venerdì 19 settembre 2014
Il mondo che cambia
Grande Gioco, la Cina muove verso l’India
di Guido Santevecchi Corriere 18.9.14
DAL
NOSTRO CORRISPONDENTE PECHINO — Gli sherpa della diplomazia indiana e
cinese hanno scelto il giorno del 64° compleanno del premier Narendra
Modi per l’arrivo del presidente Xi Jinping. Luogo del primo incontro la
casa di Modi nella sua città natale del Gujarat, un altro segno
amichevole ben studiato. Xi si è fatto precedere da un articolo scritto
per la stampa di New Delhi nel quale ha inneggiato ai rapporti nuovi tra
«il dragone cinese» e «l’elefante indiano» e ha aggiunto che tra «la
Cina fabbrica del mondo» e «l’India ufficio del pianeta» bisogna creare
una base produttiva più competitiva e un mercato più attraente per tutti
i consumatori del globo. Si sono aggiunti i fiori offerti da Modi
all’ospite. Insomma, la visita di Stato non poteva cominciare con più
sorrisi e frasi di circostanza. È davvero arrivata l’ora di archiviare
decenni di rivalità, scontri e incursioni alla frontiera?
La Cina è
il primo partner commerciale dell’India, che però rappresenta per
Pechino solo il 12°; l’interscambio commerciale tra i due Paesi vale
quasi 70 miliardi di dollari, ma il deficit indiano è di 30; il Prodotto
interno lordo della Cina è sei volte quello del vicino.
E poi ci
sono le ruggini di una guerra combattuta nell’ottobre 1962 per il
controllo delle regioni himalayane. Un’eredità dell’Impero britannico
che nel 1914 aveva tracciato la Linea McMahon negoziando con il Tibet.
Nel 1962 i cinesi cominciarono a cannoneggiare e vinsero quella
battaglia «dei trenta giorni» combattuta a settemila metri di quota. Da
allora gli indiani rivendicano circa 30 mila chilometri quadrati del
loro Arunachal Pradesh e anche nel vicino Ladakh le pattuglie dei due
eserciti continuano a scrutarsi a distanza ravvicinata. Spesso reparti
dell’Esercito di liberazione popolare sono accusati di sconfinamento
(Pechino nega sempre): l’ultima volta proprio nei giorni scorsi, anche
se le due parti hanno tenuto la questione riservata per non rovinare la
visita. Difficile comunque sperare che le rivendicazioni che corrono
lungo i 3.500 chilometri di confine possano essere risolte con i grandi
sorrisi e le strette di mano di ieri a beneficio dei fotoreporter.
Però
è vero che qualcosa di importante sta succedendo e che mai come oggi i
due vicini hanno bisogno l’uno dell’altro. Tanto che il governo indiano,
che dal 1959 ospita il Dalai Lama tibetano in esilio, ha impedito al
sant’uomo di farsi vedere in giro in questi tre giorni di visita per non
indispettire l’ospite cinese. Modi ha vinto le elezioni in primavera
promettendo di far decollare finalmente l’economia. E si sta muovendo
con abilità e spregiudicatezza: è appena stato a Tokyo dove ha
abbracciato il collega Shinzo Abe e ha negoziato investimenti giapponesi
per 33 miliardi di dollari in cinque anni (oltre a forniture militari
avanzate). Xi Jinping non vuole farsi stringere da un’alleanza
indo-giapponese e arriva con grandi promesse.
La Cina è pronta a
investire molto per costruire quelle infrastrutture di cui l’India ha un
disperato bisogno, dalle ferrovie alle autostrade. Un primo accordo da
6,8 miliardi di dollari è pronto per la firma: con i capitali cinesi
saranno costruiti due parchi industriali in territorio indiano e già
ieri sono state siglate altre intese tra aziende dei due Paesi per il
valore di 3,4 miliardi. È già un balzo in avanti enorme rispetto ai soli
400 milioni investiti dalla Cina in India negli ultimi 14 anni. Modi
cerca un accesso al mercato cinese per i servizi di information
technology e i prodotti farmaceutici indiani. Xi punta anche a trovare
nuove possibilità per le industrie cinesi, che ora cominciano a sentire
il peso del costo del lavoro (arrivato ad essere solo il 30 per cento
inferiore a quello degli Stati Uniti). Però non può neanche stimolare un
boom della manifattura nel gigante indiano. Insomma, trattative
complesse, ma una forte intesa commerciale tra i due sarebbe molto
vantaggiosa e davvero epocale. Qualcuno ha già rispolverato
l’espressione «Chindia», inventata dall’economista e parlamentare
indiano Jairam Ramesh nel 2005.
Ma non è solo una partita
politico-economica a tre quella in corso tra India, Cina e Giappone.
