domenica 12 ottobre 2014

Ancora sulla Germania e il Grande Spazio europeo


Luigi Reitani: Germania europea Europa tedesca, Salerno

RisvoltoEsiste una Germania che vuole dominare l’Europa, o esiste una nazione aperta che si pone come guida al servizio dell’Europa? Qual è il ruolo della Germania in Europa? Esiste davvero il rischio di una supremazia tedesca nelle scelte cruciali di politica economica del vecchio continente? La crisi di sistema in cui viviamo lascia affiorare antichi fantasmi. Eppure, mai come oggi, la Germania ha fatto della propria apertura internazionale un valore irrinunciabile. L’idea di uno stato in Europa e per l’Europa – che attraversa almeno due secoli di storia culturale tedesca – sembra definitivamente prevalere sulla visione nazionalistica di una ‘missione’ egemonica.

Deboli, altro che teutonici 
Convince la tesi di Reitani secondo cui la Germania rifiuta per paura ruoli egemonici e responsabilità

12 ott 2014  Il Sole 24 Ore Di Paolo Peluffo
Il breve e colto pamphlet di Luigi Reitani è un utile esercizio spirituale per frenare, dentro ciascuno di noi, gli eccessi grotteschi di antigermanesimo dilagante in una classe dirigente italiana sempre più inconsapevole della storia, delle lingue, delle questioni profonde sepolte dai guasti della grande gelata dell’austerità e della deflazione. Quante volte abbiamo sentito accostare le politiche, sbagliate, del rigore assoluto, al portato ineluttabile di una storia fatta solo di Reich (primo, secondo o terzo?), o addirittura di invasioni barbariche? Quante volte sentiamo interpretare il mondo tedesco sulla base dell’immagine dell’ufficiale nazista che suona Chopin mentre viene rastrellato il ghetto di Varsavia? Reitani, che è un  raffinato studioso di letteratura, un traduttore di vasta cultura, parte dal dato oggettivo che mai come in questi anni abbiamo saputo poco e studiato poco della Germania, a partire dalla sua lingua, di cui solo il 2% degli italiani ha qualche elementare conoscenza. Un’Europa che, da quando condivide la moneta, ha smesso di studiare la cultura umanistica dei Paesi vicini e che si affida a conoscenze sempre più contratte e frammentate. Il 62% degli italiani continua a conoscere solo la propria lingua, contro il 36% dei tedeschi e il 6% degli olandesi. C’era più interesse nella nostra stampa negli anni precedenti la caduta del Muro, di cui ricorre quest’anno il 25º anniversario. 

La Germania è diversissima dagli stereotipi che, colpevolmente, alimentiamo. Basta passare qualche giorno in una città tedesca per rendersi conto di un Paese per niente arrogante, profondamente sociale, multietnico, dove i sindacati hanno una autorevolezza che qui si è perduta, dove la scuola è davvero pubblica, dove lo Stato spende 2,5 miliardi l’anno per finanziare orchestre, opera lirica e festival, dove la riflessione civile sulle colpe del nazismo è stata condotta ben più profondamente di quanto noi abbiamo saputo maturare sulla lunga dittatura fascista. 
Certo, l’incomprensione è reciproca, se pensiamo alle banalità incredibili che sulla stampa tedesca accostano talora il caso della Costa Concordia al nostro debito pubblico (che ricordiamolo è "assicurato" da una ricchezza netta privata di 2.700 miliardi di euro). È il dialogo che si è interrotto. E con il dialogo si è interrotta la riflessione sui modelli storici ed economici da confrontare, cancellati da una sorta di pensiero unico conseguente all’approvazione, senza dibattito e senza discussione, del «fiscal compact». 
In Italia si preferisce interpretare la severità tedesca verso il Sud Europa sulla base di un modello di tipo "imperiale". Lo dicono anche Feltri e Sangiuliano nel loro informato saggio di guerra sottotitolato «come la Germania ha sottomesso l’Europa». Lo spiega, con uno straordinario lavoro di ricerca e documentazione, Vladimiro Giacché nel suo Anschluss. L’annessione. L’unificazione della Germania e il futuro dell’Euro (Imprimatur editore) appena uscito in tedesco e presentato il 27 settembre a Berlino, alla Landegalerie di Junge Welt, sul sinistro precedente, fatto di sistematica demolizione e spoliazione dell’infrastruttura industriale della Germania Est. 
Tuttavia, a me personalmente convince la tesi di Reitani – che coincide con quella di Gian Enrico Rusconi – di una Germania che informa i suoi comportamenti all’assenza di una grande strategia, alla paura e in fondo al rifiuto di un ruolo egemone in Europa, alla debolezza piuttosto che alla forza. È proprio la tendenza a rifiutare una responsabilità globale, geopolitica, di Paese leader dell’Unione a spiegare certe insensibilità, certe crudeltà o egoismi quali quelli manifestati nel corso della drammatica crisi della Grecia. Della Germania sottovalutiamo la paura di gestire una moneta internazionale, l’ossessione, insensata, per future bolle inflazionistiche. Dal rifiuto di un ruolo egemonico si apre lo spazio per teorie e modelli mercantilistici nei rapporti con gli altri Paesi dell’Unione. 
Il monetarismo rigido della Bundesbank è fondato su un modello economico molto semplice: puntare sull’industria meccanica e sulle esportazioni, riportare in Germania tutti i pezzi pregiati del processo produttivo, comprare proprietà di valore all’estero per integrarle nel sistema tedesco, tesaurizzare insomma. Rifiutandosi di aumentare gli stipendi tedeschi e i consumi (con le cosiddette riforme di Schroeder) la Germania ha esportato deflazione, e ha creato un gigantesco avanzo commerciale. Meglio dunque analizzare con cura, nel dettaglio, scelte silenziose, poco notate, per capire. Che cosa significa la battaglia legale per rimpatriare dagli Usa porzioni significative dell’oro della riserva? Cosa significa l’intreccio ferroviario che salda i trasporti tedeschi allo sbocco cinese con le prime linee di alta velocità che si completeranno nel 2018?

