Si presentano qui le quattro dissertazioni latine di Immanuel Kant: "De igne" (1755), "Nova dilucidatio" (1755), "Monadologia physica" (1756) e "De mundi sensibilis atque intelligibilis forma et principiis" (1770). Si tratta di quattro tesi accademiche che segnano le tappe fondamentali della carriera universitaria di Kant a Königsberg. L'interesse filosofico di questi scritti, largamente riconosciuto dagli studiosi, emerge dall'ampio raggio di motivi che percorrono trasversalmente tutto il pensiero precritico e saranno centrali anche nella fase critica: la riflessione sulla scienza, i temi metafisici, la costante preoccupazione per il problema del metodo. Fondamentale è anche il loro posto nella storia del latino moderno, in un momento storico caratterizzato dal cruciale passaggio, nella filosofia tedesca, dalla lingua dotta al volgare. Il lessico latino delle quattro dissertazioni costituisce infatti una base testuale imprescindibile per uno studio diacronico della formazione dell'apparato terminologico e concettuale della filosofia kantiana. Nell'edizione si dà altresì notizia della riscoperta, da parte del curatore, di una delle due tirature dell'edizione originale della "Dissertatio", ritenuta perduta da tutti gli editori moderni successivamente all'edizione dell'Akademie di Erich Adickes.
domenica 12 ottobre 2014
Immanuel Kant: Dissertazioni latine, testo latino a fronte, a cura di Igor Agostini, annotazione critica di Gualtiero Lorini, Bompiani, Milano, pagg. 556, € 30,00.
Risvolto
Si presentano qui le quattro dissertazioni latine di Immanuel Kant: "De igne" (1755), "Nova dilucidatio" (1755), "Monadologia physica" (1756) e "De mundi sensibilis atque intelligibilis forma et principiis" (1770). Si tratta di quattro tesi accademiche che segnano le tappe fondamentali della carriera universitaria di Kant a Königsberg. L'interesse filosofico di questi scritti, largamente riconosciuto dagli studiosi, emerge dall'ampio raggio di motivi che percorrono trasversalmente tutto il pensiero precritico e saranno centrali anche nella fase critica: la riflessione sulla scienza, i temi metafisici, la costante preoccupazione per il problema del metodo. Fondamentale è anche il loro posto nella storia del latino moderno, in un momento storico caratterizzato dal cruciale passaggio, nella filosofia tedesca, dalla lingua dotta al volgare. Il lessico latino delle quattro dissertazioni costituisce infatti una base testuale imprescindibile per uno studio diacronico della formazione dell'apparato terminologico e concettuale della filosofia kantiana. Nell'edizione si dà altresì notizia della riscoperta, da parte del curatore, di una delle due tirature dell'edizione originale della "Dissertatio", ritenuta perduta da tutti gli editori moderni successivamente all'edizione dell'Akademie di Erich Adickes.
Si presentano qui le quattro dissertazioni latine di Immanuel Kant: "De igne" (1755), "Nova dilucidatio" (1755), "Monadologia physica" (1756) e "De mundi sensibilis atque intelligibilis forma et principiis" (1770). Si tratta di quattro tesi accademiche che segnano le tappe fondamentali della carriera universitaria di Kant a Königsberg. L'interesse filosofico di questi scritti, largamente riconosciuto dagli studiosi, emerge dall'ampio raggio di motivi che percorrono trasversalmente tutto il pensiero precritico e saranno centrali anche nella fase critica: la riflessione sulla scienza, i temi metafisici, la costante preoccupazione per il problema del metodo. Fondamentale è anche il loro posto nella storia del latino moderno, in un momento storico caratterizzato dal cruciale passaggio, nella filosofia tedesca, dalla lingua dotta al volgare. Il lessico latino delle quattro dissertazioni costituisce infatti una base testuale imprescindibile per uno studio diacronico della formazione dell'apparato terminologico e concettuale della filosofia kantiana. Nell'edizione si dà altresì notizia della riscoperta, da parte del curatore, di una delle due tirature dell'edizione originale della "Dissertatio", ritenuta perduta da tutti gli editori moderni successivamente all'edizione dell'Akademie di Erich Adickes.
Immanuel kant (1724-1804) Precondizioni per capirlo
Una introduzione di Renato Pettoello e la traduzione delle dissertazioni in latino rendono più chiara la genesi delle sue idee
di Maria Bettetini Il Sole Domenica 12.10.14
«Il desiderio di vedermi abilitato in una di queste discipline
filosofiche mi dà l'occasione di supplicare, nel modo più umile
possibile, Vostra Maestà, affinché voglia accordarmi il posto di
Professore Straordinario di Logica e Metafisica lasciato vacante presso
la nostra università». Il postulante non venne ascoltato, e non ebbe la
cattedra. D'altra parte, Immanuel Kant aveva solo ventidue anni, uno di
insegnamento, nessuna esperienza all'estero e otto pubblicazioni, di cui
tre dedicate alle origini dei terremoti, tema poco filosofico. Non fu
dunque la durezza di Federico II di Prussia a respingere la richiesta di
una cattedra, nemmeno oggi il giovane Kant sarebbe stato abilitato dai
concorsi nazionali.