Diventa un Grande Gioco se si considera che ai lati della scacchiera ci
sono il Pakistan, amico storico di Pechino, nemico storico di New Delhi e
oggi a rischio di disfacimento e marginalizzazione. E poi naturalmente
gli Stati Uniti, che con Obama (e soprattutto Hillary Clinton segretario
di Stato) nel 2011 avevano lanciato una intempestiva strategia di
«pivot to Asia». E non è un caso che Modi a fine mese sia atteso a
Washington.
Pechino dà liquidità alle grandi banche
La Banca popolare di Cina fornisce 81 miliardi di dollari ai cinque colossi del credito
di Gianluca Di Donfrancesco Il Sole 18.9.14
La
Banca centrale cinese torna a fornire liquidità al sistema creditizio,
con 81 miliardi di dollari ai cinque maggiori istituti del Paese.
L'offerta rimarrà disponibile per tre mesi, ma potrebbe anche essere
rinnovata. L'intervento, realizzato attraverso la «standing lending
facility» lanciata nel 2013, avrebbe un effetto sull'offerta di moneta
equivalente a un taglio di 50 punti base della riserva obbligatoria, la
liquidità che gli istituti di credito devono tenere depositata sui conti
della Banca centrale.
Molti analisti hanno interpretato la mossa
come una risposta al rallentamento dell'economia, che rischia di non
centrare il target di crescita del 7,5% fissato dal Governo.
Un'eventualità finora ritenuta impensabile, ma resa sempre meno
improbabile dai dati economici che si susseguono mese dopo mese. Ad
agosto, per esempio, la crescita della produzione industriale si è
fermata al 6,9%: le fabbriche cinesi non tenevano un passo così lento
dalla crisi finanziaria globale.
E tuttavia Pechino non sembra aver
apertamente scelto di percorrere di nuovo la strada del sostegno
pubblico dell'economia. Almeno non ancora. Appena qualche giorno fa, il
premier Li Keqiang ha dichiarato di non essere preoccupato da
fluttuazioni contenute della crescita, aggiungendo che il Governo non
può contare sulle politiche monetari per sostenere la crescita. Del
resto il mercato del lavoro è ancora in buone condizioni di salute e
fino a quando la disoccupazione, lo spettro che davvero spaventa il
regime, non comincerà a salire, non sarà forte la spinta per una
significativa manovra espansiva.
Nemmeno in Cina, poi, l'allentamento
monetario si traduce direttamente in crescita economica, perché più che
di un credit crunch, il Paese sembra soffrire di una bassa domanda di
prestiti da parte di imprese che non investono perché il proprio giro
d'affari non aumenta. Nonostante gli sforzi della banca centrale,
l'espansione del credito sta infatti rallentando. A luglio e agosto, i
nuovi prestiti concessi da banche e istituzioni finanziarie erano la
metà di un anno prima.
Ma soprattutto, sia la Banca centrale che
l'authority del credito hanno rifiutato di confermare l'iniezione da 81
miliardi, a sottolineare come il regime non intenda inviare al mercato
un forte segnale di allentamento. E lasciando sul campo l'ipotesi che la
banca centrale possa essere intervenuta per tamponare una qualche
situazione d'emergenza, sulla quale però potrebbe non avere interesse ad
accendere i riflettori. La notizia dell'intervento è trapelata
attraverso analisti e operatori di mercato che hanno riferito di esserne
stati messi al corrente dai funzionari della banca centrale.
L'iniezione
potrebbe insomma rispondere ad esigenze tecniche di diversa natura e
arriva alla vigilia della fine del trimestre e delle festività nazionali
che iniziano il 1° ottobre, fasi che generalmente coincidono con una
maggior domanda di liquidità.
Il canale utilizzato dalla banca
centrale, la standing lending facility, è uno strumento per stabilizzare
il credito fornendo fondi a banche che non hanno un'adeguata base di
depositi per sostenere la domanda di prestiti. Secondo Richard Xu, di
Morgan Stanley, «lo scopo è stabilizzare il credito e assicurare la
crescita di M2, piuttosto che dare un segnale di ulteriore espansione».
Sebbene gli effetti siano paragonabili da un punto di vista tecnico, un
taglio della riserva obbligatoria avrebbe dato un segnale diverso e
netto.
Negli ultimi mesi, le autorità sono già intervenute proprio
attraverso tagli delle riserve obbligatorie per le banche nelle aree
rurali, allentamento dei paletti sulle compravendite immobiliari e
faciltazioni dei finanziamenti per costruttori e piccole e medie
imprese.
Come sottolinea Qiao Liu, dell'Università di Pechino, le
autorità sono prese tra due esigenze contraddittorie: «Da un lato
vogliono sostenere la crescita economica e hanno bisogno di una politica
monetaria accomodante, dall'altro vogliono riequilibrare il sistema
economico attraverso una correzione strutturale del suo assetto».
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