venerdì 26 settembre 2014

I sistemi di welfare in Europa e quello italiano

Contro la miseria
C'è però il rischio di un equivoco: che le misure di accompagnamento alla ricerca di lavoro vengano scambiate per il famigerato reddito d'esistenza sognato dai negriani e dai fancazzisti di tutto lo stivale. Va notato poi come questi stessi meccanismi siano considerati da altri intepreti come dei formidabili dispositivi di controllo [SGA].

Giovanni Perazzoli: Contro la miseria. Viag­gio nell’Europa del nuovo Wel­fare, Laterza

Risvolto
Tutti i disoccupati avranno l’alloggio pagato e un assegno minimo vitale a condizione di frequentare dei corsi di formazione e di accettare il lavoro proposto dal centro dell’impiego. Se sui giornali leggessimo di una proposta del genere fatta dal governo italiano, rimarremmo sbalorditi. Eppure, per un tassista di Parigi, per un operaio di Berlino o per un giovane di Londra il reddito garantito è una realtà di tutti i giorni. Da decenni, la disoccupazione in Europa viene affrontata con potenti strumenti di welfare che prevedono, oltre a un sussidio vitale, assegni per le coppie, per i figli, per chi avvia un’impresa, corsi di formazione, trasporti, riscaldamento e molto altro. In Italia tutto questo non esiste. Siamo una gigantesca anomalia e neppure ce ne rendiamo con

Cittadini ribelli contro la povertà nel vecchio continente 

Saggi . «Contro la miseria» di Giovanni Perazzoli per Laterza. Diritti sociali e reddito minimo garantito. Le misure per gestire gli alti costi sociali della crisi in Europa

Giuseppe Allegri, il Manifesto 26.9.2014 

Contro la mise­ria. Viag­gio nell’Europa del nuovo Wel­fare (Laterza, pp. 150, euro 12) di Gio­vanni Peraz­zoli andrebbe stu­diato e man­dato a memo­ria dalle classi diri­genti pre­senti e future del nostro paese: poli­tici, sin­da­ca­li­sti, impren­di­tori, acca­de­mici, gior­na­li­sti e opi­nion makers. Soprat­tutto nell’eterno dibat­tito ita­liano sull’articolo 18 dello Sta­tuto dei lavo­ra­tori. Per­ché già dalle prime pagine ben si com­pren­dono le migliori con­di­zioni di vita e di lavoro esi­stenti nei Paesi che pre­ve­dono un red­dito minimo garan­tito rispetto a quelli, come il nostro e la Gre­cia, che invece resi­stono a una sua intro­du­zione. Peraz­zoli con­duce infatti un’illuminante inchie­sta sul nuovo Wel­fare intro­dotto da decenni in molti Paesi euro­pei, a par­tire dai «pic­coli» Bel­gio, Dani­marca, Olanda, arri­vando fino ai «grandi» Fran­cia, Ger­ma­nia, Gran Bre­ta­gna. E dice subito che l’architrave di que­sto nuovo Wel­fare, uni­ver­sa­li­stico e non assi­sten­zia­li­stico, è la pre­vi­sione del red­dito minimo garan­tito. Una garan­zia del red­dito che ha carat­tere illi­mi­tato (accom­pa­gna la ricerca di un lavoro e dura quindi anche diversi anni), uni­ver­sale, è rivolta a tutta la cit­ta­di­nanza, ed è vin­co­lata sola­mente alla «dispo­ni­bi­lità a cer­care un lavoro e all’accertamento dei mezzi (non biso­gna essere ric­chi per averne diritto, ma nean­che essere «poveri» e non è neces­sa­rio fare rife­ri­mento a inter­me­diari poli­tici o sindacali)». 

