martedì 30 settembre 2014

"Umbrella Revolution": la costruzione scientifica della destabilizzazione della Cina ha il suo logo

Foto: Uno dei simboli della protesta ("rivoluzione") in atto ad Hong Kong che ha il merito di chiarire la posta in gioco: la fine del controllo cinese (e del Partito comunista) su Hong Kong. Il ritorno al 1842! 
La scelta dei colori (l'arcobaleno della pace) è tutt'altro che casuale e fa l'occhiolino ad un movimento pacifista internazionale immerso in contraddizioni e subalternità che ne fanno un utile strumento di sostegno alla sovversione.
Da Spogli e altro [SGA].

Sovversioni colorate: è arrivato il momento della Cina?

di Diego Angelo Bertozzi per Marx21.it

Ombrelli, libri, libertà I ragazzi della rivoluzione
di Guido Santevecchi
Corriere 30.9.14


HONG KONG Quando scende la notte, alla curva della sopraelevata, a Cotton Tree Drive, i ragazzi rimettono le mantelline di cellophane, gli occhialoni, le mascherine. E cominciano ad allineare gli ombrelli aperti davanti alla barricata che blocca la strada e decine di altri incroci nel centro di Hong Kong. La città è paralizzata per il secondo giorno di seguito dalla protesta contro la legge elettorale disegnata da Pechino per rendere una farsa il voto a suffragio universale promesso per il 2017. 
Quegli ombrelli, usati per proteggersi dagli spray urticanti della polizia, sono diventati il simbolo del movimento democratico. La stanno già chiamando la Rivoluzione degli ombrelli. Max, un ragazzo alto e magro, 22 anni, mi passa una mascherina: «Meglio metterla, domenica ci hanno attaccato proprio a quest’ora, con il buio». Max studia al Politecnico, accanto a lui una ragazzina, lui le dà una carezza sui capelli. «Ci siamo trovati proprio in mezzo ai lacrimogeni, è stato un attimo, non si riusciva a respirare, una cosa davvero brutta». 
Il secondo giorno della rivolta di Hong Kong è cominciato alle 6.30 con l’alzabandiera della Repubblica Popolare a Admiralty, nome ereditato dall’ammiragliato coloniale britannico. I ragazzi rimasti per tutta la notte dopo la battaglia di domenica hanno fischiato e fatto gestacci. Poi hanno riso, perché nella fretta gli addetti hanno issato lo stendardo rosso al contrario, con la corona di stelle rivolta verso il basso. Segno di insicurezza. Un altro segnale di ansia, forse il più importante finora, è la cancellazione dei grandi fuochi d’artificio previsti in città per domani, Primo ottobre, il giorno della festa nazionale cinese. Il comando di polizia ha anche deciso di ritirare i suoi uomini in tenuta antisommossa: fino a notte non si sono visti i loro elmetti integrali in giro. Solo poliziotti in camicia e berretto. 
Forse le autorità di Hong Kong, nonostante la durezza di Pechino che ha dichiarato ogni assembramento nel territorio illegale e da reprimere e i manifestanti estremisti, si sono rese conto che la linea dura non ha pagato. Anzi. Ieri il numero dei ragazzi in strada è cresciuto di molto: decine e decine di migliaia, rumorosi e ordinati. In Cina la gente non lo sa, perché è calata la censura e anche i social network come Instagram sono stati bloccati per cancellare le immagini della rivolta. 
È un fiume grosso e nero quello che abbiamo visto nel centro di Hong Kong. La superstrada Harcourt Road che taglia il centro è occupata per tre o quattro chilometri dai ragazzi in maglietta nera, nastro giallo appuntato sul petto o legato al polso. Solo qui saranno diecimila, si fa fatica a risalirlo. Di fatto la city è pedonalizzata, per forza. Chiusa Queensway, irraggiungibili in auto Central, Admiralty, Causeway Bay, blocchi anche dall’altra parte della baia, a Kowloon. I ragazzi dei licei e delle università hanno facce pulite. Offrono mascherine, ombrelli, carta igienica, acqua, frutta, merendine. Ci sono centri di distribuzione del materiale utile a sostenere l’assedio. Circolano anche bustine di cerotti antifebbre, perché qui è estate, ci sono più di 30 gradi appiccicosi. 
Le strade sono rimaste pulite perché i giovani si sono organizzati e fanno la raccolta dei rifiuti, con metodo, differenziata tra bottiglie di plastica, cartacce, cellophane. Chan Ho Wun, 18 anni, orecchino a pipistrello, grida al megafono. Che cosa? «Passo i messaggi che arrivano dal fondo dello schieramento». Domenica notte gli anziani di Occupy Central vi hanno chiesto di andare a casa, perché siete ancora qui? «L’altra notte era giusto ritirarci, si era fatto troppo pericoloso, ma oggi è giusto essere tornati in tanti». 
Cheng Lili ha 13 anni, va alle medie. «Ieri non c’ero, sono venuta oggi perché hanno picchiato i compagni, non possiamo lasciarli soli». Hai boicottato la scuola? «No. È chiusa, è impossibile arrivarci con i mezzi». Accanto c’è una signora. «Sono la mamma». E lei porta sua figlia piccola qui? «Deve imparare ad essere una brava cittadina, consapevole dei suoi diritti». Un’altra donna seduta sul guardrail urla: «Abbasso il Partito comunista, banda di oppressori». Spieghiamo a uno studente: il governo non cederà. «Non è detto, e comunque vogliamo che la Cina e il mondo sappiano che vogliamo la democrazia». 
In un posto di raccolta dei rifiuti c’è Chung Lin, 23 anni, laureata. Con i guanti bianchi divide il cartone dalla plastica. «Ero in piazza domenica. Certo che ho avuto paura quando hanno cominciato a tirare i lacrimogeni. Sono scappata, ma ora siamo di più, abbiamo la forza del popolo». Ed è finita a fare la netturbina. «Sono volontaria, puliamo per preservare la nostra città». Matthew ha 17 anni e sotto il braccio un mazzo di parapioggia-paraspray al pepe. Sapete che la chiamano Rivoluzione degli ombrelli? Vi piace la sigla? «Non lo sapevo, ma forse va bene, se la usano i giornali». E la parola rivoluzione vi spaventa? «No. Ed è solo l’inizio». 
Il reparto vivandiere. Wong, una diciottenne in carne, offre merendine e succhi di frutta. Chi vi ha dato tutta questa roba? «Qualcuno ricco, ma nessuno ci usa, abbiamo coscienza di quello che facciamo». Hai avuto paura? «Ci sono stati diversi feriti l’altra notte, non è giusto, eravamo disarmati e la polizia ci ha attaccato», scoppia a piangere. All’angolo ci sono «i cattivi», i poliziotti. Il n° di matricola 25188: «Siamo stati in strada venti ore in due giorni, siamo stanchi». Al capopattuglia, il n° 51611, chiediamo se si rende conto che sono ragazzi come loro quelli che hanno inseguito per le strade: «Signore, io non faccio politica, mi hanno ordinato di mantenere pace e ordine e lo faccio, senza cattiveria». 
Cala la sera. Seduto a terra un universitario legge una dispensa di contabilità. Poco più in là due bambine con la divisa bianca e fascia rosa del college Ho Lap. In fronte si sono appiccicate due pezzette rinfrescanti. Non siete troppo piccole? «Non ci fotografate, a casa non lo sanno». Dietro la barricata, nella postazione di Cotton Tree Drive, un gruppetto di ragazze più grandi. Ombrellini pronti. «Vedete i lampeggianti della polizia dietro la curva? Forse ora arrivano. Ieri per cinque minuti quando hanno tirato i lacrimogeni non si poteva respirare». Si sentono le sirene. Meglio mettere la mascherina che ci ha passato Max. 


