AA.VV.: Vite e detti di Maometto, Mondadori
Risvolto
II volume, che configura una vera e propria biografia "sacra" di
Maometto, propone gli elementi essenziali per conoscere e comprendere la
figura del Profeta secondo la prospettiva islamica. Due i generi
letterari tradizionali in cui tali elementi sono stati espressi: il
primo è il genere biografico, rappresentato dalle Vite antiche di
Maometto, delle quali nel volume è presentata una scelta dei primi testi
sulle imprese del Profeta che non ha equivalenti nell'editoria
occidentale. Il secondo genere, quello sapienziale dei Detti (Hadith),
raccoglie le sentenze più significative attribuite a Maometto. Tratti
dalle raccolte canoniche più autorevoli, i Detti rappresentano per i
musulmani una scrittura sacra a tutti gli effetti, nonché un complemento
alla parola di Dio che è contenuta nel Corano. Si tratta dunque di
opere fondamentali, che ci permettono di vedere "dal di dentro"
l'immenso valore attribuito al Profeta dai fedeli dell'Islam, un valore
che si perpetua da secoli ed è oggi condiviso da più di un miliardo di
credenti.
Esce in libreria domani il volume Vite e detti di Maometto , edito da Mondadori (collana «Meridiani. I classici dello spirito», pagine 1.248, e 60, progetto editoriale di Alberto Ventura). L’opera si divide in due parti: le Vite antiche di Maometto includono un saggio introduttivo e le note di Michael Lecker, con testi scelti e tradotti da Roberto Tottoli; I Detti di Maometto sono a cura di Rainer Brunner, con testi tradotti da Massimo Laria.
Le fondamenta religiose dell’Islam
Le meraviglie del Creato un riflesso del volto di Dio La sacralità degli animali, dei fiori e delle luci nel cielo
di Pietro Citati Corriere 22.9.14
Le fondamenta religiose dell’I slam sono due:
Il Corano (di cui raccomando la bellissima traduzione di Ida
Zilio-Grandi, con introduzione di Alberto Ventura, Mondadori ); e i
Detti (Hadith) di Maometto, in uscita nella raccolta V ite e detti di
Maometto (con eccellente introduzione di Alberto Ventura, a cura di
Rainer Brunner, traduzione di Massimo Laria, I Meridiani Mondadori).
Sono due testi opposti e complementari. Il Corano è la parola di Dio,
che l’arcangelo Gabriele riferisce a Maometto. Gli Hadith, o
«conversazioni» sono le parole di Maometto confidate a antichi fedeli, e
da questi ad altri fedeli, fino alla metà dell’XI secolo. Degli Hadith
esistono innumerevoli raccolte; e Rainer Brunner ne ha scelto una delle
più importanti, il Sahih di al-Bukhari, nato a Bukhara nell’810 e morto a
Samarcanda nell’871.
La differenza di tono tra il Corano e i Detti è
grande: IlCorano è lirico, apocalittico, folgorante, pieno di balzi, di
scorci e di omissioni; è oscuro e si compiace delle proprie tenebre. I
Detti ampliano e dilatano il Corano , trasformando la sua follia in una
forma narrativa, che assomiglia al testo dell’Antico Testamento , il
quale ha modellato l’immaginazione islamica.
Altre parti, forse più
diffuse, dei Detti , discendono dai Vangeli: ne imitano la semplicità,
molte parabole essenziali, alcune sentenze e il Padre nostro : «O Dio,
sei il mio Signore, non c’è altro Dio all’infuori di Te. Tu mi hai
creato, e io sono il tuo servo, rispetterò il tuo patto e la tua
promessa, fino a che potrò. Mi rifugio in Te dal male che ho commesso,
riconosco il favore che Tu mi hai elargito e riconosco il mio peccato.
Perdonami, perché nessuno all’infuori di Te può perdonare i peccati».
***
Dio
possedeva un trono, sul quale sedeva; e il Libro, cioè il Corano , o
per meglio dire l’archetipo celeste del Corano . Il testo, che noi oggi
conosciamo, non era definitivo: aveva varianti, forme diverse e
molteplici; chi cercò il testo lo raccolse da steli di palma, lastre di
pietra bianca e dalla memoria degli uomini. Il Corano era stato rivelato
a Maometto nel corso di una unica notte, detta «notte del destino»,
dove il destino rappresenta il decreto immutabile di Dio. Poi la parola
divina si era dispiegata nel tempo: Dio l’aveva rivelata al profeta nel
corso di 23 anni, lampi dopo lampi, sura dopo sura . Un tempo, il mondo
non esisteva: Dio era un tesoro nascosto, celato nelle profondità del
proprio mistero, sconosciuto persino a sé stesso, avvolto nella tenebra.
Quando Dio volle conoscersi, creò il mondo. Ora, tutto ciò che noi
vediamo, è una immagine di lui. La sterminata regione dei corpi, gli
alberi, gli uomini, le luci, le ombre, sono sembianze del suo unico
volto. Dio è il prato dove brucano le gazzelle, il tempio dove vengono
venerati gli idoli, la pietra dove è stata scritta la legge mosaica, il
chiostro dove si rifugia il monaco cristiano, la Ka’ba dove si prostra
il pellegrino, il canto ispirato a Maometto. Ma Allah non si è incarnato
come il Dio cristiano. Egli è soltanto «entrato» nelle forme create,
come un’immagine «entra» e si riflette dentro uno specchio. Chi
contempla le cose, non conosce la luce divina: la conosce deformata e
trasformata. Il nostro mondo è l’ombra rispetto alla persona, la figura
specchiata rispetto all’immagine, il frutto rispetto all’albero. Così il
credente che si slancia verso le forme create per conoscere Dio,
incontra la delusione, giacché il mondo è un velo che ci nasconde il suo
volto.
Le fasi della creazione islamica sono diverse rispetto a
quelle bibliche. Il sabato, il Dio dell’Islam creò la terra, e la
domenica i monti, e il lunedì gli alberi, il martedì il male, e il
mercoledì la luce. Il giovedì distribuì gli animali sulla terra e infine
creò Adamo. Ci sono due differenze essenziali: il primo giorno, il Dio
della Bibbia creò la luce: fonte di ogni essere. Inoltre non c’è nessun
passo, nell’Antico Testamento , in cui Dio creò il male, il male come
forma unica e assoluta. Ma una differenza successiva è data dal fatto
che i diavoli islamici pronunciano la Sua interpretazione del Corano :
esaltano Dio: «Non c’è altro che lui, il vivo, il sussistente»; e quindi
tornano a far parte dell’essenza positiva della creazione.
Sia nel
Corano sia nei Detti , Dio disse agli angeli: «Io metterò sulla terra un
mio vicario», cioè Adamo. Allora gli angeli risposero: «Metterai sulla
terra chi vi apporterà la corruzione e spargerà il sangue, mentre noi
innalziamo la Tua lode e glorifichiamo la Tua santità», Dio rispose: «Io
so ciò che voi non sapete». Poi ordinò agli angeli di prosternarsi
davanti ad Adamo. Tutti si prosternarono, tranne Iblis, che incarnò due
aspetti opposti della manifestazione angelica: era l’unico miscredente,
perché non obbediva, ma era anche devoto e fedele a Dio, perché sapeva
che bisognava prosternarsi solo davanti a Dio.
Nella Bibbia , la
creazione di Adamo sembra istantanea: Dio prende la polvere dalla terra,
vi soffia l’alito di vita; e l’uomo è subito un essere vivente, che
passeggia nel giardino dell’Eden. Nell’Islam, tutto avviene molto
lentamente. Con l’argilla colorata fornitagli dall’angelo della morte,
Dio forma Adamo e l’abbandona. Nessuno, né angeli né demoni, aveva mai
visto una figura così gigantesca. Per quarant’anni, il suo corpo immenso
e vuoto giace disteso al suolo: l’argilla diventa secca come un ramo di
palma abbandonata nel deserto, e dà un suono cupo; l’angelo del male
entra nella bocca del corpo vuoto e l’esplora. Alla fine Dio ordina
all’anima di entrare nelle membra distese. L’anima si insinua nella gola
e, dovunque arriva, l’argilla, la polvere, il fango diventano ossa,
nervi, vene, carne, pelle: quando arriva al capo, Adamo starnutisce e
dice: «Lode a Dio!».
Poi Dio gli insegna una scienza segreta, che
non aveva insegnato agli angeli. Insegna al gigante d’argilla il nome
dei demoni e delle fate che si trovano sulla terra, dei quadrupedi che
stanno nel mare e fuori dal mare, degli animali che pascolano, che
brucano, camminano, volano: il nome delle cose secche e delle cose
umide, delle cose leggere e delle cose pesanti; dell’inverno,
dell’estate, del cielo, della terra, della montagna, della pianura e del
deserto.
Quando l’angelo del male tenta Adamo ed Eva, essi mangiano
il frutto dell’albero della vita e dell’eternità. In quel momento, dice
un dotto islamico, «la loro pelle si staccò dal corpo, e la carne
rimase allo scoperto, come ora la nostra. La pelle che Adamo ha in
paradiso è simile alle nostre unghie: quando si stacca, rimane soltanto
sulle punte delle dita quel poco che noi abbiamo. Così ogni volta che
Adamo ed Eva guardano le unghie delle loro dita, ricordano il paradiso e
tutte le sue delizie». Adamo viene gettato nell’Hindustan: Eva presso
la Mecca; il serpente a Isfahan. Adamo comprende la propria colpa:
capisce di aver peccato contro Allah; si getta in adorazione, con il
viso contro la terra, e piange. Le lacrime scendono dagli occhi come
ruscelli, calano a valle e fanno crescere gli alberi e gli arbusti
medicinali. Nella Genesi , la tragedia rimane miracolosamente
inespressa: appena un gesto rivela la colpa: nessuna lacrima viene
versata; il volto di Adamo e di Eva rimane asciutto come in una scultura
romanica.
Cento anni più tardi, Allah — il Benigno, il
Misericordioso — perdona Adamo: questa volta le lacrime di gioia,
toccando terra, generano il narciso, l’amaranto e tutti i fiori della
pianura. Poi Adamo comincia la sua vita di lavoro e di pena. Nella
Genesi , gettato e abbandonato sulla terra, trae ogni risorsa da sé
stesso: «Col sudore della fronte, lavora i campi pieni di spini e di
triboli, cerca l’erba dei campi, semina il grano, prepara il pane».
Nella leggenda islamica, Adamo non è mai solo: le mani soccorrevoli di
Allah gli inviano gli angeli, per aiutarlo e educarlo. Gabriele scende
dal cielo: insegna ad Adamo a trarre il ferro dalla pietra, a costruire
gli attrezzi agricoli, a seminare, a trasformare il grano in farina, a
costruire un forno di ferro e a fare il pane. Infine — ultimo dono — gli
porta dal cielo il bue da lavoro.
Malgrado questo fitto battere di
ali angeliche, la conclusione è tragica, come nella tradizione ebraica.
Sulle porte dell’Eden, Dio dispone i cherubini; e la «fiamma della spada
guizzante» terrà per sempre lontani gli uomini dall’albero della vita,
fino a quando altri angeli annunceranno la Gerusalemme celeste e nuovi
alberi della vita.
Allah non ha bisogno della spada guizzante dei
cherubini. Fino ad allora, Adamo sfiorava con la testa il primo cielo, e
discorreva con gli angeli. Dio manda Gabriele, che muove lievemente
l’ala sul capo di Adamo, e riduce la sua statura a novanta metri. Adamo
piange, perché non può più ascoltare la voce degli angeli. Gabriele gli
parla: «Dio ti saluta e ti dice: “Ho fatto di questo mondo una prigione
per te; e ho diminuito la tua statura finché tu vivessi in carcere”».
Quali siano le differenti traduzioni culturali, l’eredità
ebraico-cristiano-islamica è unanime. Questa terra è un carcere. Se
vogliamo conoscere altre voci e visioni, dobbiamo ascoltare la musica
celeste o contemplare le luminose rivelazioni ultraterrene, che di tempo
in tempo vengono a interrompere la fitta tenebra della nostra prigione.
