Un carteggio di De Roberto tra la Sicilia e Milano
Federico De Roberto: Si dubita sempre delle cose più belle, cure di Sarah Zappulla Muscarà e di Enzo Zappulla, Bompiani, pagine 2.132, e 35
Risvolto Il corposo carteggio bilaterale fra
Federico De Roberto e la nobildonna Ernesta Valle Ribera, ribattezzata
Renata (perché "rinata" all'amore) o Nuccia (diminutivo di
"femminuccia"), copre un lungo arco di tempo in un intricato, pertinace
intreccio di temi intimi e letterari. Un'ardente storia d'amore che ci
rivela aspetti ignorati dell'austero e schivo autore de "I Viceré" e
insieme della vita mondana, sociale, culturale dei due poli fra cui si
snoda, Milano e Catania, dalla fine dell'Ottocento ai primi del
Novecento. Meta prediletta di De Roberto, al pari dei sodali Verga e
Capuana, sospinti da un senso d'irrequietezza, da un'aspirazione a più
vasti orizzonti, Milano rappresenta, e il carteggio ne è ampia
testimonianza, la capitale dei poteri mediatici, finanziari, culturali,
la città più progredita, operosa, ricca di vivacità artistica e di
brulicanti iniziative, con le sue prestigiose case editrici (i Fratelli
Treves, Galli), le grandi testate giornalistiche (il "Corriere della
Sera", la rivista "La Lettura"), i rinomati teatri (la Scala, il
Manzoni, il Filodrammatici, il Lirico, l'Eden), gli eleganti ritrovi (il
Biffi, il Cova, il Savini, il Caffè dell'Accademia), gli elitari
salotti (di donna Vittoria Cima, di Virginia Borromeo, della stessa
Ernesta Valle Ribera). È lì che gli sono consentite assidue
frequentazioni con i maggiori esponenti dell'intellighentia dell'epoca,
giornalisti, scrittori, editori.
I palpiti di De Roberto per «Renata»
Settecento lettere in sei anni. Gioie e tormenti di una passione sbocciata a Milano
Con i suoi poderosi e volitivi baffi a manubrio e con l’immancabile monocolo nell’occhio destro che gli ha fatto guadagnare l’appellativo scherzoso di Lord Caramella, il 4 ottobre De Roberto redige le tappe del calendario amoroso: il primo, il secondo, il terzo incontro in cinque giorni, il passaggio dal voi al tu (dopo un mese e mezzo!), i luoghi della passione più o meno clandestina: non solo via Romagnosi, ma via Jacini, via Pietro Verri, Porta Volta, Crescenzago... Due giorni dopo, il 6, Federico si trova già sul piroscafo «Birmania», che da Genova lo porta verso la sua Catania, e anche da lì scrive all’amata evocando le loro madeleines .
Tutto ciò lo veniamo a sapere scorrendo l’epistolario dei due amanti, che durerà fino al 1903, intensissimo nei primi cinque anni, poi lievemente diradato via via che la passione tende a intiepidirsi: è un corpus ingente, di 764 epistole, custodito nella Biblioteca regionale di Catania e che ora emerge integralmente grazie alle cure di Sarah Zappulla Muscarà e di Enzo Zappulla (Si dubita sempre delle cose più belle , Bompiani, pagine 2.132, e 35). Un carteggio di spasimi e di tormenti per la lontananza, di baci e di carezze a distanza, con il lasciarsi, il pensarsi e il ritrovarsi, di enfatiche e vibranti accensioni sensuali («tutta nuda nell’anima come l’ho vista e tenuta e baciata e bevuta e goduta tutta nuda nel corpo adorato e divino»), con gli scorci familiari e la vita quotidiana, le strategie, i timori — più che vere e proprie paure — di essere stanati: il marito di lei, per altro, sembra a tratti serenamente consapevole e ogni tanto entra nella corrispondenza per rivolgersi all’«Egregio amico». Senza dimenticare la tormentosa officina scrittoria di De Roberto, decisamente soggetta all’instabilità ondivaga della sua salute fisica e morale, accampata spesso a mo’ di giustificazione (o di alibi?) per le mancate promesse di raggiungere Ernesta, ribattezzata, nel codice amoroso, Renata (ovvero «rinata» all’amore), Nuccia, da un non proprio elegante «femminuccia», e ancora: Anima, Creatura sacra, Dolce Amor mio...
Più dell’amore, in realtà, poté la madre di lui, donna Marianna Asmundo Ferrara, che viene citata dal figlio con devozione e quasi con ansia adolescenziale, e la cui ombra lunga appare pressoché ad ogni pagina: è lei che in definitiva, lamentandosi della lontananza, gli impone di tornare a Catania: «perché è già molto tempo che sei fuori casa, perché viene l’inverno e tu sai che d’inverno ho bisogno di compagnia». Il tono è tassativo e Rico non riesce a sottrarsi al proprio «dovere» (starsene a Catania con lei), sicché le lettere sono un continuo tira e molla tra l’ardore amoroso e il senso di colpa filiale.
Il volume è ottimamente annotato per quanto riguarda le notizie storiche e bio-bibliografiche, ma è un peccato che per conoscere esattamente i pochi estremi ricostruibili della vita di Ernestina Emilia bisogna arrivare alla nota 1 della lettera 29: è lì che veniamo a sapere che la protagonista delle lettere è nata a Ventimiglia nel 1876, figlia di Giuseppe Valle, un impiegato di Valle Lomellina, e di Adelaide Corradi. Nulla sappiamo della sua cultura, ma è un fatto che De Roberto, malgrado tutta la misoginia che gli conosciamo, le si rivolge con estrema considerazione intellettuale, chiedendole consigli sul proprio lavoro ed accogliendoli non di rado, distratto com’è dai pressanti impegni giornalistici e dalle delusioni che ne derivano: a partire dalla promessa di Albertini, non mantenuta, di essere chiamato a Milano come redattore de La Lettura , il mensile che a partire dal 1901 verrà varato dal «Corriere» sotto la direzione di Giuseppe Giacosa e con l’aiuto di Alberto Albertini, fratello del direttore, che assumerà il ruolo previsto per De Roberto.
La rottura con Albertini, che Renata accusa di ingratitudine e villania, sopraggiunge nel 1902 (anche se la collaborazione si protrae stancamente fino al 1911), contribuendo non poco alla depressione di De Roberto e al definitivo tramonto della speranza di trasferirsi a Milano con una ragione professionale da far valere al cospetto della severa madre. Siamo ormai lontani dall’effervescenza degli anni precedenti, quando lo scrittore inviava alla sua Nuccia pacchi di libri da leggere, da Maupassant a Dostoevskij, da Zola a Tolstoj, sollecitandone pareri e impressioni. Letture che entravano a vivificare il suo work in progress , che costituisce uno dei motivi più interessanti del carteggio: a partire dalla prefazione alle novelle de Gli Amori , arditamente dedicata proprio a R.V., cioè alla signora Ribera-Valle, come terrà a precisare ironicamente il marito di lei in una lettera allo scrittore, ipotizzando tra i due almeno una «disquisizione letteraria» sul tema.
A proposito dell’officina, va anche segnalato il continuo accenno, dal 14 gennaio 1900, a quel «gran romanzo sociale», L’Imperio , ideale prosecuzione de I viceré , progetto a cui De Roberto lavora da anni e che adesso («se mi rimetterò in carreggiata») vorrebbe riprendere, vincendo la depressione e la malinconia, pur senza grandi speranze di farcela: «E questa è la mia vita, propriamente degna d’essere strozzata con tutt’e due le mani, se non fosse il ricordo, la visione, il pensiero e la speranza di Nuccia». Il romanzo, si sa, resterà in forma di abbozzo e uscirà postumo nel 1929. Ci sono poi le aspirazioni e le ambizioni teatrali, su cui Renata dà il meglio di sé, consigliando a Rico, in preda alla «follia del dubbio» a proposito della riduzione di Spasimo , di trasformare quel dramma «troppo pensato» in un testo più «parlato»: De Roberto le riconoscerà di averlo spronato più di chiunque altro a «correggere il difetto», rendendo il tutto «più rapido e movimentato ».
Va da sé che a far da sfondo alle lettere ci sono da una parte la Catania delle chiacchiere e delle passeggiate oziose a cui De Roberto si sente «inchiodato» e dall’altra la Milano intellettuale e mondana. I teatri: la Scala, il Manzoni, il Filodrammatici, il Lirico... I ritrovi più eleganti: il Biffi, il Cova, il Savini, i salotti con quella ritualità di ipocrisie e di sotterfugi, di detto e non detto, ma anche di sfrontatezza, da cui poteva nascere, talvolta, un vero delirio amoroso.
Il De Roberto innamorato
Per Croce lo scrittore dei «Vicerè» fu uomo sentimentalmente arido e glaciale: ma l’epistolario con Ernesta Valle, conosciuta a milano nel salotto Borromeo, ce lo descrive in tutto il suo ardore e nelle fibrillazioni di un Edipo feroce
Massimo Raffaeli, il Manifesto 12.10.2014 Aveva detto di lui Benedetto Croce, in una delle sue più celebri stroncature, che un ingegno così prosaico era incapace sia di illuminare l’intelletto sia di far battere il cuore. Croce si riferiva ovviamente all’occhio vitreo che sorveglia la macchina de I Viceré sottacendo le parti che in quel grande congegno polifonico trascendono la prosa esatta o glaciale del naturalismo e omettendo oltretutto di citare le zone di inventiva più sbrigliata che segnano, quando non intaccano, la più vasta e diseguale produzione di Federico De Roberto, a cominciare da un romanzo, una crime story travestita da love story o viceversa, dal titolo emblematico, Spasimo, del 1896. Infatti De Roberto, per paradosso speculare, fu un uomo non soltanto afflitto in vita sua dagli insuccessi commerciali e da una ambigua ricezione critica, ma anche un individuo di carattere emotivo, insicuro, sentimentalmente irrisolto, soggetto a disturbi neurovegetativi e psicosomatici fino alla morte sopraggiunta per trauma da svenimento, nel luglio del ’27, quando aveva appena sessantasei anni e da tempo era tornato a Catania, per sempre disilluso e scettico, contentandosi di scritture laterali ed erudite da cui comunque fuoruscivano, a sbalzo o per soprassalto di un’arte sovrana, schegge di assoluta perfezione quali per esempio la novella La paura, oggi celebrata come un capolavoro e, sia pure firmata da un mite patriota, come un potenziale manifesto di antimilitarismo.
Fatto sta che fino all’ultimo, e durava dai suoi dieci anni, quel genio del romanzo italiano aveva avuto l’esistenza ipotecata, di fatto coartata e massacrata, da Marianna Asmundo sua madre, precocemente vedova di Federico senior, nobildonna dal fisico minuto ma di indole tanto imperiosa e possessiva da imporre a Federico junior una tutela che costui riceveva insieme con i sintomi – sono parole sue – di una vera e propria isteria al maschile. Dunque gli anni di apprendistato a Milano, fra il 1888 e il ’97, culminati nell’amicizia con Luigi Albertini e la collaborazione al Corriere della sera, non erano stati solo un tentativo di accreditamento letterario e professionale, sollecitato dai trascorsi dei maestri veristi (e su tutti, a lui sempre carissimo, da Giovanni Verga), ma anche la fuga dal giogo materno e nel frattempo la ricerca di una propria individuazione affettiva e sentimentale. La quale, breve e bruciante, con un lungo strascico di nostalgia e rimpianto, avvenne nell’imminenza del ritorno a Catania e coinvolse una donna incontrata nel salotto di Casa Borromeo, Ernesta Valle, sposata all’avvocato messinese Guido Ribera, dallo scrittore immediatamente detta, con nom de plume, «Renata» a contrassegno di una rinascita carnale e spirituale.
Per lo più postumo a un amore che dovette essere spontaneo, reciproco e squassante, è il carteggio ora contenuto in un volume ponderoso, «Si dubita sempre delle cose più belle» Parole d’amore e di letteratura (a cura di Sarah Zappulla Muscarà e Enzo Zappulla, Bompiani, «Saggi», pp. 2.132, euro 35.00). Residuato fra le carte derobertiane custodite alla Biblioteca Universitaria di Catania, l’epistolario si compone precisamente di 764 pezzi (relativamente più numerosi, circa di un terzo, quelli a firma di Ernesta Valle) che i curatori annotano con sobria puntualità senza mai prevaricare un continuum epistolare che, per essere colto nel profondo, va percorso al ritmo di una emotività, tipica dei colpi di fulmine, a tratti persino ossessiva. Dolce, ricettiva, accogliente è «Renata» (lettrice e ammiratrice di lui già prima dell’innamoramento) tanto da essere una sponda ovvero una sparring ideale, quanto è invece esuberante e incalzante Federico che per solito usa la lettera come un diario di bordo associando le espressioni proprie di un innamorato (nel qual caso ardente e volentieri ardito, insinuante) a notizie su incontri, occasioni di lavoro, problemi economici o familiari e specialmente letture e scritture.
Redatto grosso modo fra il 1897 e il 1903 con appendici cadenzate fino al 1916, si tratta di un privatissimo journal come è ben detto nella introduzione: «Maniacale la pedanteria con cui De Roberto informa l’amante di tutto, fin nei minimi dettagli, quasi un ‘diario di bordo’, gremito di reiterate indicazioni temporali care a un’ossessiva liturgia delle ricorrenze. Ulteriore conferma dello scrupolo ossessivo del documento, dell’indagine minuziosa, delle ricerche d’archivio, dell’analisi spietata che ne sorreggono gli scritti». In effetti «Si dubita sempre delle cose più belle» è una miniera a cielo aperto, una autobiografia di De Roberto attraverso le lettere fissata in un frangente decisivo, ma il volume è prova ulteriore della qualità filologica e critica di quanti, nelle università siciliane, attendono da tempo agli studi sullo scrittore catanese e ne propiziano una ricezione integralmente rinnovata oltre l’interdetto di Croce e gli apporti benemeriti, davvero pionieristici, di Luigi Baldacci, Vittorio Spinazzola, Mario Lavagetto e Carlo A. Madrignani: e qui vanno menzionati, oltre a Sarah Zappulla Muscarà, ottima editrice del carteggio, senz’altro Nunzio Zago, Natale Tedesco, Paolo M. Sipala, Giuseppe Traina e quell’Antonio Di Grado che, con La vita, le carte, i turbamenti di Federico De Roberto gentiluomo (Bonanno 2007), ci ha dato di recente la piccola bibbia dei lettori derobertiani.
Quanto all’importanza del carteggio, basterebbe menzionare la lettera del 3 giugno 1902 dove lo scrittore si profonde sulla redazione del romanzo che avrebbe dovuto chiudere la trilogia inaugurata da L’illusione nel 1891, proseguita tre anni dopo dalla pubblicazione de I Viceré, l’epopea della famiglia Uzeda di Francalanza, campioni di trasformismo, la cui conclusione avrebbe dovuto essere appunto L’Imperio (romanzo parlamentare sull’ultimo degli Uzeda, il deputato Consalvo, dall’autore definito un libro «terribile»), un testo concepito nel 1893-’95, rifocillato di appunti e scene dal vero catturate nel soggiorno a Roma fra il 1908 e il ’13, mai portato a stesura definitiva e infatti uscito postumo solo nel 1929. È scritto in quella lettera: «Ho preso pure il vecchio manoscritto del romanzo che doveva far seguito ai Viceré. (…) Faccio questo tentativo di ritorno all’arte senza fede e senza neppure altra speranza che quella di ricavare, chi sa quando, un migliaio di lire dal lavoro di chi sa quanto tempo. E questa è la mia vita, propriamente degna d’essere strozzata con tutt’e due le mani, se non fosse il ricordo, la visione, il pensiero e la speranza di Nuccia». Ma «Nuccia», cioè la dolce Ernesta e cioè «Renata», è già lontana e prossima a uscire gradualmente dalla sua vita. A lui resta la solitudine di Catania, l’astenia e i disturbi su cui è tornata a invigilare la dittatura edipica di sua madre Marianna, perché gli ultimi anni di Federico De Roberto sono quelli di un deserto sentimentale su cui non possono più nulla né i ricordi né il nostalgico rimpianto di un amore che fu grande e però impossibile: un ex fascista che si era laureato con una tesi su di lui, Vitaliano Brancati, se lo ricorderà molti anni dopo come un uomo perpetuamente solo, a spasso per via Etnea con un’aria di cortese indifferenza, la caramella all’occhio destro, chiuso dentro la sua «pesante armatura di onestà», la stessa che Benedetto Croce aveva purtroppo scambiato per una sua inguaribile, atavica, aridità sentimentale. Il De Roberto innamorato che non conoscete
Pubblicato da Bompiani il carteggio tra l'autore de “I viceré” e
l'amante Renata Valle Ribera. A cura di Sarah Zappulla Muscarà e Enzo
Zappulla Alessandra Bernocco
Le foto sono per lo più prese da Internet e quindi ritenute di pubblico dominio. Eventuali titolari rasponi scrivano a info@materialismostorico.it e le rimuoveremo. Anche per gli articoli, del resto, se proprio siete gelosi non è che ci disperiamo.
Bertolt Brecht, An die Nachgeborenen (1939)
Wirklich, ich lebe in finsteren Zeiten!/... Ach, wir/Die wir den Boden bereiten wollten für Freundlichkeit/Konnten selber nicht freundlich sein./Ihr aber, wenn es soweit sein wird/Dass der Mensch dem Menschen ein Helfer ist/Gedenkt unsrer/Mit Nachsicht.
Filosofia e arte come azione politica in Heidegger. Palermo, 13 novembre 2024
L'eredità di Lenin, intervento al convegno della Fondazione Basso, 23 novembre 2024
Intervento di Stefano G. Azzarà al convegno “Lenin, a cento anni dalla morte”, Fondazione Basso, Roma, 23 gennaio 2024.
Relatori: Jutta Scherrer, Luciano Canfora, Étienne Balibar, Rita Di Leo, Luciana Castellina, Giacomo Marramao, Stefano G. Azzarà.
La fine della democrazia moderna. Intervento al workshop della Fondazione Feltrinelli, 19/10/23
Adeus pós-modernismo: populismo e hegemonia na crise da democracia moderna
Se a primeira parte é dedicada à política imediata, as partes seguintes são, sobretudo, uma crítica filosófica e política do pós-modernismo. Elas nos fazem ver como o pós-modernismo em última análise tem favorecido o processo de desemancipação que está em curso seja ao nível nacional quanto internacional. (…) é urgente aprofundar a crítica do pós-modernismo – uma crítica que até agora encontrou escassa expressão, mas que se impõe seja de um ponto de vista filosófico seja de um ponto de vista político – e neste sentido estamos diante de um livro absolutamente precioso. Domenico Losurdo, na Introdução
Stefano G. Azzarà: Il virus dell'Occidente, Mimesis 2020
Disponibile in libreria e on line
Il revival del pensiero magico nel dibattito odierno: tra No Vax e Censis. Cagliari, 9 12 2021
La fine della "fine della storia": Festival Iconografie XXI, Milano, 25 settembre 2021
Una presentazione de "Il virus dell'Occidente" per Dialettica e Filosofia. Conduce E.M. Fabrizio
PREMIO LOSURDO 2021
Deadline domande di partecipazione: 6 settembre 2021
Premio internazionale "Domenico Losurdo"
Premiazione (28/1/2021): registrazione dei lavori
Gruppo di ricerca internazionale "Domenico Losurdo". A cura di S.G. Azzarà, P. Ercolani e E. Susca
La scuola di Pitagora editrice
LA COMUNE UMANITA'
Memoria di Hegel, critica del liberalismo e ricostruzione del materialismo storico in Domenico Losurdo. Una critica della storia del movimento liberale che chiama in causa i suoi maggiori teorici ma anche gli sviluppi e le scelte politiche concrete delle società e degli Stati che ad essi si sono ri - chiamati; un grande affresco comparatistico nel quale il confronto secolare tra il liberalismo, la corrente conservatrice e quella rivoluzionaria fa saltare gli steccati della tradizione storiografica e disvela il faticoso processo di costruzione della democrazia moderna; l'abbozzo di una teoria generale del conflitto che emerge dalla comprensione dialettica del rapporto tra istanze universalistiche e particolarismo; un'applicazione del metodo storico-materialistico che costituisce al tempo stesso un suo radicale rinnovamento, a partire dalla riconquista dell'equilibrio marxiano tra riconoscimento e critica della modernità: a un anno dall'improvvisa scomparsa, la prima ricostruzione complessiva del pensiero di Domenico Losurdo, uno dei maggiori autori contem - poranei di orientamento marxista e tra i filosofi italiani più tradotti e conosciuti nel mondo.
Heidegger, la guerra “metafisica” della Germania contro il bolscevismo e alcune poesie di Hölderlin
Gianni Vattimo e l'oltreuomo nietzscheano dalla rivoluzione del Sessantotto al riflusso neoliberale
Università di Bologna, via Zamboni 38, 30 maggio 2019 ore 11.00. Organizza: Prospettive Italiane
Domenico Losurdo tra filosofia, storia e politica
Urbino, Palazzo Albani, 12 e 13 giugno 2019
Comunisti, fascisti e questione nazionale. Germania 1923: fronte rossobruno o guerra d'egemonia?
In libreria e in e-book da Mimesis
Esistono ancora destra e sinistra? Preve e Losurdo, Torino 9/3/2019
E' on line il quinto numero di "Materialismo Storico" (2/2017)
Saggi di Cospito, Francioni, Frosini, Izzo, Santarone, Taureck e altri. Ancora un testo di André Tosel. Recensioni: Grasci e il populismo
S. G. Azzarà, A. Monchietto - Comunisti, fascisti e questione nazionale - parte 2, Torino 8/3/2019
S. G. Azzarà, A. Monchietto - Comunisti, fascisti e questione nazionale - parte 2, Torino 8/3/2019
Esistono ancora destra e sinistra? Il confronto tra Domenico Losurdo e Costanzo Preve
Nonostante Laclau. Populismo ed egemonia nella crisi della democrazia moderna
Mimesis 2017
A. Moeller van den Bruck: Tramonto dell'Occidente? Spengler contro Spengler
OAKS editrice
Stefano G. Azzarà: "L'Occidente scivola a destra"
Globalisti contro sovranisti: un'intervista a "Il bene comune"
Una presentazione di Democrazia Cercasi a Milano, 20 maggio 2016
Crisi della democrazia moderna, conflitto politico-sociale e ricomposizione
Intervista a Stefano G. Azzarà
Restaurazione e rivoluzione passiva postmoderna nel ciclo neoliberale
Stefano G. Azzarà: Heidegger ‘innocente’: un esorcismo della sinistra postmoderna. MicroMega 2/2015
Limitarsi a condannare l’antisemitismo di Heidegger cercando di salvare la sua filosofia è un tentativo disperato, perché l’antisemitismo dell’autore di "Essere e tempo" non ha una dimensione naturalistica, bensì culturale: per lui ‘giudaismo mondiale’ è anzitutto sinonimo di modernità, di umanesimo. La filosofia di Heidegger va rigettata non (solo) in quanto antisemita, ma (soprattutto) in quanto intrinsecamente reazionaria
Democrazia Cercasi: una critica del postmodernismo. Società di studi politici, Napoli, 24 2 2015
Sul Foglio una recensione del libro su Moeller-Nietzsche
Friedrich Nietzsche dal radicalismo aristocratico alla Rivoluzione conservatrice, Castelvecchi
Democrazia Cercasi. Dalla caduta del Muro a Renzi: sconfitta e mutazione della sinistra, bonapartismo postmoderno e impotenza della filosofia in Italia, Imprimatur
S.G. Azzarà: "La sinistra postmoderna, il neoliberismo e la fine della democrazia"
Un estratto da "Democrazia Cercasi" su MicroMega / Il rasoio di Occam
S.G. Azzarà: Friedrich Nietzsche dal radicalismo aristocratico alla Rivoluzione conservatrice
Quattro saggi di Arthur Moeller van den Bruck, CastelvecchiEditore. In libreria e in e-book
Nietzsche profeta e artista decadente? Oppure filosofo-guerriero del darwinismo pangermanista? O forse teorico di un socialismo "spirituale" che fonde in un solo fronte destra e sinistra e prepara la rivincita della Germania? Nella lettura di Arthur Moeller van den Bruck la genesi della Rivoluzione conservatrice e uno sguardo sul destino dell'Europa.
È la stessa cosa leggere Nietzsche quando è ancora vivo il ricordo della Comune di Parigi e i socialisti avanzano dappertutto minacciosi e leggerlo qualche anno dopo, quando la lotta di classe interna cede il passo al conflitto tra la Germania e le grandi potenze continentali? Ed è la stessa cosa leggerlo dopo la Prima guerra mondiale, quando una sconfitta disastrosa e la fine della monarchia hanno mostrato quanto fosse fragile l’unità del popolo tedesco? Arthur Moeller van den Bruck è il padre della Rivoluzione conservatrice e ha anticipato autori come Spengler, Heidegger e Jünger. Nel suo sguardo, il Nietzsche artista e profeta che tramonta assieme all’Ottocento rinasce alla svolta del secolo nei panni del filosofo-guerriero di una nuova Germania darwinista; per poi, agli esordi della Repubblica di Weimar, diventare l’improbabile teorico di un socialismo spirituale che deve integrare la classe operaia e preparare la rivincita, futuro cavallo di battaglia del nazismo. Tre diverse letture di Nietzsche emergono da tre diversi momenti della storia europea. E sollecitano un salto evolutivo del liberalismo conservatore: dalla reazione aristocratica tardo-ottocentesca contro la democrazia sino alla Rivoluzione conservatrice, con la sua pretesa di fondere destra e sinistra e di padroneggiare in chiave reazionaria la modernità e le masse, il progresso e la tecnica.
In appendice la prima traduzione italiana dei quattro saggi di Arthur Moeller van den Bruck su Nietzsche.
La recensione di Damiano Palano a "Democrazia Cercasi"
Heidegger il cambiavalute dell'essere
Intervento al convegno di Urbino "I poveri, la povertà", 4 dicembre 2014
S.G. Azzarà, Democrazia cercasi, Imprimatur Editore, pp. 363, euro 16: in libreria e in e-book
www.democraziacercasi.blogspot.it Possiamo ancora parlare di democrazia in Italia? Mutamenti imponenti hanno svuotato gli strumenti della partecipazione popolare, favorendo una forma neobonapartistica e ipermediatica di potere carismatico e spingendo molti cittadini nel limbo dell’astensionismo o nell’imbuto di una protesta rabbiosa e inefficace. Al tempo stesso, in nome dell’emergenza economica permanente e della governabilità, gli spazi di riflessione pubblica e confronto sono stati sacrificati al primato di un decisionismo improvvisato. Dietro questi cambiamenti c’è però un più corposo processo materiale che dalla fine degli anni Settanta ha minato le fondamenta stesse della democrazia: il riequilibrio dei rapporti di forza tra le classi sociali, che nel dopoguerra aveva consentito la costruzione del Welfare, ha lasciato il campo ad una riscossa dei ceti proprietari che nel nostro paese come in tutto l’Occidente ha portato ad una redistribuzione verso l’alto della ricchezza nazionale, alla frantumazione e precarizzione del lavoro, allo smantellamento dei diritti economici e sociali dei più deboli. Intanto, nell’alveo del neoliberalismo trionfante, si diffondeva un clima culturale dai tratti marcatamente individualistici e competitivi. Mentre dalle arti figurative alla filosofia, dalla storia alle scienze umane, il postmodernismo dilagava, delegittimando i fondamenti e i valori della modernità – la ragione, l’eguaglianza, la trasformazione del reale… - e rendendo impraticabile ogni progetto di emancipazione consapevole, collettiva e organizzata. É stata la sinistra, e non Berlusconi, il principale agente responsabile di questa devastazione. Schiantata dalla caduta del Muro di Berlino assieme alle classi popolari, non è riuscita a rinnovarsi salvaguardando i propri ideali e si è fatta sempre più simile alla destra, assorbendone programmi e stile di governo fino a sostituirsi oggi integralmente ad essa. Per ricostruire una sinistra autentica, per riconquistare la democrazia e ripristinare le condizioni di una vasta mediazione sociale, dovremo smettere di limitare il nostro orizzonte concettuale alla mera riduzione del danno e riscoprire il conflitto. Nata per formalizzare la lotta di classe, infatti, senza questa lotta la democrazia muore.
