domenica 28 settembre 2014

Le agnizioni nella storia della letteratura occidentale

Riconoscere è un dioPiero Boitani: Riconoscere è un dio. Scene e temi del riconoscimento nella letteratura, Einaudi

Risvolto
«L'Odissea è il primo e piú grande universo del riconoscimento nella nostra letteratura. Il passaggio dall'ignoranza alla conoscenza, che tocca un uomo nella carne, è una scena ricorrente, e dunque un tema che in ultima analisi afferma la fede originaria nella propria identità, nella coincidenza dell'apparire e dell'essere. È questa iterazione delle scene di riconoscimento con le loro variazioni e il loro gioco grandioso sui sentimenti umani che ci commuove, ci libera e ci spinge a proiettarci su Odisseo. Riconoscendolo con gli altri personaggi del poema, riempiamo un vuoto psicologico ed emotivo, riscoprendo il valore dei segni, della memoria, della poesia, dell'amore. Non solo entriamo nel mondo della guerra, delle peregrinazioni e dell'esplorazione, dei morti viventi, della casa e del ritorno a casa, del racconto, ma diventiamo, anche, consapevoli delle potenzialità della nostra identità, comprendendo che anche noi possiamo essere "multiformi" se solo trattiamo la nostra intelligenza con la stessa pazienza e costanza di Odisseo».
Il riconoscimento - l'agnizione dei latini, l'anagnorisis dei greci - è uno dei piú grandi scandali della letteratura: ha luogo nell'azione drammatica, nel romanzo, nell'opera, nel cinema, e spesso scrittori maggiori e minori ne hanno fatto uso strumentale all'unico scopo di portare a conclusione la propria opera. È anche, però, un elemento centrale, come già rilevava Aristotele, della tragedia e della narrazione complessa, perché mette in scena l'affiorare della conoscenza: non in un processo teorico astratto, ma nella carne stessa, nei sentimenti, nell'intelligenza, degli esseri umani. Questo libro esplora le scene e i temi del riconoscimento dalla letteratura antica a quella medievale e moderna: da Omero e dalla sua Odissea all'Antico e al Nuovo Testamento; da Eschilo, Euripide e Sofocle a Shakespeare, da Dante a T. S. Eliot; dal Conte di Montecristo di Dumas al Giobbe di Roth, dal Giuseppe e i suoi fratelli di Mann all'Ulisse di Joyce. In ogni capitolo a un testo antico fa riscontro una serie di testi moderni, mentre la teoria del riconoscimento segue il percorso parallelo da Platone e Aristotele ai Padri della Chiesa e a Freud. Riconoscere, dice Euripide, è un dio: il deflagrare della conoscenza tra persone che si amano, o si odiano, possiede la forza, la sublimità, l'ilarità che per pochi attimi ci fa provare la vertigine del divino.

Il viaggio dell’eroe per riconoscersiDall’Elena di Euripide al pirandelliano Mattia Pascal una guida ai grandi passaggi “dall’ignoranza allo svelamento”


di Nadia Fusini Repubblica 28.9.14

UN LIBRO a lungo covato dal suo autore viene al mondo in una collana Einaudi che del made in Italy andrà citata a vanto: Riconoscere è un dio, di Piero Boitani. Sulla copertina Giuseppe riabbraccia il vecchio padre Giacobbe, così come compare nella formella del fianco destro della cattedra d’avorio nell’Arcivescovato di Ravenna: un documento di importanza e commozione straordinarie. Se nel fianco sinistro Giacobbe si strappava le vesti alla notizia della morte del figlio, qui l’abbraccio delle due figure celebra la buona novella appunto della riunione tra chi si pensava diviso per sempre dal più potente agente di separazione, la morte. Già in copertina dunque compare la prima delle molte scene di riconoscimento che incontriamo nel ricco, ricchissimo repertorio che Piero Boitani compila con straordinaria dovizia e perizia. È un libro, questo, nutrito di flemma metodica e di passione dinamica, fiammeggiante. “Repertorio”, “elenco” sono parole che vengono alla mente per descrivere l’impresa, che senz’altro ha l’aspirazione al catalogo, ma non bastano, perché oltre l’appassionata ricerca, qui conta e incanta la singola interpretazione dei testi. I testi sono quelli fondamentali nella letteratura d’occidente, Le Coefore di Eschilo, l ’ Elettra di Sofocle e Euripide, Re Lear, Amleto, la Genesi, Il Paradiso perduto, Giuseppe e i suoi fratelli, Elena di Euripide, I Vangeli, Il racconto d’inverno, I racconti di Canterbury, la Commedia, La terra desolata, Il conte di Montecristo, Il fu Mattia Pascal, Giobbe di Joseph Roth. È complesso e affascinante il cammino, e ci porta a tornare sui testi centrali del canone educativo di un mondo che fu, e non si vorrebbe lasciar cadere nell’oblio. Pene- lope che riconosce Odisseo è senz’altro la più bella scena d’amore coniugale, basta leggere e vengono le lacrime agli occhi non solo a Odisseo... Il percorso attraverso cui il critico istruisce il suo caso, teso a dimostrare l’assoluta centralità del tema che ha scelto, prende avvio da un’indicazione di Aristotele, il quale nella sua Poetica rileva come l’ anagnorisis e cioè il riconoscimento, che i latini chiameranno agnitio, e cioè agnizione, sia centrale. È un dato di fatto, Aristotele osserva: nella commedia come nella tragedia accade un mutamento per cui il personaggio passa dall’ignoranza alla conoscenza; e questo passaggio conduce ad amicizia, oppure all’ostilità. Da qui discende il moto stesso del racconto.

È dallo scambio di battute tra Elena e Menelao che Boitani riprende il bel titolo, Riconoscere è un dio, osservando che Elena ha proprio ragione, quando nel dramma euripideo afferma che l’atto del riconoscere ha «un che di divino». E il divino è dovunque, perché dappertutto non ci sono che riconoscimenti, secondo il nostro ricercatore appassionato. E dovunque, in potenza, la gioia. Perché il riconoscimento dà gioia.


Le scintille divine di Pietro Boitani
Dedicato al tema dell’agnizione, l’ultimo saggio dell’anglista ripercorre tutta la letteratura della tradizione occidentale cominciando, come già Auerbach in «Mimesis», dalla Bibbia e da Omero per arrivare aMann e Joyce: «Riconoscere è un dio»— 
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Mi è capi­tato più volte di soste­nere che la cri­tica tema­tica ha basi teo­ri­che abba­stanza fra­gili, nono­stante ci siano stati ten­ta­tivi di tra­sfor­marla in un metodo rigo­roso e scien­ti­fico (soprat­tutto da semio­tici e sto­rici della cul­tura come Lot­man, Shche­glov e Ziol­ko­w­ski). La sua forza, secondo me, sta nella sua stessa fra­gi­lità, e nell’essere una libera avven­tura fra i testi, nel dipen­dere da una scelta sog­get­tiva, quasi arbi­tra­ria, del tema da inda­gare. Quando fun­ziona bene, pro­du­cendo un lavoro inte­res­sante e chia­ri­fi­ca­tore, nasce da una felice intui­zione, a volte addi­rit­tura da una scelta casuale.
In una situa­zione così labile e incerta è tanto più impor­tante che il tema abbia una sua ampiezza e den­sità seman­tica, pro­fonde radici cul­tu­rali e anche una pos­si­bi­lità di incar­narsi in pro­ce­di­menti e forme nuove e sor­pren­denti. È quanto accade, per fare due esempi non troppo lon­tani nel tempo, in Feticci di Mas­simo Fusillo (il Mulino) gra­zie ai molti col­le­ga­menti che il tema ha con l’antropologia, le rap­pre­sen­ta­zioni sim­bo­li­che, il mondo delle merci e le pra­ti­che della ripro­du­zione visiva, della messa in scena, dell’installazione; e in Il para­dosso di Pro­teo. Sto­ria di una rap­pre­sen­ta­zione cul­tu­rale da Omero al postu­mano (Carocci) di Atti­lio Scu­deri, che rico­strui­sce la fitta rete meta­mor­fica della figura del vec­chio dio marino, appro­dato in terra egi­ziana dalle pro­fon­dità arcai­che e pre­o­lim­pi­che del mito, e ricom­parso, pro­tei­forme, con una pre­senza costante, quasi osses­siva e per­tur­bante, in tutta la let­te­ra­tura mon­diale a par­tire dalle prime rap­pre­sen­ta­zioni in Omero via via fino a Joyce, Barth, Bor­ges, allo Zelig di Woody Allen e all’illusionismo dei Momix.
L’ultimo esem­pio di cri­tica tema­tica che l’editoria ita­liana ha man­dato in libre­ria è lo splen­dido, dot­tis­simo libro, che Piero Boi­tani ha dedi­cato al tema dell’agnizione, o rico­no­sci­mento, Rico­no­scere è un dio Scene e temi del rico­no­sci­mento nella let­te­ra­tura (Einaudi, pp. 474, 34,00). Se Romano Lupe­rini, qual­che anno fa, anche lui con un bel libro di cri­tica tema­tica L’incontro e il caso. Nar­ra­zioni moderne e destino dell’uomo occi­den­tale (Laterza) aveva dedi­cato un’indagine a largo rag­gio, inten­sa­mente pen­sata, a quello che era, più che un tema, una situa­zione della vita quo­ti­diana e un pre­te­sto di tante trame nar­ra­tive (incon­tri casuali, incon­tri fatali con il destino), Boi­tani fa una scelta che va molto più a fondo: gli incon­tri di cui parla com­por­tano nei pro­ta­go­ni­sti delle sto­rie che rac­conta coin­vol­gi­menti e ten­sioni pro­fonde, con forti impli­ca­zioni psi­co­lo­gi­che e cono­sci­tive e radici miti­che e arcai­che forse anche più per­tur­banti di quelle di Pro­teo, pure lui oggetto di un incon­tro e un rico­no­sci­mento, dai risvolti dram­ma­tici e comici, da parte di Mene­lao (que­sta sto­ria non fa parte di quelle prese in esame da Boi­tani, anche se le pere­gri­na­zioni di Mene­lao, dopo la caduta di Troia, e le sue avven­ture in Egitto sono simili a quelle di Ulisse, stu­dia­tis­sime da Boitani).
Come sia giunto a sce­gliere que­sto tema, così radi­cato nelle situa­zioni più dram­ma­ti­che dell’avventura e della cono­scenza umana, ce lo rac­conta lo stesso Boi­tani. Il libro, scrive, «è nato trent’anni fa e ha una sto­ria fatta di peri­pe­zie e rico­no­sci­menti come tutte le epo­pee, le com­me­die e i romanzi che si rispet­tino. Ricordo benis­simo l’esultanza che pro­vai nell’aver sco­perto – mi tro­vavo a Cam­bridge, all’epoca – que­sto tema, il quale si poteva pre­stare, con il titolo di Ana­gno­ri­sis (agni­zione, in greco), a una trat­ta­zione simile a quella dedi­cata da Auer­bach all’imitazione della realtà, Mime­sis, nella let­te­ra­tura. C’era un senso di improv­visa rive­la­zione e un desi­de­rio di scavo feb­brile tra i libri, a tea­tro, nell’opera, al cinema».
