domenica 12 ottobre 2014
Il cinema agli albori di fronte alla Prima guerra mondiale
Giuseppe Ghigi: Le ceneri del passato. Il cinema racconta la Grande guerra, Rubettino, Soveria Mannelli, pagg. 262, € 16,00
Risvolto
In cent'anni sono stati prodotti un migliaio di film sulla Prima guerra
mondiale che hanno contribuito a costruire il visibile dell'immane
tragedia. Pur in diverse modalità e funzioni, il cinema ha determinato
figure stabili, simbologie, cliché, diventati nel tempo parte
dell'immaginario bellico. Il volume li ripercorre mettendoli in
relazione all'arte, alla letteratura, alle storiografie, ai sistemi
politici, culturali, e ai valori del tempo in cui sono stati creati,
perché ogni film è figlio di una memoria, contribuisce a crearla, ed è
la "cenere" del presente e del passato.
Cinema & censura Occultare l'orrore
I
film di quegli anni non mostravano i corpi martoriati, bruciati dai
gas, disintegrati: ritraevano i soldati, le trincee, le battaglie in una
narrazione epica ed eroica
di Emilio Gentile Il Sole Domenica 12.10.14
Cento anni fa, dopo l'inizio della Grande Guerra, in tutte le potenze
coinvolte nel conflitto, il cinema «mise ovunque l'elmetto patriottico e
si adeguò alle esigenze della propaganda», come ha scritto il critico
cinematografico Giuseppe Ghigi, per esaltare la propria patria,
glorificare i propri soldati al fronte, incitare il proprio popolo a
sostenere lo sforzo bellico, e demonizzare il nemico. Anche in un Paese
neutrale, come gli Stati Uniti, fin dal 1915 ci furono registi che si
misero all'opera per promuovere l'intervento americano, come John Stuart
Blakthon, che nel film The Battle Cry of Peace, prodotto nel 1915,
rappresentava la distruzione dei grattacieli di New York da parte di una
potenza nemica, facilmente identificabile con la Germania. A esso si
contrappose nel 1916 il film pacifista Civilization di Raymond B. West,
dove per la prima volta apparve in cinematografia la figura di Cristo
che invocava alla pace un'umanità in preda alla follia della guerra.
L'anno dopo gli Stati Uniti entrarono in guerra, e le cineprese di
Hollywood divennero arma di combattimento, come lo erano da tre anni nel
vecchio continente.
La rivista inglese «Star» affermava nel 1916 che la cinematografia
testimoniava la realtà della guerra perché il cinema «non descrive,
rivela. Non rivela tutto, ma ciò che rivela è vera realtà». In realtà,
osserva Ghigi, il cinema durante il conflitto si preoccupò «di occultare
più che di rivelare: si vede solo ciò che il potere militare vuole». Il
cinema rappresentava i soldati, la trincea, il combattimento in una
narrazione epica ed eroica, dalla quale era ovviamente assente il
fragore terrificante dei bombardamenti, essendo il cinema muto: ma era
escluso anche l'orrore quotidiano dei corpi martoriati, mutilati,
bruciati dai gas o disintegrati e sparpagliati in pezzi sanguinanti. Il
cinema esaltava la potenza tecnologica delle armi moderne, ma occultava
la carneficina di massa che esse producevano; narrava storie patetiche
di singoli protagonisti, mentre l'individualità del soldato era
annullata nell'anonimato di una guerra di massa.
Non solo la censura ostacolava la rappresentazione cinematografica della
vera realtà. Era anche tecnicamente impossibile rappresentare col
cinema l'essenza della guerra – la battaglia – nel momento in cui
avveniva, perché troppo ingombranti erano le cineprese e troppo grande
il pericolo di morte per gli operatori. Inoltre, come osservò un
cameraman tedesco, era molto difficile «riprendere scene di battaglia
anche perché il momento dell'attacco è sconosciuto e tenuto segreto ai
cineoperatori». Di conseguenza, come scrisse nel 1919 il regista Piero
A. Gariazzo, si pensò di «fare coi soldati stessi delle manovre
guerresche, simili a quelle che dovrebbero essere la guerra, ma in
condizione favorevoli per la riproduzione». Così avvenne nel film The
Battle of the Somme, girato nel 1916 e proiettato in Inghilterra con
grande successo: la scena dei soldati inglesi che saltano fuori dalle
trincee per andare all'assalto fu girata con una messa in scena da parte
di soldati veri. Lo storico del cinema Laurent Véray, dopo aver
attentamente esaminato i cinegiornali della Grande Guerra, ha citato
solo un caso di ripresa di un combattimento dal vero, ma si tratta di un
breve filmato che «colpisce, in ogni caso, per l'incapacità di mostrare
realmente il combattimento».
Oltre alla censura e alle difficoltà tecniche, c'era un altro
impedimento alla rappresentazione cinematografica di quel che realmente
avveniva al fronte: «nel massimo numero dei casi» osservò il regista
Gariazzo «la guerra moderna non si vede», e pertanto «la riproduzione
cinematografica serve poco a riprodurre l'idea della guerra». Lo stesso
impedimento provarono i combattenti quando tentarono di raccontare la
loro esperienza nei diari, nelle lettere e nelle memorie. Nonostante
ciò, è accaduto che scene della Grande Guerra inventate dal cinema siano
state accreditate come immagini della vera realtà. Un fotogramma del
film di Léon Poirier, Verdun, visions d'Histoire, prodotto nel 1928, che
mostra un soldato francese colpito a morte durante un assalto, è stato
scambiato per una fotografia dal vero, e come tale appare tuttora
riprodotto in opere sulla Grande Guerra. Si tratta, comunque, di uno
sbaglio veniale se consideriamo che, nel corso di cento anni, nella
variazione dei temi e delle interpretazioni della Grande Guerra, la
cinematografia ha accompagnato il variare della storiografia, muovendo
dal nazionalismo al pacifismo, dall'apologia epica al realismo spietato,
dal romanticismo al cinismo, per approdare in tempi più recenti, come
osserva Ghigi nella conclusione del suo saggio, alla disincantata
rappresentazione di «un'immane tragedia che rimane nonostante tutto
invisibile», perpetuandosi nella memoria collettiva attraverso il
simbolo del Soldato Senza Nome, che realisticamente evoca la Prima
grande guerra, dove l'individuo fu immerso e annullato nella massa
anonima delle trincee.
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