***
Non c’è bisogno di ricordare chi sia Dio. Dio è l’unico:
«Non c’è altri che Lui, il Vivente e il Sussistente». E sebbene esistano
Gesù, Maria e lo Spirito, nessuno di loro è veramente un uno; e la
Trinità è una parola vuota. Dio è geloso. Se scorge il cipresso levarsi
verso il cielo, fiero della sua grazia, lo abbatte al suolo. Appena il
sole raggiunge lo zenit, lo precipita nella bassura del tramonto; e se
il disco lunare risplende nella sua pienezza, gli impone di decrescere.
Egli non sopporta che dedichiamo ad altri — padri e figli, mogli e
mariti — una parte del nostro amore: così dicevano anche i Vangeli .
Eppure, gli Hadith sollevano dubbi: fino al dubbio estremo: «L’Inviato
di Dio ha detto: “Gli uomini continueranno a porsi domande a vicenda,
fino al punto che diranno: Questo è Dio, il Creatore di ogni cosa. Ma
chi ha creato Dio?”».
La seconda verità non è meno evidente. «Quando
Dio terminò la creazione, scrisse nel Suo libro scrivendo su Sé stesso:
“La mia clemenza precede la mia ira”». E la clemenza è il dono che
l’Islam originario oppone a tutte le altre religioni. Un arabo incontrò
un dotto ebreo e gli disse: «Dimmi qualcosa della tua religione».
L’ebreo rispose: «Non sarai della nostra religione fino a che non ti
prenderai parte dell’ira di Dio». L’arabo rispose: «L’ira di Dio è
l’unica cosa da cui rifuggo». Poi l’arabo incontrò un dotto cristiano, e
gli pose la stessa domanda. Il cristiano rispose: «Non sarai cristiano
fino a che non prenderai la tua parte nella maledizione di Dio». L’arabo
rispose: «Non sopporto la maledizione di Dio». Gli Hadith non fanno che
sottolineare, sino all’infinito, questa inaudita clemenza. «Se un mio
servo ha l’intenzione di compiere una buona azione, ma non la compie,
contategliela — disse Dio agli angeli — come una buona azione, e se ne
compie una, attribuitegli da dieci a settecento buone azioni». Questo
Dio clementissimo sta accanto a noi e ci ama. Lo crediamo perduto nella
distanza dei cieli, difeso da settantamila cortine di luce e di tenebra;
mentre egli ci è più vicino delle vene del nostro collo, del nostro
respiro, della nostra immagine riflessa allo specchio.
La prima
grande figura della storia islamica è Abramo, ereditato dalla Genesi .
Nei Detti , Abramo portò Ismaele, il figlio avuto da Agar, alla Mecca,
nel luogo della futura Ka’ba, e poi fuggì. Tutto, attorno, era senza
acqua e disabitato. Apparve un angelo, smosse la terra con il tallone,
fino a quando uscì l’acqua. Agar la versò in un otre. Poi l’angelo le
disse: «Non abbiate paura di morire, perché qui Abramo e Ismaele
costruiranno la casa di Dio». Quando Abramo ritornò, Ismaele stava
temperando una freccia sotto un grande albero vicino al pozzo di Zamzan.
Abramo gli chiese: «Mi aiuterai?» «Sì, ti aiuterò», rispose Ismaele.
Abramo disse: «Dio mi ha ordinato di costruire una casa in questo
luogo». I due cominciarono a lavorare: Ismaele passava le pietre ad
Abramo, ed Abramo edificava. Quando la Ka’ba fu eretta, Abramo ed
Ismaele cantarono come nel Corano : «Accettalo da noi, Signore nostro.
Tu sei colui che ascolta e colui che sa, Signore nostro. Rendici
sottomessi a Te, e mostra i tuoi riti. Tu sei l’Indulgente, il
Compassionevole».
Nei Detti , Gesù appare in un sogno di Maometto,
mentre corre attorno alla pietra nera della Ka’ba. «Vidi apparire —
disse Maometto — un uomo di carnagione scura, la più bella che si possa
vedere tra gli uomini, con la chioma che gli ricadeva sulle spalle.
Aveva i capelli lisci, e dalla testa gli scendevano gocce d’acqua». Non
era figlio di Dio, come pretendevano i cristiani, ma dell’angelo e di
Maria: era un profeta, e annunciava Maometto, l’ultimo dei profeti. Il
Corano aveva detto: «Dio gli insegnerà il libro e la saggezza e la Torah
e il Vangelo, e lo invierà come Suo messaggero ai figli di Israele, ai
quali egli dirà: “Io vi porto un segno da parte del Vostro Signore, vi
creerò dall’argilla come una figura d’uccello, e poi vi soffierò sopra e
sarà un uccello vivente; e inoltre guarirò, con il permesso di Dio, il
cieco nato e il lebbroso, e risusciterò i morti”». Ma, nei Detti ,
risuona la critica di Maometto verso il proprio predecessore. «Non
lodatemi oltre misura, come hanno fatto i cristiani con il figlio di
Maria. Io sono soltanto il Servo di Dio».
***
Passati i
quarant’anni, Maometto ebbe le prime visioni. La notte gli compariva in
sogno una figura enorme e sconosciuta, che con la testa toccava il cielo
e con i piedi la terra, e si avvicinava per afferrarlo. Durante il
giorno, mentre camminava per la campagna, sentiva delle voci uscire dai
sassi, dai muri e dai ventri degli animali: voci che gli dicevano:
«Salute, o apostolo di Dio». Il divino gli si presentava come
l’esperienza del tremendo: una forza che non aveva nome, che poteva
venire da tutte le parti, che non aveva nulla a che fare col bene, che
era solo contraddistinta dalla propria potenza, irrompeva sopra di lui,
lo afferrava, lo dominava, e voleva soggezione senza limiti. Era
sconvolto da brividi di freddo o si copriva di sudore: strani suoni di
campana o fruscii di lontane ali celestiali o fragori gli risuonavano
nella mente, e restava a terra senza coscienza.
Come confessò più
tardi, gli sembrava che qualcuno infinitamente possente gli stesse
strappando l’anima a pezzi. Diventò inquieto: temeva di impazzire o di
essere posseduto da un demone: «O Khadija — disse alla vecchia moglie —
temo di diventare pazzo». «Perché?» gli domandò lei. «Sento in me i
segni degli indemoniati: voci misteriose per le strade, figure enormi
nel sonno». Khadija gli rispose: «O Maometto, non inquietarti. Con le
qualità che hai, tu che non adori gli idoli, tu che ti astieni dal vino e
dal vizio, che fuggi dalla menzogna, che pratichi la probità, la
generosità e la carità, non hai nulla da temere. Dio non ti lascerà
cadere sotto il potere dei demoni».
Spesso Maometto lasciava la
città, e saliva in una caverna sulle colline di Al-Hira, passando le
notti nella meditazione e nell’adorazione, come un monaco cristiano. Una
notte, mentre stava dormendo, la figura enorme dei primi incubi gli si
presentò di nuovo in sogno. Aveva in mano un copriletto di broccato:
sopra c’era scritto qualcosa. Gli disse: «Leggi». Maometto rispose:
«Cosa mai devo leggere?». La figura lo strinse con tanta forza che
Maometto pensò di morire. Tre volte gli impose: «Leggi!»; tre volte
Maometto rifiutò; finché, soltanto per liberarsi, disse di nuovo: «Cosa
devo dunque leggere?». L’altro rispose: «Leggi in nome del tuo Signore
che ha creato,/ ha creato l’uomo da un grumo di sangue./ Leggi! Il tuo
Signore è il Generosissimo,/ ha insegnato l’uso del calamo,/ ha
insegnato all’uomo quello che non sapeva». Secondo la tradizione
islamica, erano i primi versi del Corano .
Maometto lesse, e la
figura si allontanò da lui. Quando si svegliò, le parole erano scritte
nel suo cuore. Aveva ripetuto l’esperienza di Ezechiele e di Giovanni
nell’Apocalisse. Qualcuno gli aveva imposto con la violenza uno scritto
vergato in un altro mondo: Ezechiele e Giovanni l’avevano ingoiato; lui
l’aveva fatto diventare parte del cuore e del corpo. Soltanto attraverso
questa totale appropriazione fisica, la rilevazione celeste era
divenuta Apocalisse , e ora sarebbe divenuta Corano . Ezechiele e
Giovanni avevano accettato senza timore il libro dal sapore dolce-amaro,
certi del suo carattere sacro. Più dubbioso, inquieto e consapevole
dell’ambiguità della parola ispirata, Maometto non osava accettare la
rivelazione. Temeva di essere un «poeta estatico» o un «uomo posseduto»:
uno di quei kahin , che in Arabia profetavano ispirati dai demoni.
