martedì 23 settembre 2014
Il negazionismo di Yehoshua e quello della Stampa
Uno stato per due popoli non funzionerà
di Abraham Yehoshua La Stampa 22.9.14
Chi
conosce bene le strade, le città, gli insediamenti, le aree industriali
e agricole della Cisgiordania, sia nelle zone controllate da Israele
sia in quelle dell’Autorità palestinese, si rende conto che un futuro
stato bi-nazionale - israelo-palestinese - sarà inevitabile. Eppure
tante persone animate da buone intenzioni, che aspirano alla pace e
disposte, a parole, a sradicare trecentomila coloni ebrei, a rimuovere
intere comunità e a modificare i tracciati delle strade, ancora si
rifiutano di vedere la nuova realtà politica e umana che sta prendendo
forma in Cisgiordania.
In un’epoca in cui la Scozia ha indetto un
referendum per separarsi dall’Inghilterra, la Cecoslovacchia è divisa in
due distinte entità, l’Unione Sovietica e la Jugoslavia si sono
frantumate in vari Stati e gruppi etnici che per generazioni hanno
vissuto accomunati in un unico quadro nazionale chiedono l’indipendenza
politica e linguistica, gli ebrei, ancora una volta in controtendenza
con la storia, imbastiscono legami con i palestinesi e si inseriscono
nel tessuto di un popolo straniero contro il quale conducono una lotta
sanguinosa da più di un secolo, un popolo con una storia, una religione,
una cultura e un livello economico diversi e oltretutto legato alla
grande nazione araba e all’immenso mondo islamico che ancora non hanno
riconosciuto la legittimità di Israele. Lo Stato ebraico sta perseguendo
una politica insensata, in contrasto non solo con la posizione della
comunità internazionale, ma anche con quella di quasi la metà degli
israeliani.
Com’è possibile tutto ciò? Ci domandiamo noi,
sostenitori della pace israeliani. E i nostri amici e simpatizzanti nel
mondo ci chiedono se abbiamo forse perso il senno per non vedere cosa
stiamo facendo a noi stessi.
Ma al di là delle critiche - più o
meno fondate - di cui sono fatti bersaglio americani ed europei,
accusati di esercitare scarsa pressione su israeliani e palestinesi per
una soluzione del conflitto, e la sinistra israeliana, tacciata di
debolezza, dobbiamo riconoscere che ciò che sta avvenendo in
Cisgiordania non è solo colpa di Israele ma anche dei palestinesi i
quali, malgrado le dichiarazioni ufficiali, sognano uno stato
bi-nazionale, ovviamente conforme al loro punto di vista, e operano per
raggiungere tale obiettivo.
In altre parole la difficoltà dei
sostenitori della pace e della comunità internazionale nel risolvere il
conflitto israelo-palestinese mediante la creazione di due Stati per due
popoli è dovuta alla strenua e non sempre palese opposizione di
entrambe le parti.
I palestinesi non si rendono forse conto che i
loro territori - base e fondamento di un’identità nazionale - sono
soggetti a un’erosione quotidiana? L’occupazione non è per loro motivo
di angoscia? Non capiscono che gli israeliani stanno portando avanti in
Cisgiordania un processo irreversibile? Io ritengo che lo capiscano ma
trovino probabilmente conforto al loro dolore e alle loro sofferenze
nell’idea di un unico Stato bi-nazionale. E questo vale non solo per i
palestinesi della Cisgiordania ma anche per la maggior parte di quelli
israeliani. Ufficialmente i palestinesi sostengono la soluzione di due
Stati per due popoli (anche se quello palestinese avrà un’estensione
inferiore a un quarto del suo territorio originale), ma nel profondo del
cuore sognano e sperano in un unico Stato in cui, nei primi tempi,
saranno forse discriminati ma che un giorno, sull’esempio di Nelson
Mandela e compagni, diventerà democratico e uninazionale, sempre secondo
la loro interpretazione di tali termini. Ancora oggi, infatti, i
palestinesi nutrono dubbi sulla nazionalità ebraica e considerano
l’ebraismo una mera religione.
Dico tutto ciò perché se i
palestinesi volessero davvero, come sostengono, liberarsi della rovinosa
occupazione israeliana e fondare un loro Stato prima che sia troppo
tardi, avrebbero dovuto cercare di separarsi da tempo dagli israeliani,
dividere la regione in base ai confini del ’67 e creare uno Stato
riconosciuto dalla comunità internazionale. Avrebbero dovuto accogliere
la richiesta - infondata e assurda ma senza alcuna conseguenza pratica -
di Benyamin Netanyahu di riconoscere Israele come Stato ebraico e
smetterla di continuare a rivendicare il diritto al ritorno dei
profughi, cosa che non potrà mai avvenire. Avrebbero dovuto accettare
uno scambio di territori, soprattutto nella zona di Gush Etzion, e
persino la presenza nel loro futuro Stato di una minoranza ebraica con
diritto di cittadinanza. Il tempo stringe e ogni giorno che passa la
possibilità di creare un loro Stato autonomo si allontana. Secondo la
logica, avrebbero dovuto acconsentire a uno smantellamento delle armi
pesanti entro i confini del ’67 e alla presenza di una forza
internazionale lungo il fiume Giordano in cambio della sede del loro
governo a Gerusalemme, così da poter acciuffare per la coda la
possibilità di uno Stato indipendente prima che questa sfugga per
sempre.
Ma i palestinesi non sembrano avere fretta. Anzi, si
impuntano su determinate richieste e provocano ritardi nei negoziati,
forse confortati da un sogno di tipo diverso: quello di uno Stato unico,
comune ai due popoli, in cui saranno in qualche misura discriminati
(come lo sono ora i loro fratelli in Israele), ma potranno comunque
godere di diritti civili. Un sogno ingenuo perché i palestinesi non
tengono conto che, prima di poter far pesare in qualche modo la loro
superiorità demografica alla Knesset, gli israeliani, grazie a uno
stratagemma, riusciranno a piegare la democrazia a loro favore
garantendo la fittizia cittadinanza israeliana a decine di migliaia di
ebrei sparsi per il mondo che neutralizzeranno qualsiasi minaccia
mediante un sistema di votazione elettronica.
Traccio un simile
scenario in risposta alle violente autocritiche della sinistra
israeliana e alle sue autoaccuse di debolezza e di distacco dal popolo a
causa di lotte intestine. È sempre bene farsi un esame di coscienza -
ed è anche necessario - ma i sostenitori della pace in Israele e nella
comunità internazionale farebbero bene a realizzare che la pace si fa
attendere non solo a causa delle fantasie israeliane di uno Stato
binazionale ma anche di quelle palestinesi. Non è quindi sorprendente
che il compito di contrastare questa doppia aspirazione sia complesso e
frustrante. Ma non dobbiamo disperare...
Esce
in Israele il libro “Ki BeTachbulot” (Con gli stratagemmi) scritto da
due ufficiali della riserva che raccontano i segreti dell’unità
“Duvdevan”. Si serve di soldati perfettamente mimetizzati nella società araba, al fine di catturare i terroristi “prima che possano colpire”.
di Maurizio Molinari La Stampa 22.9.14
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