«L’“italianista” è, in qualsiasi punto della carta geografica, storica, sociale e istituzionale esso si collochi, colui che garantisce al massimo grado la persistenza dei valori umanistici, non ideologicamente, e perciò vanamente, rivendicati, ma puntigliosamente ritrovati, riga per riga, capoverso per capoverso, canto per canto, autore per autore, nel cumulo di eredità che il passato, fortunatamente, ancora ci consegna» (dalla Premessa). L’esperienza di una vita di ricerca e di critica militante in un libro che si muove fra metodologia, storia e autobiografia, interrogandosi sulla natura e la funzione civile degli studi letterari.
venerdì 17 ottobre 2014
Il prof. Golpe Democratico ci insegna l'umanesimo civile in letteratura
E a chi lo contesta manda a casa i carabinieri [SGA].
Risvolto
«L’“italianista” è, in qualsiasi punto della carta geografica, storica, sociale e istituzionale esso si collochi, colui che garantisce al massimo grado la persistenza dei valori umanistici, non ideologicamente, e perciò vanamente, rivendicati, ma puntigliosamente ritrovati, riga per riga, capoverso per capoverso, canto per canto, autore per autore, nel cumulo di eredità che il passato, fortunatamente, ancora ci consegna» (dalla Premessa). L’esperienza di una vita di ricerca e di critica militante in un libro che si muove fra metodologia, storia e autobiografia, interrogandosi sulla natura e la funzione civile degli studi letterari.
«L’“italianista” è, in qualsiasi punto della carta geografica, storica, sociale e istituzionale esso si collochi, colui che garantisce al massimo grado la persistenza dei valori umanistici, non ideologicamente, e perciò vanamente, rivendicati, ma puntigliosamente ritrovati, riga per riga, capoverso per capoverso, canto per canto, autore per autore, nel cumulo di eredità che il passato, fortunatamente, ancora ci consegna» (dalla Premessa). L’esperienza di una vita di ricerca e di critica militante in un libro che si muove fra metodologia, storia e autobiografia, interrogandosi sulla natura e la funzione civile degli studi letterari.
Eretici, classici e popolo L’esperienza di una vita nel nuovo saggio di Alberto Asor Rosa
Il privilegio di “un profondo, sviscerato, ancestrale amore per la parola scritta” È di Contini “la chiave interpretativa più intelligente e matura del nostro Novecento”
di Paolo Mauri Repubblica 17.10.14
SI PUÒ cominciare a leggere un libro dalla fine? Qualche volta sì,
qualche volta è addirittura necessario. Per esempio il volume di Alberto
Asor Rosa che si intitola Letteratura italiana ( Carocci editore) e che
ha come sottotitolo La storia, i classici, l’identità nazionale è bene
cominciare a leggerlo dal fondo e precisamente dal capitolo 10 che è
intitolato «Cinquantadue». Si tratta del discorso pronunciato dal
professor Asor Rosa il 5 giugno del 2003 nell’Aula prima della facoltà
di Lettere della Sapienza all’atto di lasciare l’insegnamento. Dal
momento del suo primo ingresso in quell’edificio erano appunto trascorsi
(ecco spiegato il titolo) cinquantadue anni.
Mezzo secolo di intensa frequentazione della Letteratura e di quella
italiana in particolare: prima da studente (ah, quelle soporifere
lezioni del grande Natalino Sapegno!) poi da assistente e infine da
docente vero e proprio. Una vita sostenuta da un privilegio: «Un
profondo, sviscerato, forse ancestrale amore per la “parola scritta”»
che è diventato poi amore per i classici, per i grandi scrittori, per la
poesia.
Senza questa premessa il resto del libro si capirebbe poco: perché
bisogna amare la letteratura per discutere di storia letteraria, di
critica, di classici e canone dei medesimi. Cosa che Asor Rosa fa,
recuperando qui in bell’ordine saggi già sparsamente pubblicati e anche,
utile per fare il punto su questioni complesse, una conversazione con
Corrado Bologna.
Qualche anno fa, per lanciare il romanzo di uno scrittore americano,
l’editore pensò di chiedere dei pareri ad alcuni testimonial (oggi si
usa molto) e uno di loro disse: «È un classico». La cosa mi fece
sorridere per il semplice fatto che classici non si nasce, ma si diventa
e difatti la definizione di classico forse più acuta la diede Leopardi,
che Asor Rosa cita diverse volte, quando scrive: «È un curioso
andamento degli studi umani, che i geni più sublimi liberi e irregolari,
quando hanno acquisito fama stabile e universale, diventino “classici”,
cioè i loro scritti entrino nel numero dei libri elementari, e si
mettano in mano ai fanciulli, come i trattati più semplici e regolari
delle cognizioni “esatte”».
Dunque un Leopardi giovanissimo aveva capito cosa occorre perché
un’opera diventi un classico. Comunque, scrive Asor Rosa rispondendo a
Corrado Bologna, «uno non sa mai “prima” se una qualsiasi operazione
letteraria è destinata a diventare un “classico”… questo si sa sempre
dopo». Quel “dopo” comporta il vissuto di un’opera, spesso
particolarmente ricco se si tratta di una “grande opera”. La Commedia
dantesca fece fatica a diventare un classico, proprio perché aveva tali
caratteri di novità che non erano facili da recepire. Carlo Dionisotti
in una sua memorabile conferenza sulla alterna fortuna di Dante prese in
considerazione anche le celebrazioni dantesche che scandivano i
centenari della nascita e della morte. Non è un fatto secondario come
una nazione vive la propria letteratura e basterebbe pensare alla
fortuna di Manzoni nelle scuole.
Ma la letteratura è inevitabilmente un corpo mobile e le storie
letterarie obbediscono a esigenze diverse mutando anche radicalmente nel
tempo. Lo sa bene Asor Rosa che di storie letterarie ne ha scritte in
proprio (l’ultima è la Storia europea della letteratura italiana ) e ne
ha organizzato di collettive, come la Letteratura italiana Einaudi. Il
profano potrebbe chiedersi: ma non sarebbe possibile scrivere una storia
scientifica della letteratura risolvendo una volta per tutte la
questione? La risposta è ovviamente: no. La storia della letteratura
pensata da De Sanctis per una nazione che stava guadagnandosi una nuova
identità non poteva assomigliare alla grande impresa di Tiraboschi che
lo aveva tanti decenni prima preceduto, obbedendo alla necessità di
superare la semplice erudizione, che pure possedeva in modo sterminato, e
di raccontare l’esperienza culturale (e non solo letteraria) a partire
da tempi antichissimi (gli etruschi!) e dunque non muovendo dalla grande
novità del volgare con cui si inaugura la nostra letteratura
propriamente detta.
E qui cade, secondo me, una domanda cruciale: è più importante
un’erudizione immensa o non piuttosto un “taglio” che illumini in
maniera nuova il complesso castello delle grandi opere che di fatto poi
fanno la storia letteraria? Senza nulla togliere ai sapienti e ai
ricercatori che accumulano i dati concreti, è abbastanza intuitivo che
le svolte significative vengano, diciamo così, dalla genialità dello
storico e del critico che è in lui o accanto a lui. Asor Rosa indica ad
un certo punto in Contini colui che «propone la chiave interpretativa
più intelligente e matura della letteratura italiana del Novecento» in
un saggio apparentemente minore: una Introduzione allo studio della
letteratura italiana contemporanea scritto nel ‘44. Contini vede nella
letteratura italiana intorno al 1925 farsi largo i nomi di Proust e di
Joyce, di Katherine Mansfield e di Virginia Woolf. Sulla scorta di
questi autori sarà la memoria ad acquisire una sorta di primato anche in
Italia.
Contini, inoltre, vede nel magistero crociano poco incline alla storia
letteraria il motivo di un certo ritardo nel mettere a fuoco quanto nel
Novecento era fin lì accaduto. Dunque per costruire una storia
letteraria bisogna che ci sia un bravo architetto, magari un urbanista,
che disegni come si struttura la città delle lettere, che è luogo reale,
ma anche sostanzialmente immaginario. Tra le molte suggestioni presenti
in questo libro segnalo la lettura che Asor Rosa fa delle varie
antologie di poesia che si sono succedute nel Novecento, mettendo a
confronto il lavoro di Sanguineti (nato a ridosso dell’esperienza della
neoavanguardia) con quello più accademico di Pier Vincenzo Mengaldo. Per
capire quanto di valutazione personale entri in gioco si può far
riferimento al caso Campana. Campana (scomunicato da Contini) viene
glorificato da Sanguineti che lo pone alle porte del nuovo secolo,
mentre Mengaldo lo considera un poeta tardo-ottocentesco. Un canone
letterario (Asor Rosa fa spesso riferimento, concordando e discordando,
ad Harold Bloom) non è mai scontato. Oggi siamo abituati a veder
considerata la letteratura come merce e questo va un po’ a danno della
critica e della civiltà letteraria che ci portiamo dietro da secoli. Il
premio Nobel Patrick Modiano (un Nobel molto ben assegnato) non vende
molto in Italia. Forse 4.000 copie a titolo in media. Ma è un vero
scrittore. Quando era giovane lavorava per Gallimard come lettore di
manoscritti, a un certo punto decise di lasciare l’incarico che pure gli
procurava qualche soldo. All’editore spiegò: quella roba mi guastava lo
stile.
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