martedì 23 settembre 2014
I cani ucraini si rimpinzano di zii, fidanzate cantanti e dissidenti filo-israeliani nei laogai della Nord Corea, mentre Razzi e Salvini mangiano Emmenthal con Kim Jong Un
“Io, fuggito dal gulag in Nord Corea sto imparando cos’è la libertà”
“Le bestie mangiavano meglio di noi. Chi sgarrava poteva scegliere tra le botte o la fame”
di Shin Dong-hyuk La Stampa 21.9.14
Ogni
volta che vado negli Stati Uniti e passo da Washington DC c’è un posto
in particolare che torno sempre a visitare: l’Holocaust Museum. Ci sono
stato per la prima volta nel 2008 e, sebbene io stesso sia vissuto in un
campo di concentramento e sia riuscito a fuggirne, fino a quel momento
non mi ero reso conto di quanto tremendo e orribile fosse.
La realtà
mi ha colpito mentre guardavo un video lì nel museo, lasciandomi
sconvolto. Il video mostrava una clip in cui i nazisti si disfacevano
dei corpi degli ebrei morti nei campi buttandoli in fosse e poi
coprendoli con la terra portata da un bulldozer.
In quel momento ho rivisto il campo in cui sono nato e cresciuto. Le somiglianze erano impressionanti.
Ciò
che i nazisti hanno fatto non è qualcosa che appartiene al passato:
succede ancora oggi. La differenza è che ora si tratta di un altro folle
dittatore; dittatore che un giorno potrebbe fare la stessa, identica
cosa ai prigionieri politici detenuti nei campi. E se la comunità
internazionale e il mondo intero non se ne occuperanno e non agiranno,
un domani quello che è già successo potrebbe succedere di nuovo, e il
mondo finire per vederlo in tv, o in un documentario. Tutti vedranno
ripetersi questa indicibile tragedia della storia; vedranno un dittatore
malvagio che tormenta e uccide la sua gente nello stesso modo. Ciò che i
nazisti hanno fatto non è finito. La crudeltà e l’orrore si stanno
ripetendo, e continueranno a ripetersi, e se non lo raccontiamo alla
gente, e non rendiamo nota quest’atrocità, questa situazione orrenda
finirà semplicemente nello stesso modo, come allora, come durante la
Shoah.
Da quando sono nato, da quando ho cominciato a osservare il
mondo con i miei occhi e a udirlo con le mie orecchie, ho visto guardie
in uniforme che imbracciavano fucili e picchiavano altri prigionieri.
Non
c’era mai nessuno che si opponesse, perché quella era solo la punta
dell’iceberg della vita dei campi. I prigionieri venivano puniti per i
loro peccati. Anche io non ci facevo caso. Non conoscevo altro. Dopo
essere fuggito e aver scoperto la verità sulla vita, mi ferisce anche il
solo pensiero, di quella situazione. Le azioni del regime e delle
guardie sono orribili, senza pietà. Sarebbe difficile per chiunque anche
solo immaginare quel che succede lì dentro. Il solo pensiero del male
che stanno facendo mi disgusta.
Sì, sono nato in un campo per
prigionieri politici, e non so perché. La prima cosa che ho visto
aprendo gli occhi nel campo sono stati prigionieri e guardie. Nessuno mi
ha detto per quale ragione io sia dovuto nascere in un campo di
prigionia. La volontà dei prigionieri non contava nulla. L’unico cibo
che potevamo mangiare era quello che ci davano le guardie. Gli unici
abiti che potevamo indossare ce li davano le guardie. Facevamo i lavori
che le guardie ci obbligavano a fare. Per tenerci sotto controllo ci
costringevano alla fame. Ci picchiavano. Ci facevano assistere a
esecuzioni pubbliche ogni primavera e autunno. Quando ero un ragazzo, le
guardie del campo mi punivano se facevo qualcosa di sbagliato. Potevo
scegliere tra due tipi di punizione. Il primo erano le botte, l’altro la
fame. Io e i miei compagni di prigionia sceglievamo sempre le botte,
perché morire di fame ci faceva più paura. Non si può spiegare a parole
il dolore sofferto dai prigionieri politici. Molte persone descrivono la
condizione dei campi dicendo che è una vita da schiavi o da animali, ma
io credo sia molto peggio di quanto le parole possano dire. Nei campi
c’erano molti animali: cani, maiali, topi, uccelli... mangiavano meglio
dei prigionieri ed erano liberi di andarsene in giro. Credo che l’unica
parola adatta a descrivere la vita dei prigionieri sia inferno.
Nel
2005 sono riuscito a fuggire dal campo. Sono arrivato in Corea del Sud
nel 2006. Da allora sono passati 8 anni. In questo tempo ho girato il
mondo, ho visto l’Europa e gli Stati Uniti, ho incontrato tante persone
appartenenti a organizzazioni e programmi umanitari, sono stato anche
alle Nazioni Unite. In quanto attivista dei diritti umani per la Corea
del Nord mi sono rivolto all’opinione pubblica, ho cercato di
risvegliare l’attenzione su questi problemi.
Sfortunatamente, pare
che in questi 8 anni non sia cambiato nulla, e che forse, anzi, alcune
cose siano perfino peggiorate. Una sola cosa è cambiata: il nome del
dittatore; era Kim Jon-Il, adesso è suo figlio Kim Jung-Eun. La
leadership è passata dal nonno, al padre e infine al nipote, che è mio
coetaneo. Il potere è rimasto nella stessa famiglia.
Sebbene non
possa esserci un cambiamento immediato in Corea del Nord, alcune cose
stanno cambiando nella coscienza internazionale e spero che un giorno
questo permetterà di portare alla luce la questione dei diritti umani e
di superare la situazione attuale.
Nel 2013 le Nazioni Unite hanno
istituito una Commissione di indagine (COI - Commission of Inquiry)
sulle violazioni dei diritti umani nella repubblica popolare democratica
della Corea. Ho partecipato ai lavori della commissione e quando i
risultati del lavoro sono stati resi pubblici ho fatto sentire la mia
voce.
Forse sarà un processo lungo e lento, ma dobbiamo agire subito
perché molte vittime stanno soffrendo e morendo in questi campi. Ecco
perché credo sia importante raccontare queste cose alla comunità
internazionale, fare del mio meglio affinchè la gente conosca questa
tragica verità.
Quando ero nel campo non ho mai capito, neanche per
un momento, cosa fosse la libertà: non la conoscevo. Col tempo mi sono
reso conto che questa parola, libertà, non è qualcosa che si possa
insegnare o imparare a scuola. È qualcosa che si sprigiona dal corpo e
dalla mente. Mi ci vorrà molto tempo per comprendere appieno o
ridefinire il concetto di libertà.
Uno dei cambiamenti più grandi, è
che ora posso vedere il mondo con i miei occhi, decidere con la mia
testa e il mio cuore cosa è buono e cosa no e persino quando è il
momento di mangiare. Posso mangiare qualunque cosa abbia un gusto buono,
tutto ciò che desidero. Questo forse è, in definitiva, il cambiamento
più sorprendente della mia nuova vita.
Il mondo deve conoscere i
campi per i prigionieri politici, deve sapere le cose tremende che
avvengono lì dentro. Questo è ciò che spero.
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