sword and sandal» degli anni 50 che ai libri di storia dell'arte del liceo. Winckelman sapeva che l'antichità era colorata e pacchiana ma proprio per questo, sedotto dall'ottica e dall'ideologia, nel 1764 scrive il suo manifesto revisionista: «Il colore contribuisce alla bellezza, ma non è la bellezza, bensì esso mette soprattutto in risalto questa e le sue forme. Ma poiché il colore bianco è quello che respinge la maggior parte dei raggi luminosi e che quindi si rende più percepibile, un bel corpo sarà allora tanto più bello quanto più è bianco, e quando è nudo e sembrerà più grande di quanto è effettivamente».
Il tempo e le pulizie radicali alle quali, anche grazie alle idee di Winckelmann, sono state sottoposte le opere in molti musei, cancellano il colore. Con le nuove tecniche spettrografiche, i ricercatori intercettano i frammenti di colore originale nascosti nelle pieghe del marmo e, con delle simulazioni, restituiscono agli occhi sbalorditi dei visitatori un Impero con i colori di Topolinia.
Anche i Greci e gli Etruschi usavano colori da cartoons. Anche il Partenone era a colori: lapislazzuli pressati per il blu, malachite polverizzata, per il verde, ematite o ossido di ferro o la porpora ricavata dal murice o dalla cocciniglia per il rosso, terra d'ocra o antimoniato di piombo per il giallo, ossa carbonizzate per il nero, calce per il bianco. Abili comunicatori, per forzare l'effetto tridimensionale inserivano anche dettagli in argento e oro, pupille realistiche in smalto, madreperla e vetro, e per far risaltare le vesti ancoravano al blocco della statua alabastro con venature multicolori e trasparenze.
Il negazionismo cromatico di Winckelmann crolla miseramente. Il pregiudizio neoclassico salta. E nei musei esplode l'antichità così come era: ruffiana e mediatica. Al museo di Istanbul, accanto alle statue originali troneggiano copie con i rutilanti cromatismi originali. Nel 2004 la mostra dei Musei Vaticani I colori del bianco riporta alla luce i colori dell'antico. Di quest'anno la mostra Colori nell'antica Paestum con dieci pezzi scultorei in terracotta, fedelmente ricostruiti grazie ai laser scanner e alle stampanti 3D. E il recente allestimento virtuale dell' Ara Pacis, con una sofisticata proiezione, dona ai bassorilievi della facciata est e ovest se non i colori originali, di cui non è rimasta traccia, una filologica e smagliante ipotesi cromatica. Per i loro colori da cartoons, gli artisti greco romani utilizzavano colori forti e smaglianti. Guardando l'antichità finalmente policroma, i visitatori rimangono spiazzati. Se la macchina del tempo catapultasse un senatore romano in un uno dei musei dell'inizio del terzo millennio dopo Cristo, vedendo le statue e i frontoni ridotti a fantasmi in bianco e nero resterebbe inorridito. L'antichità, inzuppata nei colori pop che tanto amava, assomiglia a Disneyland.
Senza il cromatismo originale, onirico e pop, dell'antichità greco romana comprendiamo solo quello che il neoclassicismo e i professori del liceo ci hanno raccontato. Travolti dalla razionalità illuministica, e da palate di deologia, Winckelmann, Canova e Thorvaldsen rifiutano l'irregolarità del barocco e teorizzano un «bello ideale», e ci regalano una romanità falsa e normalizzata. Qualcuno dei visitatori davanti all'infotainement imperiale storce il naso? Si sa, il bianco e nero «fa tanto arte». I colori meno. «Siamo l'ultima generazione con i ricordi in bianco e nero» sospira, nostalgico di se medesimo, uno protagonisti del film Marrakesh Express. Rimpiange un falso. I ricordi sono a colori, mica virati seppia. Il bianco e nero, come l'angolo retto, in natura non esiste. Le tecniche di riproduzione e di diffusione delle idee e delle notizie, la tipografia, la fotografia, il cinema, la televisione e il computer, nascono in bianco e nero ma come possono si tuffano nel colore. Cosa succederebbe al protagonista del film di Salvatores se avesse occasione di vedere i rari filmati a colori della seconda guerra mondiale. Troverebbe Auschwitz a colori meno agghiacciante? La troverebbe ancora più atroce.
La memoria è filtro e spesso anche falsificazione. Euripide in una tragedia fa invocare ad Elena di Troia la perdita della sua nefasta bellezza: «possa imbruttire di colpo, come una statua dalla quale vengano cancellati i colori». Nessuno si sarebbe fatto uccidere sotto le mura di Troia per un Elena in bianco e nero.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento