venerdì 26 settembre 2014
Quante trattative? Mafia e stragi anticomuniste in Sicilia negli anni Quaranta
Fondazione Argentina Altobelli, Fondazione di studi storici Filippo Turati: Una strage ignorata. Sindacalisti agricoli uccisi dalla mafia in Sicilia 1944-1948
Quando la mafia massacrava i sindacalisti
Un libro ricostruisce le stragi in Sicilia (1944-48) in cui morirono quasi quaranta persone
di Flavia Amabile La Stampa 26.9.14
Dovrebbero
fare tutti come Antonella Azoti. All’indomani della strage di Capaci
andò come tanti sul luogo della strage. Ma non le bastò lasciare un
fiore o scrivere un biglietto come facevano tutti. Prese il microfono e
urlò: «La mafia non uccide solo adesso, ha ucciso anche mio padre,
Nicolò Azoti, il 21 dicembre 1946, e prima e dopo di lui ha assassinato
tanti altri sindacalisti che lottavano insieme ai contadini per la
libertà e la democrazia in Sicilia».
Fu come squarciare un primo velo
su una realtà che nessuno più ricordava, la strage dei sindacalisti
agricoli siciliani sterminati dalla mafia tra il 1944 e il 1948. Se la
vita di Placido Rizzotto è stata raccontata al cinema e in tv, tutti gli
altri sono stati rimossi. Sono quaranta-cinquanta persone uccise. Non
si sa con precisione nemmeno il numero, figurarsi il resto. Per la prima
volta un libro prova a ricostruire quello che accadde. Si intitola La
strage ignorata ed è stato realizzato dalla Fondazione Argentina
Altobelli e dalla Fondazione di studi storici Filippo Turati. Verrà
presentato oggi in Senato.
Siamo nel pieno della Seconda guerra
mondiale quando inizia questa pagina di storia che in pochi conoscono.
La Sicilia viene liberata nell’estate del 1943, nel resto d’Italia si
combatte, stanno per essere compiute le stragi più efferate, Marzabotto,
Civitella in Chianti, le Fosse Ardeatine a Roma. Ma c’è anche un
governo che prova a dare il via alle prime riforme come la legge Gullo
che riconosce ai contadini riuniti in cooperative il diritto di ottenere
in concessione le terre incolte e mal coltivate degli agrari. Per i
contadini dovrebbe essere il momento della riscossa, in realtà inizia
una dura stagione di lotte che in Sicilia acquista un carattere
particolare. Come sottolinea Michelangelo Ingrassia, coordinatore del
Comitato Scientifico della Fondazione Altobelli, nell’isola i nemici
sono due, «il padronato agrario che negava i diritti sociali» e «la
mafia che negava i diritti individuali».
Le terre siciliane sono
ancora nelle mani dei grandi proprietari. «Nel 1946 – racconta il
giornalista Dino Paternostro – la proprietà che superava i 50 ettari era
pari al 39,3% della superficie agraria siciliana, mentre appena 282
proprietari possedevano il 10,6% della superficie agraria dell’isola.
Secondo i dati del censimento del 1936, i 4/5 della popolazione addetta
all’agricoltura non possedevano neanche un pezzo di terra o ne
possedevano talmente poca da potersi considerare poveri. I contadini,
quindi, incoraggiati dal nuovo quadro legislativo, cominciarono ad
associarsi in cooperative e a presentare le domande di concessione per i
feudi incolti o mal coltivati. Le loro richieste, però, rimasero
inevase per mesi e mesi sui tavoli delle Commissioni provinciali che
avrebbero dovuto esaminarle. Fu per protestare contro questi ritardi che
decisero di occupare simbolicamente le terre»,
A organizzare le
lotte sono i partiti democratici e i sindacati, da poco ricostituiti
dopo il fascismo. La strage dei sindacalisti inizia il 5 agosto 1944 con
l’assassinio di Andrea Raja, comunista, componente di una commissione
di controllo dei granai del popolo. Provano a descriverlo come un poco
di buono, donnaiolo e spesso «alticcio», ma lo stesso maresciallo della
stazione dei carabinieri di Casteldaccia, dove avviene l’omicidio,
finisce per ammettere che il motivo va cercato nella sua attività
sindacale. Nessuno pagherà per la morte di Raja e la questione viene
messa presto a tacere.
L’ultimo morto di mafia raccontato nel libro è
Calogero Cangialosi, ucciso l’1 aprile 1948 a Camporeale in provincia
di Trapani. Segretario della Camera del Lavoro, 41 anni e quattro figli,
viene trucidato da decine di colpi sparati a pochi metri da casa. Tra
depistaggi, indagini svogliate, insabbiamenti, assoluta impunità, si va
avanti così, omicidio dopo omicidio, per cinque anni. A morire sono
sindaci, farmacisti, contadini, politici. In pochi hanno un funerale
perché agli ammazzati, per giunta comunisti, in quegli anni deve bastare
un po’ di acqua benedetta lungo la strada per il cimitero.
«Fu una
vera e propria guerriglia contro i lavoratori, nel cui corso caddero a
decine non solo gli attivisti e i dirigenti sindacali, ma quegli
elementi che, in qualche modo, solidarizzavano con la lotta popolare
contro il feudo», scrive la Cgil siciliana in un documento presentato
alla prima commissione Antimafia nell’ottobre 1963. Parole che cadono
nel vuoto. E ora che finalmente si prova a restituire la dignità della
storia ai morti di quegli anni, almeno si sa che non è stata una
battaglia combattuta invano: 500 mila ettari di terreno passarono di
mano, i latifondi scomparvero. Le ingiustizie, la mafia, l’omertà e
l’indifferenza, no.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento