L'ideale sarebbe che li facesse a pezzetti così piccoli da impedire loro di fare danno. Lo scenario peggiore è attualmente la scissione del PD, con tutte queste animelle che vanno da Vendola e con Grassi, Ferrero e Procaccini che si infilano [SGA].
La minoranza Pd tratta sul reintegro ma è pronta alla resa
I bersaniani ritirano l’arma del referendumdi Carlo Bertini La Stampa 25.9.14
Il premier prepara l’ultimo affondo
In
direzione «Li fregherò tutti». Possibili concessioni solo dopo, al
Senato. Stumpo: sapete come andrà a finire nella riunione del 29?
Perderemo 15 a 85
di Maria Teresa Meli Corriere 25.9.14
qui
Grillo flirta con la minoranza e in questo modo compatta il Pd
di Marcello Sorgi La Stampa 25.9.14
Dal
blog di Beppe Grillo arriva un insperato (e soprattutto non richiesto)
aiuto alla minoranza del Pd in lotta contro la riforma del lavoro
proposta da Renzi. Cosa aspettate - chiede il M5s - a rompere e ad
allearvi con tutti quelli che in Parlamento si batteranno per non far
passare l’abolizione dell’articolo 18? A suo modo Grillo (anche se il
testo è ad opera di Aldo Giannuli, ideologo del movimento) si sforza di
essere convincente. In un momento come questo tutti devono fare uno
sforzo di generosità, abbandonare posizioni di parte e unirsi per
sconfiggere il governo. In altre parole è la proposta di un ribaltone
che dovrebbe portare Renzi in minoranza in Senato grazie a un’intesa tra
tutte le opposizioni e i franchi tiratori presenti nei partiti della
maggioranza.
Ma paradossalmente, l’effetto raggiunto dalla mossa di
Grillo potrebbe essere opposto. In primo luogo perché riduce lo spazio
di manovra di Bersani e della minoranza Pd, che hanno sempre detto che
non si propongono di far cadere il governo, ma di trattare e ottenere
ascolto su una versione più accettabile della riforma. Con Grillo in
campo, e il numero dei franchi tiratori difficilmente valutabile, la
“terza via” bersaniana diventa più stretta e rimane appesa alla
pregiudiziale anti berlusconiana, che l’ex segretario del Pd ha spiegato
martedì sera nell’intervista a Giovanni Floris: se avendo la
possibilità di condurre il partito a una posizione unitaria, Renzi
invece sceglie di non modificare per nulla le sue posizioni e di
avvalersi dell’appoggio offertogli da Berlusconi, vuol dire che fa una
scelta di campo e si allontana dalla linea sulla quale ha vinto il
congresso ed è stato eletto segretario.
Sembra difficile che
argomenti come questi possano far breccia sulla volontà del premier, il
quale è sì disposto a esaminare la possibilità di aggiustamenti al testo
della sua riforma, ma considera gli emendamenti della minoranza del Pd
mirati in tutto e per tutto a vanificarla.
In questo quadro
l’iniziativa del leader del Movimento 5 stelle s’inserisce più a
svantaggio che non a favore dei dissidenti Democrat. Per Renzi infatti
sarà gioco facile ribaltare il ragionamento e mettere i suoi oppositori
di fronte all’alternativa: o con me o con Grillo. I margini per un
eventuale negoziato interno al Pd si riducono perché l’alleanza con
Grillo, anche per i termini in cui è proposta (il blog M5s attacca anche
il Presidente della Repubblica Napolitano), diventa difficile da
prendere in considerazione. Renzi in direzione potrà presentare
l’eventuale soccorso azzurro di Berlusconi come uno stato di necessità:
pur di approvare una riforma così urgente, insomma, non c’è da fare
tanto gli schizzinosi.
Il Corriere affonda Renzi: puzza di massoni dietro il patto con B.
Editoriale durissimo del direttore De Bortoli che denuncia l’arroganza del premier e la debolezza dei ministri
di Stefano Feltri il Fatto 25.9.14
Perché
il direttore del Corriere della Sera Ferruccio de Bortoli attacca così
frontalmente il premier Matteo Renzi? Perché evoca la troika, i segreti
del patto del Nazareno e, a questo proposito, sente lo “stantio odore
della massoneria”? Spiegazione giornalistica: ieri il Corriere ha
cambiato formato e grafica, ci voleva un editoriale del direttore e De
Bortoli è riuscito a scriverne uno che ha reso imperdibile la lettura
del giornale. Ma il Corriere è anche il giornale dei poteri (un tempo)
forti, quello che la loggia P2 comprò con i soldi del banco Ambrosiano
di Roberto Calvi e nel cui azionariato tormentato tuttora si scontrano
gli ultimi frequentatori dei salotti della finanza, Diego Della Valle
contro Giovanni Bazoli di Intesa e la Fiat di Sergio Marchionne e
John Elkann. E se il Corriere sfiducia il governo – a cui non ha mai
riconosciuto grandi meriti – nei palazzi romani si passa la giornata a
cercare il mandante o almeno un’interpretazione.
DE BORTOLI PARLA di
“muscolarità che tradisce debolezza” e di una squadra di ministri “di
una debolezza disarmante” (tranne Pier Carlo Padoan all’Economia),
uomini e donne scelti in base alla fedeltà invece che alla competenza.
Osservazioni molto condivise in quei settori di impresa e finanza che
hanno accolto con entusiasmo Renzi ma ora non vedono alcun miracolo.
Basta leggere il Sole 24 Ore di Confindustria o gli editoriali di
Wolfgang Munchau sul Financial Times. Soltanto Sergio Marchionne, che si
prepara ad accogliere Renzi alla Chrysler a Detroit e invoca la riforma
dell’articolo 18, rimane decisamente renziano: “L’editoriale del
Corriere? Normalmente non lo leggo”. Parole che evocano quelle che usò
Silvio Berlusconi nel 2008 quando suggerì a Giulio Anselmi della Stampa e
a Paolo Mieli del Corriere di “cambiare mestiere”. I due direttori
furono cacciati. De Bortoli non corre lo stesso rischio perché è già
stato licenziato, se ne andrà in primavera come da accordi con
l’azienda, dopo ripetuti scontri con l’amministratore delegato Pietro
Scott Jovane. Per lunghi mesi, quindi, De Bortoli sarà al comando ma
libero – più del solito – di dire quello che vuole.
E allora avanti
con le suggestioni, a metà tra fantapolitica e analisi. Renzi aveva
attaccato in Parlamento, con toni intimidatori, proprio il Corriere, reo
di aver dato notizia dell’indagine per corruzione internazionale su
Claudio Descalzi, il manager scelto dal governo per la guida dell’Eni. E
il premier, il 16 settembre, alla Camera attacca: “Non permettiamo a un
avviso di garanzia citofonato sui giornali o a uno scoop di cambiare la
politica industriale nazionale”. E allora, zac, De Bortoli risponde
alle minacce con l’editoriale “Il nemico allo specchio”. Il sito
Dagospia riferisce anche che il premier avrebbe protestato perché da via
Solferino avevano mandato un inviato nell’albergo delle vacanze
presidenziali a Forte dei Marmi. Ma queste sono minuzie che non
appassionano chi preferisce vedere disegni più vasti dietro l’attacco
del Corriere. Tipo: Mario Draghi ha ormai deciso di lasciare la Bce
l’anno prossimo per andare al Quirinale, dove Renzi non lo vuole perché
si troverebbe commissariato, De Bortoli supporta Draghi e asseconda quei
poteri che sarebbero rassicurati dal vedere il banchiere centrale al
vertice della politica italiana (peccato che non è affatto detto che
Draghi voglia e possa andarsene da Francoforte senza destabilizzare i
mercati mondiali). Infine l’ipotesi più ardita: il direttore del
Corriere pensa alla politica, ma non come sindaco di Milano (ipotesi di
cui si discute da anni), bensì come portabandiera di uno schieramento
alternativo al Pd renziano. I salotti non hanno più un loro uomo, visto
che l’ambizioso Corrado Passera convince poco.
FANTAPOLITICA a parte,
resta quel riferimento sorprendente alla massoneria. Forse De Bortoli
ha indiscrezioni su indagini fiorentine? Siti e personaggi dalla
discutibile attendibilità sostengono che ci siano legami tra Tiziano
Renzi, il papà, Denis Verdini (Forza Italia) e logge toscane. Illazioni
mai dimostrate. Dall’America Renzi commenta solo così: “Auguri al
Corriere per la nuova grafica”. In privato si limita a dire: “Se c’è una
cosa che è lontana da me e da mio padre è la massoneria”.
Vedremo se De Bortoli e i suoi cronisti produrranno elementi per smentirlo.
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