Per for­tuna Boi­tani ha solo inter­rotto e rin­viato, o anti­ci­pato qua e là, la sua ricerca nei trent’anni tra­scorsi dalla prima for­mu­la­zione del pro­getto. Ha lavo­rato a lungo sul mito di Ulisse, su Sha­ke­speare, su Dante, su Omero, sulla Bib­bia; si è lasciato tra­spor­tare dalle parole alate in Voli nella poe­sia e nella sto­ria da Omero all’11 set­tem­bre, si è perso, con lo sguardo di Gali­leo e di Leo­pardi, nella con­tem­pla­zione della volta cele­ste, fra zodiaci, map­pa­mondi e cosmo­gra­fie nel Grande rac­conto delle stelle; ma poi è tor­nato al tema di Cam­bridge e ha final­mente pro­dotto que­sto ric­chis­simo libro, che è in realtà la summa di una ricerca e di una vita.
Col­pi­sce il fatto che l’autore, non diver­sa­mente da quanto Auer­bach aveva fatto a suo tempo, scri­vendo Mime­sis nell’esilio di Istan­bul, ha spa­ziato su tutta la let­te­ra­tura della tra­di­zione occi­den­tale, comin­ciando pro­prio, come Auer­bach, dalla Bib­bia e da Omero. Per la Bib­bia, già da Auer­bach con­si­de­rata come grande rac­conto imma­gi­na­rio, let­te­ra­tura quindi e non libro di teo­lo­gia, Boi­tani ha potuto farsi forte della ten­denza, ormai dif­fusa fra gli stu­diosi, di appli­care all’interpretazione del testo i metodi della filo­lo­gia, della cri­tica let­te­ra­ria e della nar­ra­to­lo­gia (sulle orme di Nor­th­rop Frye, Robert Alter e Frank Ker­mode). Ma ancora di più col­pi­sce il fatto che l’uno dopo l’altro ven­gano presi in esame gran­dis­simi e stu­dia­tis­simi testi di quella che potremmo chia­mare, ripren­dendo Lea­vis, la «grande tra­di­zione», e che leg­gendo quei testi dall’angolo visuale del tema del rico­no­sci­mento, Boi­tani rie­sca a ren­der­celi tutti in una luce nuova, a volte dav­vero sorprendente.
La sua inda­gine passa dalle tra­ge­die gre­che di Eschilo, Sofo­cle e Euri­pide alla Divina Com­me­dia, dalle Mille e una notte al Corano al Sakun­tala di Kali­dasa, dalle fiabe dei Grimm al Conte di Mon­te­cri­sto, dal Van­gelo del miste­rioso Gio­vanni ai Kara­ma­zov di Dostoe­v­skij, dal Peri­cle al Rac­conto d’inverno al Re Lear di Sha­ke­speare, dal Mes­sia di Klop­stock al Fu Mat­tia Pascal di Piran­dello, dal Tri­stano di Malory al Lit­tle Gid­ding di T. S. Eliot, da Hart­mann von Aue a Geof­frey Chau­cer e via via alle tante riscrit­ture di cui pul­lula la let­te­ra­tura mon­diale: il Para­diso per­duto di Mil­ton, Giu­seppe e i suoi fra­telli di Tho­mas Mann, il Giobbe di Joseph Roth, il Peri­cle ripreso nella lirica Marina di T. S. Eliot, i tanti Edipi, le tante Elet­tre, i tanti alt>ri Giobbe, e così via.
Sareb­bero nume­rosi gli esempi che con­fer­mano que­sta impres­sione di fre­sca rilet­tura e nuove inter­pre­ta­zioni di opere anche stu­dia­tis­sime, otte­nute usando la chiave tema­tica del rico­no­sci­mento. Fra le tante che ven­gono in que­sto libro ana­liz­zate con acri­bia e inter­pre­tate in modo nuovo e con­vin­cente, ne scelgo una che serve a spie­gare il curioso titolo del libro e va a costi­tuire un pezzo di un grande mosaico di son­daggi, rap­porti e con­fronti fra un grande numero di testi. È la tra­ge­dia Elena scritta da Euri­pide negli ultimi anni della vita, pren­dendo spunto dell’idea che in realtà Elena non sia mai stata a Troia, non sia mai stata rapita da Paride: non sia lei quella che i vec­chi della città hanno con­tem­plato sulle mura di Ilio, ma un fan­ta­sma, un’immagine fatta con l’aria del cielo per uno stra­ta­gemma della dea Era. La vera Elena sarebbe stata invece rapita da Ermes, nasco­sta in una nube e por­tata in Egitto, nella casa pro­prio del casto Pro­teo, il cui figlio Teo­cli­meno ora le dà la cac­cia per spo­sarla, come una seconda Penelope.
È lì che arriva, nel corso delle peri­pe­zie del suo nostos (ritorno in patria), il marito Mene­lao ed è lì che un giorno avviene l’incontro e il rico­no­sci­mento fra i due coniugi, ormai cam­biati dagli anni e dalle avven­ture, par­ti­co­lar­mente lui che è vestito di stracci. È Elena che rico­no­sce il marito per prima e dopo un attimo di cecità, anche a causa dell’aspetto di lui, non ha dubbi e sus­surra: «Oh dei! Per­ché rico­no­scere quelli che amiamo è un dio».

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