Un accesso universale 

Sono misure dai diversi nomi, a seconda dei Paesi (nel gergo inglese the Dole, in Fran­cia la sigla Rsa, etc.) già inda­gate nel volume curato dal BIN-Italia, Red­dito minimo garan­tito. Un pro­getto neces­sa­rio e pos­si­bile (Edi­zioni Gruppo Abele), citato dallo stesso Peraz­zoli per riba­dire che in que­sti Paesi il tito­lare del diritto al red­dito è qual­siasi per­sona in cerca di occu­pa­zione, fosse anche la prima (inoc­cu­pati, disoc­cu­pate, inter­mit­tenti e precari-e tra un lavoro e l’altro, etc.). L’autore ricorda poi come tale diritto sia inte­grato da altri stru­menti e bene­fits (allog­gio, riscal­da­mento, spese impre­vi­ste, figli, etc.), per­ché il nuovo Wel­fare state pro­muove una società nella quale gli indi­vi­dui incon­trano tutele e garan­zie che favo­ri­scono l’autodeterminazione di cia­scuno, nella soli­da­rietà col­let­tiva. E il red­dito minimo è un diritto sociale rico­no­sciuto alla per­sona e non un’elargizione con­cessa per­ché si appar­tiene a qual­che cate­go­ria, cor­po­ra­zione, gruppo svan­tag­giato.
In que­sta pro­spet­tiva si eli­mi­nano i mec­ca­ni­smi buro­cra­tici di accesso al sus­si­dio e si favo­ri­sce una migliore rela­zione con i cen­tri per l’impiego. E anche dinanzi alle recenti riforme restrit­tive di que­sti modelli, che fanno par­lare di un pas­sag­gio al work­fare, con il con­se­guente rischio di imporre lavori gra­tuiti o mal pagati, i livelli di tutela riman­gono ele­vati. Leg­gere per cre­dere gli esempi por­tati da Peraz­zoli sul caso tede­sco dopo la riforma chia­mata Hartz IV, dove una fami­glia di quat­tro per­sone, con geni­tori disoc­cu­pati e due minori, vede ridotto il sus­si­dio di cento euro, otte­nendo ancora 1339 euro men­sili (cui si aggiun­gono i bene­fits).
È que­sta l’Europa figlia del cosid­detto «Rap­porto Beve­ridge», redatto nel 1942 e uti­liz­zato dai labu­ri­sti inglesi per intro­durre il Wel­fare State uni­ver­sa­li­stico, con al cen­tro la garan­zia, per tutte le per­sone disoc­cu­pate, di un red­dito suf­fi­ciente ad assi­cu­rare una vita degna di essere vis­suta. Il modello sociale euro­peo che si è pur­troppo fer­mato al di là delle Alpi, dando ori­gine a quelle «due» Europa sulle quali insi­ste Peraz­zoli, con un punto di vista favo­rito dal fatto che egli stesso vive tra Ita­lia e Olanda. Il suo sguardo sul Bel­paese è addo­lo­rato e spie­tato, poi­ché vede le rovine di uno Stato sociale sem­pre più impo­ve­rito e cor­rotto da classi diri­genti che lo hanno reso for­te­mente cor­po­ra­tivo, buro­cra­tico, assi­sten­zia­li­stico e fram­men­tato, con le per­sone in dif­fi­coltà costrette a con­tare sulla fami­glia e sulle isti­tu­zioni cari­ta­te­voli, rischiando altri­menti di finire sotto i ricatti della mala­vita.
Dal 1992 è la stessa Unione euro­pea che invoca l’introduzione di un red­dito minimo garan­tito in Ita­lia: ce lo chiede l’Europa!
E non si tratta di barat­tare la sta­bi­lità del posto di lavoro, l’occupazione, con l’offerta di un red­dito minimo, poi­ché l’Italia ha già da decenni un alto livello di fles­si­bi­lità e con­tem­po­ra­nea­mente un wel­fare state tra i più ini­qui. Così l’altro merito del libro di Peraz­zoli è quello di scon­fig­gere due arti­fi­ciosi pre­giu­dizi. Da una parte l’odioso luogo comune che pro­prio qui in Ita­lia ha sem­pre con­trap­po­sto la garan­zia del red­dito alla reto­rica della difesa dei posti di lavoro, ma non delle per­sone. Dati alla mano, tutti i Paesi dell’«altra Europa» (quella con il red­dito minimo) hanno migliori tassi di occu­pa­zione e mag­giori tutele per le per­sone senza occu­pa­zione. Dall’altra si smonta il luogo comune sul costo del red­dito minimo, ricor­dando i 30 miliardi di euro spesi annual­mente per le pen­sioni di inva­li­dità, troppo spesso «stru­mento di con­senso clien­te­lare», a sca­pito delle per­sone real­mente biso­gnose di tutele, ma di fatto escluse da un accesso che richiede il coin­vol­gi­mento di veri e pro­pri «micro-imprenditori del con­senso», gene­rando un abuso di false pen­sioni di inva­li­dità di circa dieci miliardi di euro. Cifra suf­fi­ciente per intro­durre una prima forma di red­dito minimo anche in Ita­lia. Qua­lora ci fosse la volontà poli­tica di farlo. Visto che ci sono tre pro­getti di legge sul red­dito minimo dimen­ti­cati nelle stanze del Par­la­mento ita­liano. E con­si­de­rando che una bat­ta­glia per il red­dito minimo garan­tito sarebbe sem­pre più neces­sa­ria e vitale (così Piero Bevi­lac­qua su il mani­fe­sto del 24 settembre). 

Con­tro i clientelismi 

Si arriva così al noc­ciolo della dif­fi­denza ita­liana per que­sto stru­mento. Peraz­zoli sostiene che al fondo ci sia un pro­blema di libertà e demo­cra­zia. La garan­zia di un red­dito e di un wel­fare state uni­ver­sa­li­stico favo­ri­sce l’autonomia e il benes­sere delle per­sone e di una società. Non si tratta di lotta alla povertà, ma di pro­mo­zione della libertà indi­vi­duale e di migliori con­di­zioni di vita per tutti. È un inve­sti­mento che le isti­tu­zioni pub­bli­che fanno sulle per­sone e sulla col­let­ti­vità. Per evi­tare i ricatti della mise­ria e della povertà, che gene­rano pater­na­li­smi, dipen­denza, clien­te­li­smi, cor­ru­zione, sfrut­ta­mento, mala­vita. Così potremmo anche sco­prire che dinanzi alla ven­ti­lata riforma restrit­tiva dello stato sociale pro­po­sta da Tony Blair sul finire degli anni Novanta, l’intero movi­mento musi­cale anglo­sas­sone si oppose, segna­lando che la riforma avrebbe «pri­vato i nuovi, gio­vani musi­ci­sti rock del tempo suf­fi­ciente per pro­vare». E vent’anni prima The Clash pote­rono com­prare i primi ampli­fi­ca­tori con­tando sul Dole di Joe Strum­mer, come rac­con­ta­rono gli stessi pro­ta­go­ni­sti. E allora, potremmo ribal­tare un cele­bre titolo di The Clash: Know your rights! Per il diritto al red­dito garan­tito, anche in Italia.

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