domenica 19 ottobre 2014
Il gesuita Acosta e la "disputa del Nuovo Mondo"
Gettò le basi dell'antropologia
Protagonista
della «disputa del Nuovo Mondo», il padre gesuita unì l'intento
missionario con quello conoscitivo e delineò la prima mappa del genere
umano
di Guido Abbattista Il Sole Domenica 19.10.14
La «scoperta» dell'America evocò
nuove dimensioni del tempo, della natura, della vita umana. Gli
"incontri atlantici" portarono alla scoperta dell'uomo selvaggio o
"naturale" e di forme sconosciute di organizzazione sociale, come quelle
dei Tainos, dei Caribe, degli Aztechi e degli Incas. Di fronte a
popolazioni con modi di vita e culture fino ad allora completamente
ignoti ci si interrogò fuori dagli schemi creazionisti e monogenisti
sulle origini e le migrazioni dei popoli, i tempi della storia, le
varietà, o "razze" del genere umano. Iniziò così un progetto tripartito,
uno dei più grandiosi della storia dell'uomo occidentale: materiale,
per la conquista e la colonizzazione, intellettuale, per
l'appropriazione cognitiva, religioso, per l'evangelizzazione. Dominare i
popoli, impadronirsi delle loro ricchezze, ma anche delle loro anime:
questa la sostanza del processo che allora spinse la storia verso la
mondializzazione, coinvolgendo non solo le Americhe, ma anche l'Oriente,
sia pure in forme e profondità di effetti molto diversi.
Secondo lo
storico scozzese William Robertson, nel giro di pochi decenni, tra fine
'400 e primo '500, accadde che «la grande mappa del genere umano si
disvelò d'un colpo di fronte ai nostri occhi; non ci fu alcuna
gradazione di barbarie, alcuno stadio di incivilimento che non si
trovasse nel medesimo istante sotto il nostro sguardo». All'ampiezza e
all'intensità dell'incontro con il "diverso" non poterono che
corrispondere quelle controverse interpretazioni che Antonello Gerbi
definì «la disputa del Nuovo Mondo». Si capì inoltre che la cultura
europea aveva – e tuttora ha – la capacità di interrogarsi sul
significato, sulla legittimità, sulle ragioni profonde del proprio
agire, e di mettere in discussione i più radicati convincimenti
religiosi e filosofici. Accanto alla conquista delle Americhe si
sviluppò la discussione sui suoi fondamenti giuridici; accanto alla
sottomissione e allo sterminio degli indios si svolse una disputa sulla
loro sorte fisica e morale; della riduzione in schiavitù dei neri
d'Africa si cercò la legittimazione fino all'epoca dei diritti dell'uomo
e dell'abolizionismo; accanto alla colonizzazione materiale e culturale
e all'inserimento del Nuovo Mondo nei circuiti di un commercio
proto-globale ci si interrogò sulle diversità di modi con cui gli esseri
umani convivono, si procurano la sussistenza, si riproducono, esprimono
la propria sensibilità religiosa: si aprì quella stagione culturale che
con Montaigne iniziò a relativizzare le forme culturali, il concetto di
"barbarie", i riti e i costumi dei "cannibali", sfociando, alla fine
del secolo XVII, nella «crisi della coscienza europea». Nacquero
l'economia e la scienza moderne e, insieme, nacque una scienza dell'uomo
tendenzialmente desacralizzata anche se non certo de-ideologizzata:
l'antropologia. E la tradizione fu scossa dal metodo scientifico e dalla
comparazione.
Tra i frutti dell'indagine europea sui nuovi mondi
spiccano scritti come De natura orbis novi (col sottotitolo «et de
promulgatione Evangelii apud barbaros sive de procuranda indorum
salute») e Historia natural y moral de las Indias del gesuita spagnolo
José de Acosta (1539-1600). Apparsi nel 1588 e nel 1590 e subito assurti
a fama europea, essi rappresentano il prodotto intellettuale più alto
di quel primo secolo di "invasione" delle terre americane e
"distruzione" dei loro abitanti, ma anche di appassionata riflessione
sui popoli americani e sui duri fatti del colonialismo. Acosta studiò
gli indios avendo a cuore soprattutto i metodi di evangelizzazione. Ma
suo merito maggiore fu di aver oltrepassato gli orizzonti missionari. Né
la sua fu una semplice descrizione di "cosas nuevas y estranas", di
aspetti geografici e ambientali, di usi e costumi, organizzazione
sociale e politica delle popolazioni indie. Acosta scoprì e formalizzò
il profilo di quelle società in termini sconosciuti ad Aristotele, a
seconda della loro condizione nomadica o stanziale e della presenza o
meno di conoscenze, scrittura, leggi e regole politiche. A lui si deve
l'analisi sistematica, mediante lo studio integrato dei fenomeni
culturali, di società ordinate ma senza Stato e di popoli né selvaggi né
barbari né pienamente inciviliti. E al gesuita si devono i primi
stimoli a non appiattire sulla mera superstizione idolatra comportamenti
certo demoniaci, ma cui sottostava autenticità di sentimento religioso:
un'intuizione che dischiuse la strada "storia naturale" delle religioni
e al disancoramento, che l'Illuminismo avrebbe portato a effetto, della
religiosità dalle Rivelazioni, riconducendola entro il dominio di
quella scienza dell'uomo che presto avrebbe preso anche il nome di
"antropologia".
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