Con gli ombrelli contro il Golia cinese
Sono il simbolo della protesta per la democrazia, ieri in piazza anche i cardinali. Gli Usa: solidarietà alla popolazione
di Ilaria Maria Sala
La Stampa 30.9.14

Hong Kong è paralizzata e la protesta non fa che crescere, richiamando di ora in ora nuovi sostenitori che si oppongono al sistema elettorale imposto da Pechino e chiedono un suffragio «libero e universale». 
Decine di migliaia di manifestanti hanno bloccato le principali strade dell’ex colonia britannica e la notte di guerriglia combattuta dalla polizia con gas lacrimogeni, spray al pepe e manganelli non è bastata a disperdere la folla. Ieri duecento linee di autobus sono state bloccate o deviate, il traffico interrotto, la metropolitana chiusa, molte scuole hanno sospeso le lezioni, alcune banche e uffici non hanno aperto. 
«Vogliamo solo la democrazia, staremo qui finché il governo non ci darà risposte», dicono due giovanissimi volontari che distribuiscono acqua, frutta e biscotti ai partecipanti alla protesta. In molti hanno deciso di scendere in piazza dopo che la polizia ha iniziato a sparare lacrimogeni e pallottole di gomma contro le manifestazioni pacifiche. «È incredibile quante persone sono uscite… qui a Mongkok ci sono tutti: tanto i camionisti che i gestori dei ristoranti dove vanno a mangiare, i meccanici, la classe media. Insomma, tutti: la violenza della polizia ha fatto infuriare chi non avrebbe mai partecipato a una manifestazione», dice Cheung Kit, manifestante. «Tutti dicono la stessa cosa: questi comportamenti violenti non corrispondono a Hong Kong. Questa non può essere la nostra Hong Kong», aggiunge, e porta la figlia di sei anni a passeggiare per le strade per «una lezione di educazione civica».
E mentre la Cina intima di non interferire negli affari interni agli Stati Uniti - che hanno chiesto «moderazione» e, con il portavoce della Casa Bianca hanno espresso «solidarietà alla popolazione» - si moltiplicano le manifestazioni di sostegno in tutto il mondo. Ieri perfino i cardinali cattolici sono scesi in piazza e ora Pechino si trova ad affrontare una delle sfide politiche più impegnative da piazza Tiananmen, 25 anni fa.
In un estremo tentativo di sedare gli animi, l’esecutivo ha annunciato il ritiro degli agenti in assetto anti-sommossa dalle strade, ma è stato costretto a cancellare le celebrazioni in programma per domani, giornata di festa nazionale.
E mentre rimbalzano su tutti i giornali le immagini del rispetto che i dimostranti mostrano per le regole – raccolgono la spazzatura e la separano per il riciclaggio, non calpestano le aiuole, non saccheggiano negozi, rompono vetrine o bruciano auto e cassonetti – la protesta che attraversa tutti gli strati sociali della penisola da ieri ha un nome e un simbolo, adottato immediatamente dai manifestanti e rimbalzato online su tutti i social: «The Umbrella Revolution», la rivoluzione dell’ombrello. Gli ombrelli, ottimi per proteggersi dal sole cocente dell’estate di Hong Kong (o dalle frequenti piogge) sono diventati l’accessorio indispensabile dei ragazzi che stanno bloccando il centro per proteggersi dai lacrimogeni e dagli spray urticanti e simbolo stesso del movimento di disobbedienza democratica. 
La stampa locale di ieri era piena delle immagini sconvolgenti dei dimostranti con gli occhialini da piscina e il cellophane sul viso per proteggersi dai gas, e della polizia in tenuta anti-sommossa. «Apple Daily», il quotidiano di Jimmy Lai, l’uomo d’affari che più di tutti ha sostenuto la battaglia pro-democrazia di Hong Kong, era tutto esaurito dalle sette di mattina, con in prima pagina i fumi dei lacrimogeni e un titolo a caratteri cubitali: “Ingiustificabile». Il «Wen Hui Pao», invece, il principale quotidiano pro-Pechino della città, sceglie la linea «neutra» e titola «Caos a Hong Kong». Ma è quasi l’unico: i moderati non concepiscono che questa pacifica città con pacifici dimostranti sia divenuta per una notte un campo di battaglia. 


