ESCHER
a cura di Marco Bussagli - Chiostro del Bramante, Roma, dal 20/09/2014 al 22/02/2015
Tra geometria e trompe-l'oeil. Roma riscopre il genio Escher
Al
Chiostro del Bramante centocinquanta opere dell'inimitabile incisore
olandese, a ripercorrere il suo caleidoscopio dove l'artista si confonde
con l'intellettuale e con il matematico. Fino al 22 febbraio
di Valentina Bernabè Repubblica 22 settembre 2014
Escher L’arte di immaginare mondi impossibili
Da oggi al Palazzo Reale di Milano 200 opere del più grande incisore del ’900
LEA MATTARELLA Restampa 24 6 2016
La fantasia al potere. O forse no. Non è facile definire l’arte di Maurits Cornelis Escher, maestro dell’incisione, nato nel 1898 e scomparso nel 1972, dopo aver dimostrato, e non soltanto a parole, che “lo stupore è il sale della terra”. Succede di tutto sui suoi fogli stampati: ci sono scale da cui non si può né scendere né salire, oggetti in continua trasformazione, superfici specchianti che dovrebbero essere sottoposte alla macchina della verità. La mostra aperta al Palazzo Reale di Milano fino al 22 gennaio 2017, curata da Marco Bussagli e Federico Giudiceandrea, è una vera e propria corsa nell’immaginazione più sfrenata, sottoposta però alle regole della scienza, della contemplazione della natura, della matematica e del rigore. Elementi che siamo abituati a pensare come inconciliabili
Escher ce li restituisce in un’inaspettata unità, sotto forma di visione. E per quanto sia autore di opere che sono diventate vere e proprie icone della contemporaneità, il maestro olandese sembra non esaurire mai le cartucce della sua arma della meraviglia. Così anche le 200 opere qui esposte divise in sei sezioni riescono a sorprendere in questo nuovo allestimento. E se le guardi pensando a quanto abbiano anticipato pensieri e immagini che sono alla base delle nuove tecnologie digitali, ti rendi anche conto del loro potenziale profetico. Tutto inizia con un viaggio in Italia, nel pieno rispetto della tradizione della pittura nordica. L’olandese Escher arriva da queste parti con i suoi genitori all’età di 22 anni. Allora è un allievo di Jesserun de Mesquita, maestro dell’art nouveau che gli insegnerà a usare la linea in maniera espressiva e a guardare la natura come qualcosa di vitale, in continua trasformazione. Finiti i suoi studi ad Harleem, rieccolo visitare di nuovo il Bel Paese, incantandosi di fronte alle 17 torri di San Gimignano che gli sembrano un sogno, qualcosa di irreale. È proprio in questo modo che interpreterà tutti i suoi paesaggi: in un perfetto equilibrio tra la precisione del dettaglio e l’atmosfera onirica.
Nel 1923, dopo il matrimonio con Jetta avvenuto a Viareggio, decide di trasferirsi a Roma. Tra gli artisti italiani che lo affascinano ci sono due irregolari come Francesco Borromini e Giovan Battista Piranesi. L’oscurità delle
Carceri
di quest’ultimo si rivela una fonte inesauribile di idee per le invenzioni prospettiche di Escher, per gli archi disegnati per unire, in storie d’amore impossibili, muri che si trovano su piani diversi, per la genesi di paradossi e enigmi. E non è un caso che alcune stampe di Piranesi troveranno poi un posto d’onore nello studio dell’artista a Chateau d’Oex in Svizzera, dove Escher si era trasferito nel 1936 a causa del clima sfavorevole dovuto all’inasprirsi del fascismo. Nel frattempo Escher farà in tempo a guardare con attenzione anche al Futurismo: le vertiginose prospettive dall’alto di certe sue vedute probabilmente risentono della suggestione dell’aeropittura e la ripetizione di una stessa immagine, nonché una certa astrazione di carattere geometrizzante, possono riferirsi alle esperienze di Giacomo Balla.
Fin dalle prime opere qui esposte si vede come il genio di Escher sia attento a tutto ciò che lo circonda: ne La divisione delle acque mostra la sua attenzione verso il mondo di Hokusai. Per comprendere a fondo la sua arte che interpreterà il mondo in termini di horror vacui è interessante sapere che c’è un momento in cui la sua fantasia si è confrontata con l’idea del vuoto giapponese. Guardando le sue opere successive è evidente come quello stesso vuoto sia diventato deliberatamente pieno: ci sono opere in cui crea forme anche nello spazio bianco tra un’immagine e l’altra. Mosaico del 1957 è un capolavoro di invenzione in questo senso: non c’è un centimetro in cui non ci sia un animale fantastico che si incastri con il vicino. Tra le vedute italiane ecco Siena dove non c’è spazio per il cielo, accanto al colonnato di San Pietro inquadrato in un’immagine notturna che pare un’opera di Roy Liechtenstein. Molti dei lavori di Escher possono essere letti come anticipazione di una chiave pop, semplificata, della visione. Eppure tutto è estremamente complicato. L’olandese è maestro nella sintesi di ciò che senza di lui sembrerebbe contraddittorio. Il Colosseo, per esempio, Escher lo interpreta come un luogo esotico dove, più che immaginare le lotte dei gladiatori, ti sembra di poter ambientare le storie di Sheherazade.
Un altro momento di passaggio è quello della seconda visita all’Alhambra a Granada, avvenuta nel 1936. Qui Escher si lascia sedurre dalla tassellatura delle decorazioni moresche e inizia un nuovo viaggio tra particolare e infinito. Le continue Metamorfosi a cui dà vita vedono uccelli trasformarsi in pesci o in pezzature di terra coltivata, scacchiere su cui troneggiano particolari di edifici esistenti come il Duomo di Atrani. Lo specchio è un altro gioco dell’illusione con cui l’artista olandese si confronta: ci sono sfere specchianti e pozzanghere d’acqua dove gli alberi sembrano crescere al contrario. Non c’è nulla di impossibile in questo mondo dominato da bianco e nero su cui ogni tanto fa capolino un rosso, un arancio, un verde. L’invenzione si traveste con gli abiti che gli ha tagliato addosso il più abile sarto del reale. Escher a questo mondo fantastico, a questo inganno della vista e della mente ma non del cuore, ti ci fa veramente credere. Perché per primo, molto probabilmente, ci ha creduto lui.
Escher L’arte di immaginare mondi impossibiliDa oggi al Palazzo Reale di Milano 200 opere del più grande incisore del ’900LEA MATTARELLA Restampa 24 6 2016
La fantasia al potere. O forse no. Non è facile definire l’arte di Maurits Cornelis Escher, maestro dell’incisione, nato nel 1898 e scomparso nel 1972, dopo aver dimostrato, e non soltanto a parole, che “lo stupore è il sale della terra”. Succede di tutto sui suoi fogli stampati: ci sono scale da cui non si può né scendere né salire, oggetti in continua trasformazione, superfici specchianti che dovrebbero essere sottoposte alla macchina della verità. La mostra aperta al Palazzo Reale di Milano fino al 22 gennaio 2017, curata da Marco Bussagli e Federico Giudiceandrea, è una vera e propria corsa nell’immaginazione più sfrenata, sottoposta però alle regole della scienza, della contemplazione della natura, della matematica e del rigore. Elementi che siamo abituati a pensare come inconciliabili
Escher ce li restituisce in un’inaspettata unità, sotto forma di visione. E per quanto sia autore di opere che sono diventate vere e proprie icone della contemporaneità, il maestro olandese sembra non esaurire mai le cartucce della sua arma della meraviglia. Così anche le 200 opere qui esposte divise in sei sezioni riescono a sorprendere in questo nuovo allestimento. E se le guardi pensando a quanto abbiano anticipato pensieri e immagini che sono alla base delle nuove tecnologie digitali, ti rendi anche conto del loro potenziale profetico. Tutto inizia con un viaggio in Italia, nel pieno rispetto della tradizione della pittura nordica. L’olandese Escher arriva da queste parti con i suoi genitori all’età di 22 anni. Allora è un allievo di Jesserun de Mesquita, maestro dell’art nouveau che gli insegnerà a usare la linea in maniera espressiva e a guardare la natura come qualcosa di vitale, in continua trasformazione. Finiti i suoi studi ad Harleem, rieccolo visitare di nuovo il Bel Paese, incantandosi di fronte alle 17 torri di San Gimignano che gli sembrano un sogno, qualcosa di irreale. È proprio in questo modo che interpreterà tutti i suoi paesaggi: in un perfetto equilibrio tra la precisione del dettaglio e l’atmosfera onirica.
Nel 1923, dopo il matrimonio con Jetta avvenuto a Viareggio, decide di trasferirsi a Roma. Tra gli artisti italiani che lo affascinano ci sono due irregolari come Francesco Borromini e Giovan Battista Piranesi. L’oscurità delle
Carceri
di quest’ultimo si rivela una fonte inesauribile di idee per le invenzioni prospettiche di Escher, per gli archi disegnati per unire, in storie d’amore impossibili, muri che si trovano su piani diversi, per la genesi di paradossi e enigmi. E non è un caso che alcune stampe di Piranesi troveranno poi un posto d’onore nello studio dell’artista a Chateau d’Oex in Svizzera, dove Escher si era trasferito nel 1936 a causa del clima sfavorevole dovuto all’inasprirsi del fascismo. Nel frattempo Escher farà in tempo a guardare con attenzione anche al Futurismo: le vertiginose prospettive dall’alto di certe sue vedute probabilmente risentono della suggestione dell’aeropittura e la ripetizione di una stessa immagine, nonché una certa astrazione di carattere geometrizzante, possono riferirsi alle esperienze di Giacomo Balla.
Fin dalle prime opere qui esposte si vede come il genio di Escher sia attento a tutto ciò che lo circonda: ne La divisione delle acque mostra la sua attenzione verso il mondo di Hokusai. Per comprendere a fondo la sua arte che interpreterà il mondo in termini di horror vacui è interessante sapere che c’è un momento in cui la sua fantasia si è confrontata con l’idea del vuoto giapponese. Guardando le sue opere successive è evidente come quello stesso vuoto sia diventato deliberatamente pieno: ci sono opere in cui crea forme anche nello spazio bianco tra un’immagine e l’altra. Mosaico del 1957 è un capolavoro di invenzione in questo senso: non c’è un centimetro in cui non ci sia un animale fantastico che si incastri con il vicino. Tra le vedute italiane ecco Siena dove non c’è spazio per il cielo, accanto al colonnato di San Pietro inquadrato in un’immagine notturna che pare un’opera di Roy Liechtenstein. Molti dei lavori di Escher possono essere letti come anticipazione di una chiave pop, semplificata, della visione. Eppure tutto è estremamente complicato. L’olandese è maestro nella sintesi di ciò che senza di lui sembrerebbe contraddittorio. Il Colosseo, per esempio, Escher lo interpreta come un luogo esotico dove, più che immaginare le lotte dei gladiatori, ti sembra di poter ambientare le storie di Sheherazade.
Un altro momento di passaggio è quello della seconda visita all’Alhambra a Granada, avvenuta nel 1936. Qui Escher si lascia sedurre dalla tassellatura delle decorazioni moresche e inizia un nuovo viaggio tra particolare e infinito. Le continue Metamorfosi a cui dà vita vedono uccelli trasformarsi in pesci o in pezzature di terra coltivata, scacchiere su cui troneggiano particolari di edifici esistenti come il Duomo di Atrani. Lo specchio è un altro gioco dell’illusione con cui l’artista olandese si confronta: ci sono sfere specchianti e pozzanghere d’acqua dove gli alberi sembrano crescere al contrario. Non c’è nulla di impossibile in questo mondo dominato da bianco e nero su cui ogni tanto fa capolino un rosso, un arancio, un verde. L’invenzione si traveste con gli abiti che gli ha tagliato addosso il più abile sarto del reale. Escher a questo mondo fantastico, a questo inganno della vista e della mente ma non del cuore, ti ci fa veramente credere. Perché per primo, molto probabilmente, ci ha creduto lui.
La matematica nascosta dietro i capolavori
Il maestro olandese aveva un rapporto molto stretto con numeri e geometria che ispirarono le sue composizioni
PIERGIORGIO ODIFREDDI 24/6/2016
Molti avranno visto per la prima volta il nome dell’artista Maurits Cornelius Escher nel titolo del bestseller di Douglas Hofstadter Gödel, Escher, Bach (Adelphi, 1984), unito a quello di un logico e di un musicista, e si saranno domandati quale potesse essere la connessione tra discipline così distanti fra loro. Se l’erano domandato anche i matematici accorsi nel 1954 al Congresso Internazionale di Amsterdam, durante il quale furono esposte molte litografie a contenuto geometrico del grafico olandese, che catturarono immediatamente l’attenzione della comunità.
Se c’è infatti stato un artista che ha mostrato una sensibilità per le problematiche matematiche è stato proprio Escher, che agli inizi procedette solitario sul suo cammino, e dopo il 1954 poté beneficiare del contatto e delle suggestioni fornitegli dai matematici stessi. Da un lato Roger Penrose, autore a sua volta del bestseller interdisciplinare La mente nuova dell’imperatore (Rizzoli, 1992). E dall’altro lato Donald Coxeter, protagonista della biografia Il re dello spazio infinito (Rizzoli, 2006).
Prima del 1954 Escher si era interessato del problema della divisione regolare del piano, del quale disse: «Non so immaginare cosa la mia vita sarebbe stata senza di esso. Mi ci imbattei durante le mie peregrinazioni: vidi un alto muro, lo scalai con difficoltà e mi ritrovai in una giungla. Dopo essermi aperto la via con grande sforzo giunsi alla porta della matematica, da cui si dipartivano cammini in ogni direzione».
Uno di questi cammini era appunto il ricoprimento del piano mediante tasselli, come in un gigantesco puzzle. A percorrerlo erano già stati gli Arabi, producendo capolavori come le decorazioni astratte dell’Alhambra. Escher li studiò nel corso di due visite, nel 1922 e 1936, e aggiunse al modello una nuova dimensione figurativa che riempì i suoi disegni di figure animate, specialmente pesci e uccelli, che si incastravano fra loro nelle maniere più variopinte.
Dopo il 1954 Escher esplorò le geometrie non euclidee, dietro suggerimento di Coxeter. Ciò che lo attrasse a questo argomento fu il fatto che, mentre le tassellature del piano euclideo sono sempre incomplete, quelle del piano iperbolico possono essere complete perché ne esistono modelli finiti. Il risultato furono quattro famosi esempi, i Limiti del cerchio (1959), il terzo dei quali è un capolavoro le cui copie numerate sono battute nelle aste per cifre che arrivano al milione di dollari.
Ma furono soprattutto gli sviluppi seguiti al suo incontro con Penrose a fargli produrre le sue opere più conosciute, dopo che il matematico gli mostrò una serie di oggetti paradossali. Ad esempio, i cubi reversibili, già noti ai Romani e sfruttati poi in maniera sistematica da Victor Vasarely. Il triangolo impossibile con tre angoli retti, scoperto negli anni ’30 da Oscar Reutersvärd. La scala ambigua, che sembra di poter salire sia di sopra che di sotto. E la scala senza fine, che sembra di poter salire o scendere in cerchio all’infinito.
Elaborando questi paradossi visivi Escher costruì i mondi fantastici di Convesso e concavo (1955), Belvedere (1958), Salire e scendere (1960) e Cascata (1961), che sono poi stati riprodotti all’infinito in poster e magliette, tramutando il raffinato e misterioso Escher in un artista di culto e di consumo.
Incubi gotici e scale infinite. L'architetto dell'impossibile
Libero
Andate
a vederla e perdetevi. Se lo scopo di una recensione su una mostra deve
essere quello di scoraggiare o incoraggiare il lettore a visitarla,
questo è un invito esplicito ad acquistare il biglietto per entrare a
Palazzo Reale e immergervi nel fantastico mondo di Escher.
Perdetevi
nelle sue oltre 200 opere come fa il ragazzo nella Galleria di Stampe
(1957) intento a guardare una stampa in cui è rappresentato il porto de
La Valletta nell’isola di Malta, esposta in una galleria. L’immagine si
ingrandisce sotto i suoi occhi, aumenta le sue dimensioni a tal punto da
uscire dalla sua cornice fino a confondersi con il paesaggio esterno
alla stampa e alla galleria; la sensazione è quella di essere rinviati
dall’interno all’esterno e dall’esterno all’interno, in una specie di
moto perpetuo in cui i piani si mescolano e si intersecano tanto da non
poter più capire dove finisca l’interno e dove cominci l’esterno, e
viceversa. Perdetevi nelle Mani che disegnano (1948), in cui si vedono
due mani ognuna della quali disegna l’altra, o nel famoso triangolo
impossibile del matematico Roger Penrose, nel nastro di Moebius o nel
cubo tenuto in mano dal ragazzo seduto alla base della villa, anch’essa
impossibile, nella litografia Belvedere (1958), realizzabile sul foglio
ma non nello spazio.
Il fascino di Escher
non invecchia e oltrepassa il tempo e i luoghi: nella mostra appena
inaugurata a Milano - una retrospettiva pressoché completa - viene
raccontata l’evoluzione del suo percorso creativo caratterizzato da una
linearità rarissima e quasi perfetta: dagli anni della formazione
decisamente influenzati dalle risorse artistiche, paesaggistiche e
architettoniche dell’Italia in cui visse dal 1923 al 1935, allo snodo
rappresentato dalla visita al monumento moresco dell’Alhambra, dalle
tassellature alle superfici riflettenti, dalle metamorfosi ai paradossi
geometrici, i temi si affacciano e si sviluppano con regolarità,
approfondendosi e complicandosi fin quasi all’esaurimento, per poi a
volte ritornare, anche a distanza di anni, inseriti in nuovi contesti.
Il
tutto a raccontare di un artista visionario, poliedrico e Dall’alto, in
senso orario: «Relatività», a fianco «Mano con sfera riflettente»,
sotto l’autoritratto di Escher datato 1924 e «Vincolo d’unione»
contemporaneo ante litteram, che guarda al mondo dei numeri, della
geometria e della matematica per rappresentare mondi simultanei e
infiniti in uno spazio finito; più vicino agli scienziati che agli
artisti (celebre il suo rifiuto stizzito a Mick Jagger che aveva chiesto
il permesso di usare un suo lavoro per la copertina di un disco); poco
stimato dai contemporanei, ma capace di affascinare chiunque si sia
trovato di fronte a una sua opera.
L’arte
uscita dal torchio del suo studio si è trasformata in scatole da regalo,
francobolli e biglietti d’auguri; è entrata nel mondo dei fumetti, è
finita sulle copertine degli lp di noti gruppi come i Pink Floyd; le sue
strutture impossibili sono usate per alludere a situazioni paradossali e
per stupire con architetture, nella realtà, irrealizzabili. Incisioni
come Relatività (o Case di Scale) si ritrovano nel turbinio di rampe che
vedono di volta in volta prima Mickey Mouse e poi i Simpson perdersi
nel mondo di Escher. Situazioni escheriane sono impiegate in clip
pubblicitarie come quella dell’Audi del 2007 basata su stampe famose
come Cascata. Mano con Sfera Riflettente, Altro mondo e Belvedere sono
utilizzati da Illy Caffè in una pubblicità del 2006. Nel film fantastico
Labyrinth del 1986 con David Bowie, prodotto da George Lucas, una scena
è costruita sull’immagine di Case di Scale. Anche le celebri rampe
fatate del Castello di Hogwarts nella saga di Harry Potter sono la
trasposizione dinamica di quest’opera, ripresa perfino in una delle
scene più strabilianti di Una notte al museo III e nella pubblicità di
Sky.
La mostra a Palazzo Reale, che sarà
visibile fino al 22 gennaio 2017, si articola in sei sezioni nelle quali
si trovano anche esperimenti scientifici, giochi e approfondimenti
didattici che consentono ai visitatori di ogni età di comprendere le
invenzioni spiazzanti, le prospettive impossibili, gli universi
apparentemente inconciliabili che si armonizzano in una dimensione
artistica unica. All’interno del percorso anche una straordinaria
installazione creata appositamente per la mostra di Palazzo Reale da
Studio Azzurro: in una stanza quadrata scorrono, a diverse altezze,
quattro rampe di scale. Scale sognanti è una poetica istallazione - che
suggerisce l’opera di Escher Relatività - dove un universo profondo
affonda sotto i piedi del visitatore. Tra le scale compaiono piccoli
animali, sfuggiti alle metamorfosi escheriane. L’esperienza interattiva
catapulta il visitatore in uno spazio popolato d’immagini, ma d’un
tratto le scale si fermano e gli animali scompaiono. Cade dall’alto un
oggetto, tocca una scala e rimbalza, cade più in basso e tocca un’altra
rampa, rimbalza di nuovo finché scompare lontano nel vuoto. Una voce,
intanto, racconta una brevissima storia. Quando l'oggetto ricompare
fluttuando di fronte allo spettatore, ruota come il satellite di un
pianeta, si deforma attraverso una lente e poi nulla: solo allora le
scale riprendono il moto.
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