sabato 18 ottobre 2014

Grandeur et décadence de César Birotteau: Pietro Citati e il denaro secondo Balzac


La vita secondo Balzac Una lozione per capelli e il denaro della FranciaStoria dell’olio di Birotteau, il commerciante che ipotecava il futuro 
Pietro Citati Sabato 18 Ottobre, 2014 CORRIERE DELLA SERA © RIPRODUZIONE RISERVATA


N el 1836, Honoré de Balzac aveva trentasette anni. Quando lo vide, Alphonse de Lamartine disse che «era grosso, spesso, quadrato, alla base e alle spalle; il collo, il petto, il corpo, le cosce, le membra possenti; la vastità di Mirabeau, ma nessuna pesantezza. Aveva un’anima così grande che essa portava tutto quanto leggermente, gaiamente, come un involucro agile. Le sue braccia corte gesticolavano con facilità; parlava come parla un oratore. Le sue mani grasse e larghe si esprimevano agitando tutto il suo pensiero». Un’amica della moglie, Sophie Koslowska, scriveva nello stesso tempo a suo padre: «Non può essere chiamato un bell’uomo, perché è piccolo, grasso, rotondo, tarchiato: ha delle spalle larghe, quadrate, una grossa testa, un naso come della gomma elastica, una bocca bellissima ma quasi senza denti. Ma c’è nei suoi occhi bruni, un fuoco, un’espressione così forte, che, senza volerlo, siete obbligato a dire che ci sono pochi uomini così belli. Ha una volontà e un coraggio di ferro. Congiunge alla grandezza e alla nobiltà l’innocenza del bambino. È pieno di illusioni e di buona fede». 
Appariva nei salotti di Parigi come un fulmine, parlando, folgorando, dominando: viaggiava volentieri, in Austria e in Italia, quando la tensione della scrittura gli impediva di chiudersi in casa; ma il suo vero luogo era lo studio, dove concepiva e scriveva i suoi romanzi. Lavorava moltissimo, come «una macchina a vapore»: ventiquattro ore di seguito, e poi un sonno di cinque ore: andava a letto alle sei di sera e si svegliava a mezzanotte: combatteva con la carta e i pensieri come un soldato sul campo di battaglia: restava tutta la notte sotto la luce di un paralume, davanti alla carta bianca, a volte senza trovare una parola, sentendo il rumore del fuoco e quello delle carrozze; ed era fiero di non macchiare mai d’inchiostro le maniche della sua vestaglia bianca. 
Spesso era malato. Dolori al fegato, infiammazioni agli occhi e alla gola, sofferenza di stomaco, rivoluzioni sanguigne e nervose, infiammazioni alle viscere. Qualche volta, perdeva il senso della verticalità, persino a letto, e capiva come Pascal fosse giunto a scorgere un abisso ai suoi lati. Un giorno, ebbe un colpo di sangue, sentì brusii nella testa, e cadde a terra mentre camminava nel parco. Non sappiamo se oltrepassasse le proprie forze, lavorando troppo; o se la malattia abitasse e covasse dentro il suo corpo fragile. Conosceva un solo, vero rimedio: il sonno: scendeva dentro gli abissi di sé stesso e della natura: dormiva per sedici o ventiquattro ore di seguito; e quel sonno profondissimo e tenebroso gli permetteva di rialzarsi e di tornare al tavolino per ore e ore, al fondo delle quali intravedeva un altro sonno sterminato. 

Aveva un senso ricchissimo dell’unità di tutte le cose: era il suo istinto primordiale. Nel Lys dans la Vallée , che finì di scrivere nei primi mesi del 1836, parlava dell’unione del sole e delle acque, dei fiori e delle anime, degli animali e dei vegetali, che si scioglievano in un’ondulazione luminosa. Nella Grandeur et décadence de César Birotteau , pubblicato nel dicembre 1837, tutto è denaro: la vitalità, la forza, l’energia, le sensazioni, i pensieri di una persona che nasce, cresce e muore, sono denaro che si diffonde nel mondo; quel denaro che, come dice un suo personaggio, non conosce nessuno: «Non ha orecchi, il denaro; non ha cuore, il denaro». 
Nella Grandeur et décadence de César Birotteau , il denaro ha un aspetto particolare: non la pura speculazione, che sarà riservata alla Maison Nucingen , ma il commercio. Come la Comédie humaine ci racconta, i commercianti dell’epoca di Luigi Filippo affondano le loro radici nella società della fine del diciottesimo secolo: hanno scalzato l’aristocrazia: sono onnipotenti: sono il cuore e il motore della vita; e solo gli artisti li scherniscono. Balzac non nasconde la loro avidità: il loro fisico desiderio di denaro, anzi di oro, che cola tra le loro mani come un fluido vitale. Ma questa avidità viene trasformata. Nel caso di César Birotteau, essa è una virtù: la probità del commerciante; e assume, specie verso la fine del romanzo, l’aspetto di una vera e propria religione, che ha i suoi santi e i suoi martiri. 
Quella di César Birotteau è un’ossessione: ci sono gesti, parole, che egli ripete sino alla fine del libro, come se fosse preda di una vera e propria mania. Solo che bisogna intendere mania nel senso in cui lo intendevano i greci: follia creativa, ispirazione, vocazione, genio. Egli inventa, fa progetti e poi li attua: ognuna delle sue scoperte ha l’ardire e la novità con cui l’alchimista scopre il lapis philosophorum o Newton le leggi dell’universo; non importa che ciascuna di esse abbia qualcosa di grottesco, perché in Balzac l’ispirazione (o il sacro) e il grottesco fanno uno. Birotteau ha già inventato la Double â pate des sultans e l’ Eau carminative : ora sta inventando un’essenza per impedire la calvizie e far crescere i capelli: l’ Huile comagène o l’ Huile céphalique o l’ Huile césarienne , che porta il suo nome, come la Gioconda porta il nome di Leonardo da Vinci. Ogni invenzione di Birotteau è infinitamente complessa, come è complessa ogni invenzione psicologica e narrativa di Balzac. Se la Comédie humaine riposa su un’intuizione scientifica della Natura, anche l’ Huile comagène o l’ Huile céphalique affondano le loro radici nella scienza del capello. César Birotteau studia la loro composizione; e si rivolge a uno dei più grandi sapienti di Francia, Vauquelin che ha scritto un saggio per l’Accademia delle scienze: «I capelli sono formati — egli scrive — da una quantità molto grande di muco, da una piccola quantità di olio bianco, molto olio nero-verdastro, ferro, qualche atomo di ossido di manganese, fosfato di calcio, una piccola quantità di carbonato di calcio, silicio e molto zolfo. Le differenti proporzioni di queste materie danno i differenti colori dei capelli». 
Questa è la prima fase dell’invenzione: Birotteau estrae dalle nocciole l’olio — l’olio quasi miracoloso — che impedisce la caduta dei capelli e li fa crescere folti. Quando possiede l’ Huile comagène , lo rinchiude in flaconi appositamente studiati: li espone nelle vetrine dei negozi e li affida a dei geniali commessi viaggiatori, uno dei quali è «l’illustre» Gaudissart. Qui comincia il regno della pubblicità, di cui Balzac esalta e schernisce i primi trionfi: gli affissi, gli annunci nelle vetrine e nei piccoli giornali; pubblicità che egli si rifiuta di chiamare «ciarlataneria». Gaudissart ha il dono del generale napoleonico, la potenza del magnetismo commerciale, l’occhio delicato e gioioso, il viso espressivo, la memoria infaticabile, lo sguardo abilissimo nel cogliere i gusti di ciascuno. 
César Birotteau ha un limite, che è lo stesso limite di Balzac: vive nel futuro, ipoteca il futuro. Mentre non ha ancora fabbricato l’ Huile comagène , immagina già di aver conquistato Parigi e la Francia, tutti i francesi e forse gli europei, con la sua essenza nutritiva e corroborante. Il linguaggio lo tradisce: quello che egli usa ogni giorno e nella pubblicità, non è semplice e concreto, ma pomposo, pretenzioso, pieno di espressioni tecniche e retoriche, di pesanti allusioni culturali, come quando ricorda Boileau e la querelle tra «antichi» e «moderni». Esso cede alla pesante autoesaltazione, che César Birotteau fa di sé stesso e delle sue imprese. 
Nella Comédie Humaine le persone e le cose del mondo conoscono un doppio movimento: la crescita, fino all’apogeo, e la caduta; lo slancio, il trionfo e la catastrofe. 
Ciò accade alle persone, alle città, alle nazioni, alle idee, alle istituzioni e ai commerci. Accade anche a César Birotteau, che crolla nel momento stesso in cui raggiunge l’apogeo. Dà un ballo costosissimo nella sua casa restaurata, dove, contro le sue abitudini e i consigli della moglie, invita troppe persone. E poi, uscendo dalla sua vocazione, si abbandona alla speculazione fondiaria, acquistando un terreno fabbricativo alla Madeleine. Più oltre sta soltanto il gioco in borsa, dove Birotteau non si perde: il luogo di Nucingen, il Napoleone della finanza. Giunge la catastrofe: il Fallimento, che assume in Balzac un’aura tragica, come il fato greco o la passione cristiana. 
Così César Birotteau diventa una reincarnazione di Cristo. «Figlio mio gli dice un sacerdote, i vostri sentimenti di rassegnazione alla volontà divina mi sono conosciuti da lungo tempo, ma si tratta di applicarli: abbiate sempre gli occhi sulla croce, non cessate di guardarla pensando alle umiliazioni di cui fu abbeverato il Salvatore degli uomini, quanto la sua passione fu crudele; così voi potrete sopportare le mortificazioni che Dio vi manda». 
Birotteau sale sulla croce del Fallimento. Ma, come Cristo risorge il terzo giorno, egli viene riabilitato per ordine del re, in cui crede, e risorge, mentre muore per un aneurisma. «”Ecco la morte del giusto” dice il sacerdote con una voce grave, mostrando César con uno di quei gesti divini che Rembrandt immagina nel suo quadro su Cristo che richiama Lazzaro alla vita».

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