Folla in piazza e strade bloccate? Per Pechino “è la festa nazionale”
Censurati giornali e Internet. I cortei passano in tv come celebrazioni
di I. M. S.
La Stampa 30.9.14

Davanti agli avvenimenti imprevisti i media cinesi, e il governo che rappresentano, hanno sempre un inizio lento, alla ricerca della linea ufficiale da seguire. Così, la copertura delle manifestazioni a Hong Kong dagli organi di informazione in Cina è surreale.
Non si può certo ammettere pubblicamente che Hong Kong stia lottando per il suffragio universale e tanto meno che vorrebbe «democrazia». È inammissibile anche mostrare che la regione amministrata da Pechino osi lanciare una sfida così aperta alle autorità locali e nazionali. Così i media sono «costretti» a soluzioni alternative. 
In televisione, per esempio, l’annunciatrice, con un completo arancione davanti alle immagini di una folla che cammina, domenica ha detto sorridendo che «la gente di Hong Kong è uscita per le strade per celebrare la giornata nazionale del 1° ottobre», con una scritta in sovrimpressione che diceva che «Hong Kong sostiene il programma di riforme elettorali annunciato dal governo». Un universo parallelo, la cui finzione può essere mantenuta in vita solo con una strategia censoria raddoppiata: per due giorni infatti gli utilizzatori cinesi di Instagram si sono trovati nell’incapacità di accedere ai loro account, dato che il servizio ora è inaccessibile come lo sono Twitter, Facebook e YouTube, fra gli altri.
Ma non basta: una direttiva governativa inviata ai provider di Internet intima di eliminare dalla rete tutto quello che riguarda Hong Kong. 
Chi ha un abbonamento a un Vpn (network privati per «scavalcare» il muro di censura, tecnicamente illegali in Cina ma piuttosto diffusi) denuncia invece che in questi giorni la connessione sia molto lenta e intermittente. 
Il «Quotidiano del Popolo» in un editoriale, ha dato per ora le prime indicazioni su come il governo centrale intenda affrontare le proteste: di nuovo, accusa un «piccolo gruppo di estremisti e forze straniere ostili» (fra cui mette anche la stampa estera e Twitter) di aver plagiato gli studenti. Ovviamente neanche una riga sulla massa di persone che ieri era in piazza per difendere non solo la democrazia, ma lo stile di vita stesso di Hong Kong.
Il problema, per Pechino, si fa urgente: domani, festa nazionale, coincide con una settimana di vacanza che milioni di cinesi passano abitualmente a Hong Kong. E se chiudere la frontiera (tutt’ora esistente) è impensabile, l’idea di mostrare ai propri cittadini migliaia di dimostranti pacifici che chiedono libertà e democrazia è altrettanto inquietante. Per questo, ora che la violenza si è rivelata controproducente, si prova con le maniere più dolci cercando di convincere «Occupy Central» a tornare a casa. 
[i. m. s.]


Hong Kong bloccata per ‘Occupy Central’: perché questa città è davvero speciale
di Valentina Giannella
il Fatto 30.9.14 


Benny, il prof che guida la rivolta degli ombrelli
“Non solo Occupy Central, siamo in tutte le strade di Honk Kong” dice il docente Un collega agli studenti: “Ritiratevi solo se la polizia spara”
di  C.A.G.
il Fatto 30.9.14

Pechino La chiamano già “la rivoluzione degli ombrelli”, gli ombrelli che le persone hanno lasciato accanto agli studenti per ripararli dal sole. Gli stessi che questi hanno usato per ripararsi dai lacrimogeni. Stando a un comunicato ufficiale, domenica la polizia se ne è servita 87 volte. E il giorno seguente, dopo aver appurato che 46 persone erano finite all’ospedale, ha deciso di ammorbidire il suo approccio. Una linea non dissimile da quella che si legge sul più importante quotidiano di Partito, il Global Times. “La Cina non è la stessa nazione che era 25 anni fa [quando ha mosso i carri armati per sgomberare con la forza piazza Tien an men]... Oggi il paese ha un approccio più flessibile nel gestire i disordini”.
LA GIORNATA di lunedì è stata meno accesa della precedente. Ma importante. Il sostegno alla protesta è cresciuto in maniera sostanziale. Un migliaio di lavoratori è entrato in sciopero per solidarietà ai manifestanti. Diverse filiali bancarie non hanno aperto e la Borsa ha chiuso perdendo l'1,9. L'autorità monetaria, di fatto la Banca centrale della città, si è dichiarata pronta “a iniettare liquidità nel sistema bancario qualora si rendesse necessario”. I negozi hanno chiuso prima e nella notte è stato annunciato che il 30 le scuole rimarranno chiuse. “Dicevamo Occupy Central, e invece il popolo di Hong Kong è riuscito a occupare anche Admiralty, Causeway Bay e Mongkok” ha detto Benny Tai, il professore di Legge che si è erto a voce di Occupy, arringando la folla. E intanto i presenti scandivano slogan che chiedevano le dimissioni del governatore Leung e un vero suffragio universale. Uno degli altri personaggi di spicco del movimento, il professore di Sociologia Chan Kin-man, ha invitato i manifestanti a resistere e a ritirarsi solo nel caso in cui la polizia usi armi che possano seriamente ferirli.
MA C'È DA NOTARE che le dichiarazioni, le voci singole che vengono dal movimento, appartengono tutte ai promotori di Occupy. Gli studenti, che hanno dato origine alle manifestazioni, non hanno un leader identificabile. Sono in molti a prendere parola e non si capisce chi decide il nuovo obiettivo o la prossima meta. Sono giovanissimi, alcuni non ancora maggiorenni, e si organizzano online attraverso tutte le tecnologie web che, da sempre, sono abituati abituati a usare in maniera completamente libera. Non come i loro coetanei della Repubblica popolare.
È difficile prevedere come finirà il braccio di ferro tra Pechino e l'ex colonia britannica. Le tensioni dovrebbero raggiungere l'apice il primo ottobre, 65esimo anniversario della fondazione della Repubblica popolare. “Gli Stati Uniti sostengono le aspirazioni della popolazione di Hong Kong e seguono da molto vicino gli sviluppi della situazione”, ha detto Josh Earnest, portavoce del presidente Barack Obama. Pechino non ha gradito: “Non vi immischiate” perché le proteste sono una questione interna. Di certo siamo ad un punto di svolta nelle richieste di Hong Kong per la democrazia. Per anni gli hongkonghesi hanno evitato un confronto diretto con Pechino nella speranza che le autorità cinesi si persuadessero a lasciargli uno spazio di autogoverno. Ora hanno realizzato che la loro unica strada per ottenere la democrazia è quella di chiederla. Alzando la voce.


“Il governo non è disposto a cedere ma vuole evitare gli errori del passato”
intervista di Alessandra Baduel
Repubblica 30.9.14

«PECHINO non ha gli strumenti per agire, sono palesemente in grandi difficoltà. Non so come andrà, ma so che al momento la Cina ha bisogno di muoversi con diplomazia. Perché non sono lontane le elezioni a Taiwan e perché avrà in casa il vertice Apec a novembre». Richard McGregor conosce bene il Partito comunista cinese, il suo “The Party” nel 2010 ne ha spiegato molti segreti. Sulla protesta di Hong Kong, vede più difficoltà che soluzioni. E precisa: «Loro non sarebbero certo contenti di rifare l’errore di Tienanmen».
McGregor, quali strumenti mancano?
«Servirebbe un bravo politico, capace di andare a parlare con i giovani e convincerli a tornare a casa anche senza fare grandi concessioni. Ma non c’è».
Come andrà ora, con l’anniversario della nascita della Repubblica popolare cinese alle porte, il primo ottobre?
«Forse gli studenti arriveranno a liberarsi di Chun-ying, ma certo a Pechino non sono abituati ai compromessi».
Siamo a 25 anni da Tienanmen, crede che il Partito ci stia pensando?
«Certo. Anche se non si sono mai scusati di quel che fecero, sanno che fu un grande errore».
Arriveranno a un intervento diretto?
«Stanno chiaramente dibattendo sul tema, indecisi. A inizio 2016 ci saranno le elezioni a Taiwan, dove sono già per metà favorevoli all’indipendenza dalla Cina. In più, fra 40 giorni a Pechino c’è l’incontro dei 21 leader dell’Asia-Pacific Economic Cooperation. I cinesi lo stanno preparando con gesti di pacificazione anche verso il Giappone. Non hanno bisogno di tensioni».
Crede che le proteste di Hong Kong arriveranno in Cina?
«Se ci sarà violenza contro chi è in piazza, è possibile. Altrimenti non credo».
Siamo davanti a un esempio di come il capitalismo da solo non arrivi a creare democrazia?
«Per ora è così, ma le giovani generazioni stanno crescendo. È presto per dirlo».

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