Travolto
dall’angoscia, avrebbe voluto uccidersi, e cercò di precipitarsi dalla
collina. In quel momento, udì una voce dal cielo. Girò la testa, e
scorse l’angelo Gabriele, con i piedi a cavalcioni sull’orizzonte, che
diceva: «O Maometto, tu sei l’apostolo di Dio e io sono Gabriele!».
Rimase stupito: girò la faccia dall’altra parte, e verso qualunque luogo
del cielo guardasse, dovunque spingesse gli occhi ansiosi, scorgeva il
corpo del grande angelo: forse il corpo di Dio. Gabriele lo prese
dolcemente tra le ali, in modo che non potesse muoversi, e gli ripeté:
«Non temere, tu sei il profeta di Dio, e io sono Gabriele, l’angelo di
Dio».
Maometto discese dalla collina: tremava in tutto il corpo per
il terrore della rivelazione, ma ripeteva tra sé le frasi di Gabriele,
le prime frasi di quello che sarebbe diventato il suo libro, che
cominciavano a rassicurarlo. Tornò a casa, raccontò la visione a
Khadija, e le disse le parole dell’angelo. Poi fu ancora colto dal
freddo e chinò la testa chiedendo: «Coprimi! Coprimi!». La moglie lo
avvolse in un mantello, e lui si addormentò al suolo, come un bambino
terrorizzato. Khadija andò da un vicino. Mentre Maometto dormiva,
Gabriele entrò nella casa e gli parlò: «Alzati, tu che sei coperto con
un mantello». Maometto si risvegliò e rispose: «Eccomi, che debbo
fare?». E Gabriele: «Alzati e avverti gli uomini e chiamali a Dio».
Maometto gettò via il mantello e si alzò. Quando la moglie tornò, gli
disse: «Perché non dormi, e non ti riposi?». Maometto rispose: «Il mio
sonno e il mio riposo sono finiti: Gabriele è tornato, e mi ha ordinato
di trasmettere il messaggio di Dio agli uomini».
***
Il
ritratto, che i Detti lasciano di Maometto, è meno soave del ritratto di
Gesù. «Egli era di statura media, né alto né basso, di carnagione
chiara, né troppo pallida né scura, i capelli non erano ricci, né lisci e
cadenti. Aveva un cappello roso: era diventato così per via del
profumo». La cosa essenziale che distingue Maometto da tutti i profeti, è
che egli è il profeta definitivo: l’ultimo rispetto ad Adamo, Mosè,
Abramo, Gesù; il sigillo dei profeti; sebbene quel sigillo fosse, in
primo luogo, un neo pelosissimo sulla spalla. È incerto se egli fosse il
profeta di tutte la nazioni, o il profeta di una comunità sola: quella
araba? Quando chiede di essere accolto in cielo, il Signore gli accorda
il permesso. Maometto cade prostrato davanti a Dio, che gli dice:
«Solleva la testa. Parla, e sarai ascoltato: domanda, e ti sarà dato:
intercedi e la tua intercessione sarà accolta»; parole che discendono
direttamente da quella che è, forse, la parola fondamentale dei Vangeli .
Come Gesù, il Gesù dei Vangeli e del Corano , Maometto possiede
rivelazioni, successive alla rivelazione fondamentale. Ha visioni. Fa
miracoli, sebbene con qualche incertezza. Rispetto a Gesù, anche al Gesù
coranico, egli è assai più umano. Ride, mentre Gesù non ride mai:
combatte; uccide, commercia; chiacchera; seduce e si fa sedurre nel suo
gineceo; rispetta l’autorità, ed egli stesso è un’autorità; come i
Cesare, i Cosroe e i Negus, mentre per Gesù qualsiasi autorità è una
parola vuota.
Ama le cose facili, mentre Gesù sceglie la via
difficile e ardua: ama le cose limitate, moderate, flessibili, mentre i
Vangeli coltivano l’eccesso anche nelle apparenze umili e puerili. Così
si comprende la profonda differenza che corre nei rapporti tra i
cristiani e gli islamici e il loro Signore. Un mercante e un beduino
arabi del VII secolo si sentono prossimi a Maometto, che per loro è come
un fratello maggiore: mentre un cristiano delle origini o un monaco
medioevale coltivano nell’umiltà e nell’incarnazione del loro Dio
l’ombra di una distanza vertiginosa.
Maometto vita da profeta senza perdere la misericordia
Dall’amore alla pietà, dalle donne all’ironia In un Meridiano Mondadori le sentenze e i detti del fondatore dell’Islam Un corpus di insegnamenti e precetti per i credentidi Pietrangelo Buttafuoco Repubblica 25.11.14
TRA
i Novantanove nomi di Dio, tra gli appellativi che definiscono Allah,
non c’è quello di “padre”. Ma è Muhammad, il Profeta dell’Islam, a far
da papà ai musulmani, ai quali insegna tutto, anche come fare pipì.
«Davvero», chiede un miscredente, «il Vostro Profeta vi ha ammaestrato
con cura su come fare i bisognini?». La risposta, come riporta Ignaz
Goldziehr in Études sur la tradition islamique ( Parigi, 1952), è di
Muhammad: «Io sono per voi ciò che il padre è per i figli. Devo
istruirvi su tutto». Ci si pulisce dalle impurità con la mano sinistra,
mentre la destra è benedizione; figurarsi dunque se Maometto, con il suo
esempio (tutte notizie raccolte dal racconto della sua vita e dai
“detti” a lui riconducibili), non abbia dato precise indicazioni:
salutare per primi, guardare sempre negli occhi, combattere con valore,
mercanteggiare con abilità, scherzare volentieri, praticare l'arte
dell’umorismo.
Una vecchietta si avvicina a Muhammad e gli chiede se
mai troverà posto in Paradiso: «No», risponde il Profeta con tono aspro,
«nel Cielo di Allah non entrano le vecchie». La donna resta raggelata
dalla risposta, ma Muhammad sorride, le porge una rosa e sussurra:
«Quando sarai in Paradiso, tornerai a essere la fanciulla bella e sana
che fosti ».
Ama i profumi, le preghiere e le donne, Muhammad. Ed è
il Profeta più radicalmente umano, è l’esempio per chi «spera in Dio e
nell’ultimo giorno». Da qui deriva la necessità per ogni musulmano di
conoscere la sua vita, di adattarsi ai suoi gesti, alla sua stessa
postura e di raccoglierne, tra gli aneddoti, le sentenze. Vite e Detti
di Maometto (Meridiani Mondadori, progetto editoriale di Alberto
Ventura, con saggi di Michael Lecker e Rainer Brunner), si rivolge al
lettore in una veste che non implica una conoscenza specialistica o,
tanto meno, si rivela essere un dossier a uso delle polizie
internazionali.
Uffa è parola araba. Uff, infatti, è la prima parola
negativa nella lingua araba, e non si dice mai ai propri genitori e
neppure al prossimo, fosse pure un nemico. Ogni gesto del Profeta, per
il credente, è un fatto prodigo di insegnamenti: Anas bin Malik vide
Muhammad bendarsi le ginocchia affinché la moglie Safiyya, poggiandovi
sopra i piedi, avesse un comodo rialzo per cavalcare il cammello. Non
esiste creatura nel cosmo che non abbia una scintilla della
Misericordia. E, infatti, si sarà ricompensati per come ognuno tratterà
gli animali. Muhammad racconta di un uomo assetato che, giunto a un
pozzo, scorge un cane sfinito dall’arsura ma impossibilitato ad
attingere acqua. Mosso a pietà, raccoglie dell’acqua con la scarpa e
disseta il cane, commuovendo Allah che lo solleva da tutti i suoi
precedenti peccati.
L’insieme dei Detti e delle Vite , oltre al
contesto fideistico dei musulmani, è qualcosa di simile a ciò che il
corpus dei frammenti presocratici — il primo deposito della sapienza
greca — rappresenta nella storia della cultura universale. Resta tra i
capisaldi dell’Occidente, pur raccogliendo le fonti direttamente
nell’albeggiare dell’Islam, il capitolo che Thomas Carlyle dedicò a
Maometto tra gli Eroi ma nell’essere memoria, scrittura e dunque canone,
le Vite e i Detti ( gli hadith) — in quanto fonti di una religione
spezzettata tra i rivoli delle diverse interpretazioni — fuori
dall’ottica «storicistica » diventano «sunna» e incontrano la dimensione
quotidiana. Questa doppia radice di biografia del Profeta e di
“parlato”, riferito da testimoni e certificato da sapienti, diventa
materia viva nel credente. Ancora oggi, gli hadith e i fatti di Muhammad
sono appresi più per racconto che per studio.
L’insieme degli hadith
e l’unicità della vita di Muhammad non sono dottrina, sono esperienza.
«Se giunge l’Ora» — ovvero la fine del mondo — «e qualcuno ha in mano un
seme con l’intenzione di piantarlo, lo faccia ». È ancora Muhammad a
parlare e il canone è prassi, riguarda ogni momento della giornata —
perfino il suggerimento di non eccedere con l’acqua durante i pasti —
senza mai irrigidirsi nella sterilità delle norme. Ed è tema “santo” il
conformarsi a ciò che fu detto e a ciò che fu fatto, tanto da diventare
guida lì dove il Corano — voce e parola di Dio — diventa per il credente
un irriducibile e ”sacro” patto a due.
Muhammad è il migliore tra i
discendenti di Adamo, ed è, nella catena della Rivelazione, colui che ha
posto il Sigillo della religione universale. A differenza di Gesù, che
per i musulmani è “Spirito di Allah”, Muhammad non è morto sulla Croce e
tornerà da guerriero alla fine dei tempi. Fa l’amore, seduce, è un
combattente e dunque uccide — è un capo politico, è il fondatore di una
comunità che dilaga oltre al suo tempo storico per arrivare ai giorni
nostri — e la sua tomba è visibile perché i suoi giorni sulla terra si
sono conclu- si in attesa del Dì del Giudizio. Alla sua morte, nel 632,
Abu Bakr, il primo califfo dell’Islam, così parla alla comunità dei
credenti: «Chi adorava Muhammad, ebbene sappia che Muhammad è morto e
solo Dio non muore».
Prima di Dante Alighieri, che quel viaggio lo
fece in virtù di poesia, è Muhammad a fare esperienza del viaggio che lo
porta nell’aldilà, dove può vedere gli inferi e poi nell’ascensione,
incontrare la luce di Dio. Accanto ai precetti, queste sono le prove
“della profezia di Muhammad”. «Quando camminava», scrive Michael Lecker
nell’introduzione al Meridiano — «sembrava che stesse scendendo per un
pendio».
Muhammad è come un padre che sa trovare una risposta a ogni
perché. Genitore di un’umanità redenta dall’ignoranza, il Profeta offre
le chiavi della lealtà e della pietà, come quando, entrando nella Kaaba,
il tempio eretto da Abrano, oggi meta del pellegrinaggio santo,
spazzandone via gli idoli, dice: «Nessun altro terrà queste chiavi
eccetto voi, famiglia».
Spetta il Paradiso a chi educa una o più
figlie, e questa sentenza del Profeta suona sovversiva ai suoi
contemporanei arabi usi a seppellire vive le neonate. At-Tirmiti narra
di un uomo che per tre volte chiede a Muhammad: «Chi merita di essere
trattato meglio?». La risposta del Profeta è sempre: «Tua madre». Quando
infine l’uomo ripete per la quarta volta la domanda, ecco la risposta:
«Tuo padre». Pater, dunque. Nell’accezione di una regalità soccorrevole
al punto di cedere alla tenerezza: «Un padre che non sa baciare il
proprio figlio», dice Muhammad in un hadith , «non conosce misericordia
nel proprio cuore». E il padre, riferisce l’ hadith, arriva quarto dopo
che per tre volte il seme dell’amore piantato nel cuore degli uomini è
ribadito essere quello della madre, la donna ai cui piedi — e sono
innumerevoli sono le iscrizioni e le calligrafie che lo attestano — «è
sempre Paradiso».
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