Il viaggio dell’eroe per riconoscersiDall’Elena di Euripide al pirandelliano Mattia Pascal una guida ai grandi passaggi “dall’ignoranza allo svelamento”
UN LIBRO a lungo covato dal suo autore viene al mondo in una collana Einaudi che del made in Italy andrà citata a vanto: Riconoscere è un dio, di Piero Boitani. Sulla copertina Giuseppe riabbraccia il vecchio padre Giacobbe, così come compare nella formella del fianco destro della cattedra d’avorio nell’Arcivescovato di Ravenna: un documento di importanza e commozione straordinarie. Se nel fianco sinistro Giacobbe si strappava le vesti alla notizia della morte del figlio, qui l’abbraccio delle due figure celebra la buona novella appunto della riunione tra chi si pensava diviso per sempre dal più potente agente di separazione, la morte. Già in copertina dunque compare la prima delle molte scene di riconoscimento che incontriamo nel ricco, ricchissimo repertorio che Piero Boitani compila con straordinaria dovizia e perizia. È un libro, questo, nutrito di flemma metodica e di passione dinamica, fiammeggiante. “Repertorio”, “elenco” sono parole che vengono alla mente per descrivere l’impresa, che senz’altro ha l’aspirazione al catalogo, ma non bastano, perché oltre l’appassionata ricerca, qui conta e incanta la singola interpretazione dei testi. I testi sono quelli fondamentali nella letteratura d’occidente, Le Coefore di Eschilo, l ’ Elettra di Sofocle e Euripide, Re Lear, Amleto, la Genesi, Il Paradiso perduto, Giuseppe e i suoi fratelli, Elena di Euripide, I Vangeli, Il racconto d’inverno, I racconti di Canterbury, la Commedia, La terra desolata, Il conte di Montecristo, Il fu Mattia Pascal, Giobbe di Joseph Roth. È complesso e affascinante il cammino, e ci porta a tornare sui testi centrali del canone educativo di un mondo che fu, e non si vorrebbe lasciar cadere nell’oblio. Pene- lope che riconosce Odisseo è senz’altro la più bella scena d’amore coniugale, basta leggere e vengono le lacrime agli occhi non solo a Odisseo... Il percorso attraverso cui il critico istruisce il suo caso, teso a dimostrare l’assoluta centralità del tema che ha scelto, prende avvio da un’indicazione di Aristotele, il quale nella sua Poetica rileva come l’ anagnorisis e cioè il riconoscimento, che i latini chiameranno agnitio, e cioè agnizione, sia centrale. È un dato di fatto, Aristotele osserva: nella commedia come nella tragedia accade un mutamento per cui il personaggio passa dall’ignoranza alla conoscenza; e questo passaggio conduce ad amicizia, oppure all’ostilità. Da qui discende il moto stesso del racconto.
Le scintille divine di Pietro Boitani
Mi è capitato più volte di sostenere che la critica tematica ha basi teoriche abbastanza fragili, nonostante ci siano stati tentativi di trasformarla in un metodo rigoroso e scientifico (soprattutto da semiotici e storici della cultura come Lotman, Shcheglov e Ziolkowski). La sua forza, secondo me, sta nella sua stessa fragilità, e nell’essere una libera avventura fra i testi, nel dipendere da una scelta soggettiva, quasi arbitraria, del tema da indagare. Quando funziona bene, producendo un lavoro interessante e chiarificatore, nasce da una felice intuizione, a volte addirittura da una scelta casuale.
L’ultimo esempio di critica tematica che l’editoria italiana ha mandato in libreria è lo splendido, dottissimo libro, che Piero Boitani ha dedicato al tema dell’agnizione, o riconoscimento, Riconoscere è un dio Scene e temi del riconoscimento nella letteratura (Einaudi, pp. 474, 34,00). Se Romano Luperini, qualche anno fa, anche lui con un bel libro di critica tematica L’incontro e il caso. Narrazioni moderne e destino dell’uomo occidentale (Laterza) aveva dedicato un’indagine a largo raggio, intensamente pensata, a quello che era, più che un tema, una situazione della vita quotidiana e un pretesto di tante trame narrative (incontri casuali, incontri fatali con il destino), Boitani fa una scelta che va molto più a fondo: gli incontri di cui parla comportano nei protagonisti delle storie che racconta coinvolgimenti e tensioni profonde, con forti implicazioni psicologiche e conoscitive e radici mitiche e arcaiche forse anche più perturbanti di quelle di Proteo, pure lui oggetto di un incontro e un riconoscimento, dai risvolti drammatici e comici, da parte di Menelao (questa storia non fa parte di quelle prese in esame da Boitani, anche se le peregrinazioni di Menelao, dopo la caduta di Troia, e le sue avventure in Egitto sono simili a quelle di Ulisse, studiatissime da Boitani).
Come sia giunto a scegliere questo tema, così radicato nelle situazioni più drammatiche dell’avventura e della conoscenza umana, ce lo racconta lo stesso Boitani. Il libro, scrive, «è nato trent’anni fa e ha una storia fatta di peripezie e riconoscimenti come tutte le epopee, le commedie e i romanzi che si rispettino. Ricordo benissimo l’esultanza che provai nell’aver scoperto – mi trovavo a Cambridge, all’epoca – questo tema, il quale si poteva prestare, con il titolo di Anagnorisis (agnizione, in greco), a una trattazione simile a quella dedicata da Auerbach all’imitazione della realtà, Mimesis, nella letteratura. C’era un senso di improvvisa rivelazione e un desiderio di scavo febbrile tra i libri, a teatro, nell’opera, al cinema».
Per fortuna Boitani ha solo interrotto e rinviato, o anticipato qua e là, la sua ricerca nei trent’anni trascorsi dalla prima formulazione del progetto. Ha lavorato a lungo sul mito di Ulisse, su Shakespeare, su Dante, su Omero, sulla Bibbia; si è lasciato trasportare dalle parole alate in Voli nella poesia e nella storia da Omero all’11 settembre, si è perso, con lo sguardo di Galileo e di Leopardi, nella contemplazione della volta celeste, fra zodiaci, mappamondi e cosmografie nel Grande racconto delle stelle; ma poi è tornato al tema di Cambridge e ha finalmente prodotto questo ricchissimo libro, che è in realtà la summa di una ricerca e di una vita.
Colpisce il fatto che l’autore, non diversamente da quanto Auerbach aveva fatto a suo tempo, scrivendo Mimesis nell’esilio di Istanbul, ha spaziato su tutta la letteratura della tradizione occidentale, cominciando proprio, come Auerbach, dalla Bibbia e da Omero. Per la Bibbia, già da Auerbach considerata come grande racconto immaginario, letteratura quindi e non libro di teologia, Boitani ha potuto farsi forte della tendenza, ormai diffusa fra gli studiosi, di applicare all’interpretazione del testo i metodi della filologia, della critica letteraria e della narratologia (sulle orme di Northrop Frye, Robert Alter e Frank Kermode). Ma ancora di più colpisce il fatto che l’uno dopo l’altro vengano presi in esame grandissimi e studiatissimi testi di quella che potremmo chiamare, riprendendo Leavis, la «grande tradizione», e che leggendo quei testi dall’angolo visuale del tema del riconoscimento, Boitani riesca a renderceli tutti in una luce nuova, a volte davvero sorprendente.
La sua indagine passa dalle tragedie greche di Eschilo, Sofocle e Euripide alla Divina Commedia, dalle Mille e una notte al Corano al Sakuntala di Kalidasa, dalle fiabe dei Grimm al Conte di Montecristo, dal Vangelo del misterioso Giovanni ai Karamazov di Dostoevskij, dal Pericle al Racconto d’inverno al Re Lear di Shakespeare, dal Messia di Klopstock al Fu Mattia Pascal di Pirandello, dal Tristano di Malory al Little Gidding di T. S. Eliot, da Hartmann von Aue a Geoffrey Chaucer e via via alle tante riscritture di cui pullula la letteratura mondiale: il Paradiso perduto di Milton, Giuseppe e i suoi fratelli di Thomas Mann, il Giobbe di Joseph Roth, il Pericle ripreso nella lirica Marina di T. S. Eliot, i tanti Edipi, le tante Elettre, i tanti alt>ri Giobbe, e così via.
Sarebbero numerosi gli esempi che confermano questa impressione di fresca rilettura e nuove interpretazioni di opere anche studiatissime, ottenute usando la chiave tematica del riconoscimento. Fra le tante che vengono in questo libro analizzate con acribia e interpretate in modo nuovo e convincente, ne scelgo una che serve a spiegare il curioso titolo del libro e va a costituire un pezzo di un grande mosaico di sondaggi, rapporti e confronti fra un grande numero di testi. È la tragedia Elena scritta da Euripide negli ultimi anni della vita, prendendo spunto dell’idea che in realtà Elena non sia mai stata a Troia, non sia mai stata rapita da Paride: non sia lei quella che i vecchi della città hanno contemplato sulle mura di Ilio, ma un fantasma, un’immagine fatta con l’aria del cielo per uno stratagemma della dea Era. La vera Elena sarebbe stata invece rapita da Ermes, nascosta in una nube e portata in Egitto, nella casa proprio del casto Proteo, il cui figlio Teoclimeno ora le dà la caccia per sposarla, come una seconda Penelope.
È lì che arriva, nel corso delle peripezie del suo nostos (ritorno in patria), il marito Menelao ed è lì che un giorno avviene l’incontro e il riconoscimento fra i due coniugi, ormai cambiati dagli anni e dalle avventure, particolarmente lui che è vestito di stracci. È Elena che riconosce il marito per prima e dopo un attimo di cecità, anche a causa dell’aspetto di lui, non ha dubbi e sussurra: «Oh dei! Perché riconoscere quelli che amiamo è un dio».
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