mercoledì 24 settembre 2014

Iustum bellum: le lezioni di Francisco Suárez




Sulla guerraFrancisco Suárez: Sulla guerra. De bello.Testo latino a fronte. A cura e con un saggio introduttivo di Aldo Andrea Cassi, Quodlibet

Risvolto

Il volume propone per la prima volta al lettore italiano l’edizione di un testo fondamentale per la comprensione dell’ampio dibattito svoltosi in e
tà moderna sulla questione della «guerra giusta».
La statura intellettuale dell’autore e la sua ricchezza argomentativa, che richiama e vaglia scrupolosamente le opiniones di numerosi autori della tradizione medievale e del pensiero moderno, fanno della Disputatio De Bello un prezioso punto di riferimento teorico non solo per ricostruire il dibattito sul bellum iustum nel pieno svolgersi dell’aspro periodo di conflitti che gli storici chiamano «secolo di ferro», ma anche per vedere all’opera il nascente diritto internazionale dell’età moderna, di cui Suárez è considerato uno dei fondatori.
Tra ’500 e ’600, in effetti, la riflessione giusinternazionalista fu chia mata a una nuova, avvincente e definitiva sfida. Nuove domande mettevano alla prova i capisaldi della dottrina del bellum iustum: si dà la possibilità di una guerra «giusta» per entrambe le parti? L’intervento bellico «preventivo» per soccorrere gli innocentes (quella che oggi chiamiamo guerra umanitaria) è una «guerra giusta»? Quali azioni sono lecite in bello? Suárez affrontò tutte queste questioni e, come attestano le pagine qui pubblicate, vi rispose con scrupolo investigativo e dovizia argomentativa, facendo della disputatio sulla guerra un testo di riferimento per il dibattito dell’epoca e una fonte indefettibile per la storiografia odierna.


La presa di Roma l’ultimo incubo per l’OccidentePreoccupa la minaccia alla città simbolo della cristianità Il tentativo di incitare i combattenti musulmani evocando il nemico storico che simboleggia da millenni il potere imperiale. E che l’Is punta ad abbatteredi Adriano Prosperi Repubblica 24.9.14

«SPEZZEREMO le croci e faremo schiave le vostre donne». Il nome di Roma si è materializzato all’improvviso nel comunicato dell’Is. E così l’impero è tornato sui colli fatali. Ma questa volta non di un sogno si tratta. Quello che ci si para davanti sembra piuttosto l’incarnazione di un incubo, il ritorno di fiamma di un cupo riflesso periodicamente reviviscente della volontà di potenza: si tratta di fanatizzare i combattenti alla conquista ricorrendo al nome più ovvio, quello che simboleggia da millenni il potere imperiale. E’ da Roma che sono nate le scansioni degli imperi storici — la seconda, la terza Roma — è dal nome di Cesare che sono gemmate le denominazioni del potere autocratico russo — lo zar — o germanico (il kaiser). Il nuovo impero islamico dovrebbe dunque nascere saccheggiando la città che incarna quel simbolo.
Una cosa è certa: il linguaggio di quel comunicato, per quanto fatto di citazioni catechistiche elementari, ha creato un ponte di comunicazione tra loro e noi. E’ stato facile notare che chi ha usato queste parole lo ha fatto riprendendole dal Corano e dalla tradizione islamica più antica: ma non dobbiamo dedurre da questo che siamo davvero davanti alla rinascita dell’Islam combattente, di quell’incubo che per secoli ha turbato i sonni dell’Occidente cristiano, quando i pirati turcheschi cercavano di rapire la bella Giulia Gonzaga e a Roma si cantava «A tocchi a tocchi la campana sona/Li turchi so’arrivati alla marina». Maometto aveva parlato del Jihad: ma questa parola non aveva per lui il significato militare che doveva assumere in seguito durante l’espansione islamica. Come hanno osservato gli studiosi più esperti, il termine indicava piuttosto la lotta interiore del credente che investe le sue energie nella ricerca della perfezione. Tra i detti di Maometto c’era — è vero — anche la profezia che un giorno Roma sarebbe stata conquistata. Quella profezia sembrò prossima a realizzarsi quando i saraceni saccheggiarono Lampedusa nell’812, e ancor più quando poco dopo nell’846 risalirono il Tevere con ben settanta navigli e giunsero fino a San Pietro. Ma quella che era in atto allora non era il compimento di un disegno profetico, un intervento divino sul mondo. Era, come dimostrò Henry Pirenne nel suo classico «Maometto e Carlomagno», la grande svolta della storia del mondo occidentale, il mutamento dei rapporti di forza nel Mediterraneo, maturata lentamente e irresistibilmente con la fine dell’unità romana del mondo conosciuto e la nascita della moderna Europa degli stati. Ancora alle parole del Corano si ispirarono i combattenti vittoriosi quando nel 1453 i Turchi conquistarono Costantinopoli. Perchè fra i detti di Maometto c’era stato anche l’annuncio della futura conquista di quella capitale dell’Impero romano che anzi, secondo lui, doveva essere la prima ad accogliere la rivelazione del Profeta.
Chi oggi ricorre alle parole del libro sacro tenta di risollevare una bandiera antica: di fatto ricorre all’antica pratica del mascheramento sacrale delle ambizioni politiche. E’ la stessa strategia dei predicatori cristiani delle crociate medievali o degli autori di quei manuali del soldato cristiano che furono stampati nel ‘500 per incitare al massacro i combattenti delle guerre di religione all’interno dell’Europa moderna. La Bibbia veniva saccheggiata per mettere in fila una dopo l’altra le incitazioni più feroci.
Sappiamo quante guerre e quanti stereotipi dell’alterità e dell’intolleranza segnarono da allora in poi i rapporti tra i popoli. La tesi del «Dio lo vuole», l’imposizione del dovere sacro di versare il sangue per conto di Dio e in suo nome, furono lo strumento di una smisurata volontà di potenza mirata all’obbiettivo di fare del popolo una massa compatta e obbediente agli ordini dei sovrani benedetti dal clero. Non che mancassero voci più caute e razionali. Basterà ricordare come il massimo teologo della Compagnia di Gesù Francisco Suarez nelle sue lezioni sulla guerra agli allievi del Collegio Romano di fine Cinquecento (oggi appena edite e tradotte da Quodlibet), provasse a ragionare a freddo sul problema della guerra giusta: una questione che aveva fatto versare fiumi di sangue e di inchiostro . Suarez levava la sua voce contro i predicatori che brandivano la croce e si mettevano a capo di folle fanatizzate urlando che bisognava vendicare l’offesa fatta a Dio: Dio — osservava il gesuita — non aveva bisogno di uomini per vendicare le ingiurie: se voleva, poteva farlo benissimo da solo.


Un teologo per la «guerra giusta» 
Tradotte per la prima volta le lezioni di Francisco Suárez 
Lunedì 20 Ottobre, 2014 CORRIERE DELLA SERA © RIPRODUZIONE RISERVATA

Francisco Suárez, il gesuita principe delle raffinatezze mentali della Seconda Scolastica, nell’ Opera sulle tre virtù teologiche , alla Disputa XIII , tratta il tema della guerra. Nove sezioni sul bellum justum che ora, con testo a fronte, sono state tradotte per la prima volta da Aldo Andrea Cassi (Quodlibet, pp. 190, e 22), autore anche dell’acuto saggio introduttivo. 
Queste lectiones , furono tenute da Suárez a Roma, dove dal 1579 al 1585 fu alla prima cattedra di teologia del Collegio Romano. Giunse nell’Urbe dopo aver insegnato filosofia a Salamanca e Segovia, teologia a Valladolid e Avila. 
Suárez partecipa al dibattito del tempo intorno al bellum justum con una cultura e una capacità di analisi che ancora oggi stupiscono. E si pone domande attualissime: intervenire con le armi per aiutare gli innocentes è «guerra giusta»? Una simile scelta oggi si preferisce chiamarla «guerra umanitaria». E ancora: quali sono le azioni lecite in bello ? Nella Sezione VII , intitolata Qual è il modo giusto di condurre una guerra, il gesuita volpino scrive nella «seconda conclusione»: «Una volta iniziata la guerra, e durante tutto il tempo che precede la vittoria, è giusto inferire al nemico tutti i danni che sembrano necessari per ottenere soddisfazione». Cristianamente Suárez esclude le «ingiurie dirette contro persone innocenti»; le quali, però, occorre ben capire chi siano. 
Tali pagine saranno lette da pensatori come Schopenhauer o von Clausewitz, per approfondire le ragioni delle guerre o per comprendere cosa siano veramente. Oggi le operazioni belliche si fanno con economia e finanza. Ma codeste varianti i gesuiti le avevano già intuite.

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