Per capire i tedeschi bisogna dimenticare gli spettri del nazismo
17 feb 2015 Libero VITO PUNZI
Un vero festival dei luoghi comuni, quello scatenatosi in Italia e Germania sui rapporti tra i due Paesi e sulla «questione tedesca» in generale, cioè il ruolo che la Germania ha o dovrebbe avere nel contesto dell’Ue. Di fronte alla tempesta scatenatasi, il germanista Luigi Reitani con il pamphlet Germania europea. Europa
tedesca ( Salerno, pp. 96, euro 7,90) tenta un approccio culturale, cercando di individuare anzitutto ciò che limita la conoscenza tra i popoli, così da evitare ridicole iperboli storico-razziali del tipo: i Germani descritti Tacito nel I sec. d.C. non potevano che finire col fare ciò che hanno fatto nel secolo scorso e altrettanto si preparano a compiere ora con il nuovo Reich.
Il bisturi di Reitani seziona a dovere e rileva quanto sia poco diffusa anzitutto in Italia la conoscenza del tedesco, quanto ci si attenga ancor oggi a schemi che vogliono da una parte una «buona Germania» (quella socialdemocratica di Weimar) e dall’altra una «cattiva Germania» (quella prussiano-nazionalista, «naturalmente» sfociata nel Terzo Reich). Ciò che Reitani non rileva è che la diffusa ignoranza, almeno da parte italiana, è frutto di almeno mezzo secolo di egemonia culturale di matrice marxista-comunista che, controllando i principali luoghi di produzione della cultura (università, scuola, case editrici, teatro, cinema) ha consentito che avessero accesso da noi solo autori, artisti e studiosi di lingua tedesca ideologicamente orientati (il modello politico, detto più o meno esplicitamente, è stata per più di quarant' anni la DDR, la Germania comunista).
Lo stesso Reitani, per quanto di diversa matrice, dimostra di essere frutto di quell’egemonia, se è vero che non riesce a sottrarsi a luoghi comuni come quello che definisce la Riforma luterana come «rivoluzionaria», o a all’altro che vede nel prussianesimo e nel nazionalismo il germe del «male assoluto», ignorando la fondamentale rilettura storica affermatasi dagli anni ’80, secondo la quale il nazismo, almeno nella sua fase gestatoria, è stato un fenomeno rivoluzionario, molto più che di conservazione.
Direi che lo stesso continuare a ruotare intorno all’interpretazione del fenomeno nazionalsocialista, come si trattasse di una discriminante oggi per la costruzione dell'Europa, rappresenta un diversivo, se non un impedimento all’incontro con i tedeschi di oggi, che nulla hanno a che fare con quel tragico pezzo di storia.

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