Emiliano Alessandroni: Ideologia e strutture letterarie, Aracne Editrice
Che cos'è esattamente il bello? È possibile procedere ad una sua decodificazione? Che significato racchiude il termine ideologia? E quale rapporto intrattiene con la letteratura, ovvero con le sue strutture? Come giudicare il valore di un'opera? A questi come ad altri quesiti questo libro intende fornire una risposta, contrastando, con la forza del ragionamento e il supporto dell'analisi testuale, quegli assunti diffusi (“il bello è soltanto soggettivo!”) e quelle opinioni consolidate (“tutto è ideologia!” o “le ideologie sono morte!”) che finiscono per disorientare chiunque si trovi, per via diretta o indiretta, a confrontarsi con tali problematiche. Un saggio di ampio respiro tra filosofia, storia, critica letteraria e teoria della letteratura.
Stefano G. Azzarà: Ermeneutica, "Nuovo Realismo" e trasformazione della realtà
Una radicalizzazione incompiuta per la filosofia italiana - Rivista di Estetica, 1/2013
Due giornate di seminario su Ernesto Laclau a Urbino. 21 novembre
Stefano G. Azzarà: L'humanité commune, éditions Delga, Paris
Une critique anticonformiste de l’histoire du mouvement libéral qui remet en cause ses théoriciens principaux ainsi que les développements et les choix politiques concrets des sociétés et des États qui s’en réclament ; une grande fresque comparative, où la mise en confrontation entre le libéralisme, le courant conservateur et le courant révolutionnaire au cours des siècles, fait sauter les barrières de la tradition historiographique et dévoile le difficile processus de construction de la démocratie moderne ; l’essai d’une théorie générale du conflit qui part de la compréhension philosophique, dialectique, du rapport entre instances universelles et particularisme ; mais aussi, une application radicalement renouvelée de la méthode matérialiste historique à travers la revendication de l’équilibre entre reconnaissance et critique de la modernité. Ce sont là les idées directrices du parcours de recherche de Domenico Losurdo, l’un des principaux auteurs italiens contemporains d’orientation marxiste, déjà connu en France à travers des ouvrages comme Heidegger et l’idéologie de la guerre (PUF 1998), Démocratie ou bonapartisme (Le Temps des Cerises 2003), Antonio Gramsci, du libéralisme au « communisme critique » (Syllepse 2006) et Fuir l’histoire ? (Delga – Le Temps des Cerises 2007).
Seconda edizione 2013
Stefano G. Azzarà: Un Nietzsche italiano. Gianni Vattimo e le avventure dell'oltreuomo rivoluzionario, manifestolibri, Roma 2011
In libreria
Stefano G. Azzarà: L'imperialismo dei diritti universali. Arthur Moeller van den Bruck, la Rivoluzione conservatrice e il destino dell'Europa, con la prima traduzione italiana de "Il diritto dei popoli giovani", di A. Moeller van den Bruck, La Città del Sole, Napoli 2011
Dialettica, storia e conflitto. Il proprio tempo appreso nel pensiero
Presentazione della Festschrift in onore di Domenico Losurdo - VII Congresso della Internationale Gesellschaft Hegel-Marx, Urbino, 18-20 novembre 2011
Stefano G. Azzarà: Settling Accounts with Liberalism
Historical Materialism 19.2
L'intervento di Stefano G. Azzarà al convegno di Urbino sul comunismo
Socialismo nazionale,integrazione delle masse e guerra nella Rivoluzione conservatrice
Nessun commento:
Posta un commento