Divenne professore ordinario nella sua città (dopo aver rifiutato
offerte da altre quattro) a quarantasei anni, con una ventina di
pubblicazioni, quando poté lasciare il posto di sottobibliotecario che
gli aveva nel frattempo consentito di sopravvivere. Anche in questo
caso, nessun contatto con colleghi al di fuori del neonato Impero di
Prussia (come avrebbero richiesto i concorsi odierni), Kant parlava
tedesco, scriveva in tedesco e latino, secondo il costume accademico. In
latino i testi accademici, in tedesco le opere per il pubblico, una
scelta che diede un forte impulso all'uso della lingua volgare nei libri
di scienza e filosofia. A proposito di libri: Kant non era benestante e
conosceva i suoi diritti, scrisse dunque pagine durissime contro gli
editori che ristampavano i suoi libri senza consultarlo e soprattutto
senza dargli il corrispettivo dei diritti d'autore.
Si comprende meglio perché nel discutere la prova a priori
dell'esistenza di Dio sottolineasse la differenza tra cento talleri
pensati e cento talleri esistenti. Spesso Kant ci è stato presentato
come un misantropo pignolo e avaro: usciva e rientrava a ore fisse, non
si è mai allontanato dalla città natale Köningsberg (oggi Kaliningrad,
Russia), non faceva vita mondana. Gli rende giustizia una recente
introduzione al suo pensiero scritta da Renato Pettoello, che racconta
di un uomo ben deciso a non disperdersi e a non buttare via il tempo,
perché teso al fine di completare il suo lavoro filosofico, una missione
nata dalla "grande luce" che lo invase nel 1769. In quell'anno,
comprese che non si doveva avere la pretesa di conoscere il mondo, ma di
definire quali siano la struttura e i limiti del nostro conoscere. Al
liceo mi sarebbe piaciuto avere tra le mani il libretto di Pettoello,
che con semplicità, segno di padronanza, conduce anche i non esperti a
un incontro sereno con il filosofo che capovolse la filosofia (e a volte
anche i voti degli studenti liceali). In particolare, Pettoello
sottolinea come la apparente poca coerenza tra gli scritti kantiani sia
in verità frutto di un atteggiamento di onesta ricerca: «egli cercava
con mente aperta, senza dogmatismi, la soluzione dei problemi che gli si
presentavano», «senza cristallizzarsi sulle proprie posizioni, che era
sempre pronto a rimettere in discussione». Alcune prese di posizione
mirano alla distruzione di stereotipi da manuale, per esempio la
definizione della Critica della ragion pura come «teoria
dell'esperienza, una teoria della costituzione oggettiva del mondo,
oltre che un grande trattato sul metodo».
A dispetto di quanto si continua a ripetere, «la filosofia kantiana,
tutta la filosofia kantiana, non è soggettivistica, non è psicologistica
e non è dualistica». Come spesso accade, un filosofo pensa e scrive,
altri poi interpretano e stravolgono. L'invito è quindi ad affrontare,
con l'appoggio dei tanti ausili ormai disponibili, la lettura delle
opere kantiane. Per chi avesse già dimestichezza con le opere in
volgare, tutte con plurime e spesso ottime traduzioni in italiano, è
disponibile ora una nuova traduzione di quattro opere latine, quattro
dissertazioni presentate per altrettanti "concorsi" universitari. Le
prime, Sul fuoco e Nuova delucidazione dei primi principi della
conoscenza, furono discusse per diventare lettore (un po' il nostro
"ricercatore") nel 1855. La Monadologia fisica fu oggetto di una
disputazione pubblica prima dell'inizio dell'insegnamento, sempre
all'università di Köningsberg, mentre La forma e i principi del mondo
sensibile e intelligibile è il titolo della dissertazione che nel 1770
gli permise di diventare professore ordinario di Logica e Metafisica. Il
curatore delle nuove traduzioni, Igor Agostini, nella dotta
introduzione sottolinea il valore storiografico di questi testi: non
solo per la ricostruzione della carriera accademica e della vita
scientifica di Kant, ma anche e soprattutto per la corretta
interpretazione del suo tedesco. Il latino si rivela «essenziale per
colmare le lacune del tedesco».
Nelle quattro dissertazioni sarebbe operativo un lessico che percorre
trasversalmente l'intero corpus kantiano, studiarle significa quindi
comprendere meglio e ricostruire l'evoluzione del pensiero del filosofo
prussiano. D'altra parte è Kant stesso che nella prima Critica inserisce
tra parentesi, dopo il termine tedesco, il termine latino
corrispondente. In particolare, quando al termine del primo libro della
Dialettica trascendentale sottolinea la necessità di «adottare il
termine idea nel suo significato originario», il ricorso al latino gli è
utile per classificare le diverse specie di rappresentazioni in
un'ottica platonica. Così rappresentazione è Vorstellung e
repraesentatio, la sensazione è Empfindung e sensatio, il concetto è
Begriff e conceptus e così via. Il latino di Kant, spesso e
insensatamente criticato (è chiaro che un prussiano nato nel 1724 non
poteva avere la prosa di Cicerone né la levità di Virgilio), risulta
invece l'anello della catena che stringe fortemente la "rivoluzione
copernicana" di Kant con il lavoro filosofico dei secoli precedenti.
Superando con disprezzo le metafisiche a lui vicine nel tempo, attinse
volentieri al lessico e ai contenuti di Platone e Aristotele. Tutto
questo quando poté dedicarsi serenamente agli studi, con la
tranquillità, anche economica, del cattedratico.
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