mercoledì 22 ottobre 2014

Il quinto volume delle "Leggende degli ebrei" di Ginzberg

Louis Ginzberg: 
Leggende degli ebrei. 
V. Verso la Terra Promessa, Adelphi

Risvolto
In questa quinta tappa del viaggio di Louis Ginzberg attraverso la tradizione ebraica, in margine alla Bibbia, prosegue e si conclude l'epopea di Mosè, tormentato e persino ritroso intermediario fra cielo e terra, ma anche audace condottiero in quel deserto fitto di insidie in cui i figli di Israele errano (nel duplice senso del termine) per quaranta, lunghi anni. Sono pagine ricche di eventi, in vertiginosa oscillazione tra vette e bassure: la montagna in cima alla quale il profeta parla con Dio – e da Lui riceve la Legge – e il fondovalle dove gli ebrei attendono, divisi tra fervorosa attesa e cupo sconforto; la costruzione del Tabernacolo e del­l'Arca Santa, suggello del patto tra Dio e il suo popolo, e la trasgressione in cui que­st'ultimo puntualmente cade, come nell'em­blematico episodio dell'ado­razione del Vitello d'Oro. Una dinamica fra meriti e colpe, castighi e retribuzioni scandita da un susseguirsi di immagini nitide, ora struggenti ora crudeli, fino al culmine lacerante della morte del protagonista. Via via privato dal Signore dell'ispira­zione profetica e incapace ormai di comprendere le parole della Legge, Mosè cerca almeno di stornare da sé la tremenda condanna di non poter calpestare la Terra Promessa. Invano: la potrà scorgere soltanto di lontano, dalla cima del monte in cui Dio lo porta a morire, ma in quell'istante essa sarà tutta e solo per il suo sguardo.
Tutto quello che la Bibbia non vi ha raccontatoEsce il quinto volume delle Leggende degli ebrei, l’opera in cui il grande studioso ha raccolto il magma delle storie contenute “fra le righe” del testo sacroElena Loewenthal Repubblica 22 ottobre 2010
Che schianto inaudito, dev’essere stato: le due tavole incise che si levano ancora un istante verso il cielo, là da dove sono discese, e poi precipitano al suolo per un accesso d’ira titanica, alla vista del Vitello d’oro, che solo Iddio riesce a placare, convincendo infine Mosè a tornare lassù e riceverne delle altre di rimpiazzo.

Quella delle prime tavole della Legge, perdute per sempre per collera dell’uomo che le aveva appena ricevute, è una storia terribile e struggente a un tempo. È soprattutto il segno di un mistero che non risolveremo mai: che cosa c’era inciso? Quale parola divina vi stava scritta? In fondo, nella sua instancabile indagine sul testo della Torah, tutta la tradizione ebraica ruota intorno a questo mistero. Intorno a ciò che sta scritto, ma anche e soprattutto a quello che non c’è: i maestri dicono infatti che del libro sacro bisogna studiare capitoli e versetti, parole e lettere, pezzi di lettere. Ma l’attenzione maggiore va dedicata agli spazi bianchi fra le righe, a ciò che la Bibbia contiene nella parola e nel silenzio, perché in essa «c’è tutto: voltala e rivoltala!», così è detto. Questo imperativo di ricerca significa dipanare il testo sacro per estrarne tutto ciò che vi è implicito, in una infinita rifrazione di parole. E così, in millenni di studio e narrazione, lo scarno racconto biblico si arricchisce di particolari, immagini, suggestioni. 
Ma tutto era rimasto un magma confuso nel mare magnum della tradizione testuale ebraica sinché nel 1909 non apparve in sette volumi The Legends of the Jews, lo strabiliante opus magnum di Louis Ginzberg, intellettuale nato a Vilna nel 1873 e morto a New York nel 1953, esponente del giudaismo «conservative», cioè moderatamente riformato rispetto all’ortodossia e vocato allo studio della tradizione con metodologie moderne. Le leggende degli ebrei, di cui anni fa Adelphi ha avviato la traduzione italiana e di cui oggi vede la luce il penultimo volume, sono un’opera straordinaria per due aspetti. Louis Ginzberg ha saputo dare unità narrativa a una mole impensabile di materiali sparsi, e così il racconto si fa sempre più avvincente e incalzante di pagina in pagina. Forse più che mai in questo volume, dove si narrano l’erranza nel deserto e la rivelazione al Sinai, con la doppia consegna delle Tavole della Legge, come narrato nel brano anticipato in questa pagina.

Ma quella di Ginzberg è stata anche e fondamentalmente un’impresa filologica, dove il corpus delle note con la puntuale indicazione delle fonti e delle versioni alternative al racconto presentato nel testo costituisce un’opera a sé stante, oltre che un immenso apparato critico. E malgrado sia passato più di un secolo, questa documentazione ha ancora tutta la sua rilevanza. Certo, per l’edizione italiana si è provveduto a un aggiornamento della bibliografia e dell’apparato di fonti - anche con le indicazioni di ormai insostituibili riferimenti online. Ma la revisione attuale non è altro che la conferma della straordinarietà dell’opera nella sua versione originale, concepita per un pubblico di studiosi ma soprattutto di lettori avidi di storie. Che, per dirla biblicamente, troveranno qui «il pane dei pani» per i loro denti.
Un giacimento di brillanti per ricompensare Mosè 


Louis Ginzberg
Se le prime tavole erano state consegnate sul monte Sinai con una cerimonia fastosa, le seconde vennero rivelate discretamente: «Nulla è più desiderabile di una pacata umiltà» pensò l’Eterno. «I grandi festeggiamenti con cui sono state accolte le prime tavole hanno prodotto solo effetti negativi, tanto che alla fine sono andate in frantumi».

Le seconde tavole erano diverse dalle prime, anche perché erano opera dell’uomo e non più del Cielo. Dio fece con Israele un po’ come quel sovrano che prese moglie stilando con le proprie mani il contratto nuziale. Poi un giorno, scorgendo la moglie in atteggiamento ambiguo con uno schiavo, andò su tutte le furie e la cacciò via. Allora colui che gliel’aveva data in sposa si presentò davanti al re e gli disse: «Sire, non ricordate da dove l’avete presa, la vostra sposa? È cresciuta in mezzo agli schiavi, e per questo ne cerca la compagnia». Allora il re si placò e diede quest’ordine: «Prendi carta e penna e prepara un nuovo contratto nuziale, io firmerò». Lo stesso fece il Signore con i figli d’Israele, dopo che Mosè ebbe giustificato in questo modo il culto del Vitello d’Oro: «Sovrano del mondo, non ricordi che hai preso questo popolo in mezzo a una terra di idolatri!». Allora il Signore replicò: «Tu vorresti che Io li perdonassi. Ebbene, lo farò. Pertanto prendimi delle tavole su cui possa scrivere quanto era contenuto sulle prime. Quanto a te, Mosè, a ricompensa della tua disponibilità a sacrificare la tua vita in questo mondo, in quello a venire Io ti manderò insieme al profeta Elia ad annunciare la redenzione ai figli d’Israele».
Mosè ricavò le due tavole da un giacimento di brillanti indicatogli dal Signore e le schegge che caddero durante il lavoro di intaglio lo resero ricco, cosicché ora era in possesso di tutti i requisiti del profeta: abbondanza, forza, umiltà e sapienza. A proposito di quest’ultima, va detto che il Signore gli aveva dato accesso a tutte e cinquanta le porte della sapienza, tranne una.
Come le preziose schegge, anche la Torah incisa su quelle tavole era inizialmente destinata soltanto a Mosè e alla sua discendenza, ma egli fu così generoso che la condivise con tutti i figli d’Israele. La ricchezza che Mosè si procurò con l’incisione della Torah fu anche una ricompensa per il fatto che alla vigilia dell’esodo, mentre il popolo era indaffarato ad accaparrarsi i tesori degli egiziani, egli si era prodigato per recuperare le spoglie di Giuseppe. Dio disse infatti: «Mosè merita di avere le schegge ricavate dalle tavole. Al momento dell’esodo i figli d’Israele invece di dedicarsi a opere buone fecero man bassa degli oggetti più preziosi degli egiziani. E Mosè che si prese cura delle ossa di Giuseppe dovrebbe invece restare povero? No, lo renderò ricco con queste schegge».

Nessun commento: