giovedì 30 ottobre 2014

Le trasformazioni della democrazia moderna secondo Gianfranco Pasquino

Copertina Partiti, istituzioni, democrazieGianfranco Pasquino: Partiti, istituzioni, democrazie, il Mulino

Risvolto
Davvero dovremmo riformare un bicameralismo che qualcuno, impropriamente, si ostina a definire perfetto? Spetta al parlamento oppure al governo e alla sua maggioranza, fare le leggi? Chi ha detto che i partiti non controllano più la politica e sono in via di sparizione? Le primarie sono uno strumento di partecipazione democratica oppure un pasticcio manipolato da dirigenti di partito e gruppi di interesse? Esistono democrazie parlamentari nelle quali il capo del governo viene eletto dai cittadini e non può essere sostituito senza nuove elezioni? Nelle quali fa il bello e il cattivo tempo, nomina e sostituisce i ministri, scioglie a piacere il parlamento? Le leggi elettorali sono solo meccanismi per tradurre i voti in seggi oppure lo strumento essenziale con cui gli elettori scelgono i loro candidati e poi li premiano o li puniscono? Le approfondite analisi comparate qui proposte forniscono una risposta articolata a tali interrogativi, esaltando per questa via il contributo fondamentale che la scienza politica può dare ai processi di riforma istituzionale.

I consiglieri del piccolo Principe 
Saggi. «Partiti, istituzioni, democrazie», una raccolta di scritti di Gianfranco Pasquino per il Mulino. Il sistema politico analizzato alla luce dell’implosione delle organizzazioni di massa. L’attesa riforma istituzionale deve fare i conti con partiti fondati solo su leader carismatici

Francesco Antonelli, 30.10.2014 
Il libro di Gian­franco Pasquino Par­titi, isti­tu­zioni, demo­cra­zie (il mulino, pp. 456, euro 32) con­tiene una serie di saggi scritti dall’autore nel corso degli anni e sele­zio­nati in que­sta rac­colta con due scopi stret­ta­mente legati tra loro. Il primo è offrire ai let­tori un’approfondita ana­lisi poli­to­lo­gica dei temi di mag­giore attua­lità come, tra gli altri, le riforme elet­to­rali e isti­tu­zio­nali, le con­di­zioni che ren­dono fun­zio­nate una demo­cra­zia rap­pre­sen­ta­tiva, il legame tra par­te­ci­pa­zione e muta­mento dei par­titi. Il secondo è mostrare come la scienza poli­tica – disci­plina pra­tica da Pasquino, allievo di Nor­berto Bob­bio e Gio­vanni Sar­tori, sin dagli anni Ses­santa – possa e debba pro­porsi come base scien­ti­fica per orien­tare nel modo più effi­cace pos­si­bile il muta­mento politico-istituzionale. 
La reto­rica pro­pa­gan­di­stica cor­rente nel nostro paese divide il mondo in rifor­ma­tori e con­ser­va­tori, dimen­ti­can­dosi volu­ta­mente di rispon­dere alle domande fon­da­men­tali che que­ste cate­go­rie richia­mano: cambiamento\conservazione per cosa? Per chi? L’articolata rifles­sione di Pasquino si con­fronta, cor­ret­ta­mente, pro­prio con que­sti nodi. Innan­zi­tutto, essa sem­bra basarsi sull’immagine di un paese carat­te­riz­zato, dal dopo­guerra ad oggi, da una società civile che fati­co­sa­mente costrui­sce un suo spa­zio di auto­no­mia e pro­ta­go­ni­smo, rima­nendo comun­que stret­ta­mente con­di­zio­nata da una società poli­tica uscita dalla Resi­stenza come bari­cen­tro del sistema-paese. Da una fase di par­ti­to­cra­zia lar­ga­mente ege­mo­nica e in grado, nono­stante le tante stor­ture clien­te­lari e neo-corporative, di pro­muo­vere inte­ressi gene­rali e non solo par­ti­co­lari, si passa ad una fase, quella attuale, in cui la disar­ti­co­la­zione della poli­tica e l’emergere di un per­so­na­li­smo mediatico-plebiscitario (che ha inve­stito anche la sini­stra) pro­duce stallo del sistema e pri­mato del guic­ciar­diano «particulare».
Nella visione poli­to­lo­gica di Pasquino, che si appog­gia sem­pre al con­trollo scien­ti­fico e all’analisi com­pa­rata, il nodo fon­da­men­tale sta nel rap­porto partiti-strutture isti­tu­zio­nali e nel defi­cit di cul­tura auten­ti­ca­mente demo­cra­tica in cui si arti­cola. I par­titi si muo­vono ancora all’interno di un plu­ra­li­smo pola­riz­zato non più ani­mato da par­titi di massa e orga­niz­zati ma da strut­ture esplose, tutte cen­trate sul per­so­na­li­smo di lea­der e can­di­dati scar­sa­mente sele­zio­nati. Quanto alle isti­tu­zioni e alle regole, dalla let­tura dei saggi che risal­gono agli anni Ottanta e qui ripro­po­sti, risulta con chia­rezza che la modi­fica del bica­me­ra­li­smo per­fetto oppure la riforma elet­to­rale, sono stati da allora temi di costante con­fronto poli­tico in Ita­lia. Senza che poi la classe poli­tica – né quella della Prima né quella della cosìd­detta Seconda Repub­blica – arri­vasse a solu­zioni sod­di­sfa­centi, in grado cioè di ren­dere meglio fun­zio­nante – sul lato della gover­na­bi­lità, della par­te­ci­pa­zione o della rap­pre­sen­tanza – il nostro sistema democratico. 
Le posi­zioni di Pasquino a que­sto pro­po­sito sono note: da sem­pre soste­ni­tore del dop­pio turno alla «fran­cese», visto come un sistema elet­to­rale in grado di rea­liz­zare un più alto livello di gover­na­bi­lità e di rap­pre­sen­tanza, date le con­di­zioni storico-politiche ita­liane, lo stu­dioso pie­mon­tese è per il supe­ra­mento del bica­me­ra­li­smo per­fetto e per la rea­liz­za­zione di quelle più gene­rali con­di­zioni di sistema che aumen­tano la com­pe­ti­zione par­ti­tica, ponen­dola su un piano di mag­gior rap­pre­sen­ta­ti­vità e partecipazione. 
Ma il libro di Gian­franco Pasquino non è un «istant book» né una rac­colta nostal­gica e auto-celebrativa di studi. Il suo inte­resse e il suo valore, anche per gli spunti cri­tici che offre, è soprat­tutto un altro: la sua idea del rap­porto scienze sociali-pratica poli­tica. O, per dirla in un altro modo, tra intel­let­tuale e classe poli­tica. Un tema fon­da­men­tale nelle società con­tem­po­ra­nee che guida e ispira que­sta rac­colta, come dichiara espli­ci­ta­mente l’autore sin dall’introduzione. 
Gian­franco Pasquino si pone innan­zi­tutto come fiero rap­pre­sen­tante della «terza cul­tura», per dirla con le parole di Kagan o di Lepie­nes, cioè di una serie di saperi che pun­tano ad inter­ro­gare la realtà sto­rica e sociale attra­verso il metodo scien­ti­fico: si tratta del pro­gramma con cui nascono le scienze sociali nel XIX secolo. Ma que­sta è solo una parte della verità: que­sta inter­ro­ga­zione scien­ti­fica, che pur non rifiuta il con­fronto e l’auto-esame rispetto ai giu­dizi di valore da cui parte e di cui non può fare a meno, ha senso solo se for­ni­sce gli stru­menti di una più effi­cace inge­gne­ria sociale, poli­tica o eco­no­mica che sia. 
Da Easton a Almond, da Sar­tori fino allo stesso Pasquino, la poli­to­lo­gia, molto più della socio­lo­gia, si muove secondo un para­digma neo-positivistico e cerca la pro­pria legit­ti­ma­zione non solo in sé ma per il con­tri­buto che vuole (o pre­tende) di offrire al governo razio­nale, empi­ri­ca­mente fon­dato, del muta­mento poli­tico e della cosa pub­blica. Ecco dun­que il nodo del rap­porto tra l’intellettuale espo­nente della «terza cul­tura» e classe poli­tica: il primo deve sosti­tuirsi al secondo? Pasquino non lo pensa né potrebbe pen­sarlo dato che, nel mondo glo­bale, solo la scienza eco­no­mica eser­cita un reale impe­ria­li­smo fon­den­dosi con l’ideologia ege­mone (il neo-liberismo) e arro­gan­dosi il diritto di rap­pre­sen­tare la Verità e sosti­tuirsi alla demo­cra­zia. Più mode­sta­mente, la sua visione del poli­to­logo e, per esten­sione, del cul­tore di scienze sociali, è quello di essere «con­si­gliere del Prin­cipe». E di mostrare, attra­verso gli stru­menti della ricerca empi­rica e dell’argomentazione razio­nale, tutta l’utilità che potrebbe avere que­sta operazione. 
L’Italia di Renzi, con il suo anti-intellettualismo, si pone in con­ti­nuità con quanto acca­duto negli ultimi Venti anni: le acqui­si­zioni scien­ti­fi­che sono in buona parte mar­gi­na­liz­zate dal dibat­tito pub­blico e risul­tano impo­tenti di fronte alle esi­genze di potere di una classe poli­tica scar­sa­mente in grado di pro­muo­vere l’interesse gene­rale. Pasquino non è a rigore un neo-illuminista ma que­sto è un tema emi­nen­te­mente illu­mi­ni­sta. L’intellettuale riven­dica un ruolo ma la sua riven­di­ca­zione si tra­sforma in un «grido nel deserto». La tec­no­cra­zia non può sosti­tuire la demo­cra­zia anche se di fatto, oggi, l’alleanza tra mer­cato ed esperti eco­no­mici la limita sem­pre di più. La demo­cra­zia poi, non può tra­dursi in un’arena di pro­mo­zione di un potere per­so­nale e pre­da­to­rio. Il libro di Pasquino si pone oltre que­sti limiti e rimette al cen­tro l’esigenza di una rin­no­vata alleanza tra demo­cra­tici e sapere. Una strada che, oggi più di prima, vale la pena percorrere.

Nessun commento: