domenica 12 ottobre 2014

L'ultimo difensore del neoliberalismo in America Latina

Mario Vargas Llosa
«Basta pessimismo, la democrazia non è stanca. Sono i totalitarismi a retrocedere ovunque»
Parla lo scrittore peruviano, Premio Nobel e uno dei grandi intellettuali sudamericani
intervista di Danilo Taino Corriere 12.10.14


Mario Vargas Llosa, peruviano, maestro di Letteratura, Premio Nobel nel 2010, fa vacillare il pessimismo che stringe alla gola noi europei. Forse perché visto dai Paesi emergenti il mondo angoscia meno, forse perché la lucidità di convinzioni gli fa da bussola. In questi giorni, è in Italia per partecipare, domani, al decimo compleanno dell’istituto liberale Bruno Leoni. Per inquadrare la sua idea del mondo, in questa intervista dice subito di non condividere l’idea — sostenuta per esempio da Francis Fukuyama — che la democrazia sia in affanno e che modelli autoritari come quello cinese possano essere attraenti perché efficienti.
«È una visione molto pessimista. La democrazia ha problemi seri ma ho l’impressione che sia il totalitarismo a retrocedere». Cita Hong Kong come dimostrazione del fatto che «lo sviluppo economico in ultima istanza è incompatibile con il totalitarismo, l’apertura economica prima o poi esige un’apertura politica». La nuova classe media cinese costringerà Pechino alla riforma democratica.
E nel resto del mondo la situazione non è diversa: il totalitarismo non avanza.
La Russia di Putin non ha niente da offrire. In America Latina «il clima non è più a favore della dittatura»: in Centro America per la prima volta non si hanno guerre civili; in Colombia, Perù, Messico la democrazia si consolida, anche altrove non è in pericolo. «E il Brasile — sostiene — ha la possibilità, nelle elezioni in corso, di rinnovarsi rispetto alla corruzione dei governi di Dilma Rousseff e Lula. È interessante il caso di Marina Silva (sfidante per la presidenza, sconfitta al primo turno, ndr), partita dall’estrema sinistra, come ecologista, e arrivata a riconoscere che per lo sviluppo sono necessari l’impresa, il libero mercato, l’apertura. C’è una sinistra che sta scoprendo l’importanza di questi valori, che in America Latina oggi hanno un consenso mai avuto prima. Se Marina Silva lo appoggerà seriamente, credo che Aécio Neves possa diventare presidente. Sarebbe molto positivo: in genere si pensa che il grande statista in Brasile sia stato Lula; in realtà il vero statista fu Henrique Cardoso che riformò, aprì, fece crescere l’economia che ora con Dilma si è fermata».
Solo nei Paesi congelati nel passato la situazione è pessima.
«Cuba è triste, è un Paese nel limbo: l’unico sogno cubano è la fuga negli Stati Uniti. E il Ve- nezuela è in teoria ricchissimo ma ha l’inflazione più alta del mondo, l’economia non può essere peggiore e la repressione è dura: l’opposizione, però, cresce».
Non che la democrazia non abbia problemi. «Il primo è la corruzione, che ad esempio in Europa è molto serio». E provoca reazioni: nazionalismo, razzismo, «non massicci ma preoccupanti». È che in Occidente, dice lo scrittore-politico, «assistiamo a una sparizione dei valori perché le élite sono spesso corrotte. Per esempio l’impresa era una forza anche morale nel passato: oggi l’avidità è riuscita a distruggere i freni morali che garantivano il funzionamento democratico». Insomma, le libertà sono di fronte a sfide se- rie, loro proprie; ma di fronte all’autoritarismo non stanno arretrando. Nella lettura di Vargas Llosa, l’Occidente non ha appoggiato a sufficienza i movimenti sinceramente democratici delle Primavere Arabe, Obama ha sbagliato a ritirarsi troppo presto dall’Iraq e a non sostenere sin dall’inizio le forze democratiche che puntavano alla caduta di Assad in Siria. «Ora, il fondamentalismo islamico è un pericolo per la cultura libera, per i valori dell’Occidente» e il Califfato sembra folcloristico ma non lo è. «Ci ha dichiarato una guerra: o la vinciamo o la perdiamo». Certo, non sarà facile: in Europa, i cittadini, i governi, gli intellettuali hanno perso idealismo, ha preso piede un pessimismo apatico che non riesce a difendere i valori liberali: il Premio Nobel ha coniato un neologismo per definire la malattia europea, ombligismo, dallo spagnolo ombligo, «l’abitudine a guardarsi l’ombelico».
Ma potrebbe essere proprio la guerra contro il Califfato «a fare aprire gli occhi di Europa e Occidente su ciò che è minacciato, sui valori etici di libertà, di solidarietà, di rispetto delle donne che possiamo perdere: abbiamo battuto il comunismo, ora dobbiamo affrontare il fanatismo religioso». Da una parte anche sopprimendo i terroristi.
Dall’altra aiutando l’islam a sperimentare un processo di laicizzazione: «tutte le religioni nascono totalitarie; ma il cristianesimo si è laicizzato, l’islam no». A proposito di religione, secondo Vargas Llosa, papa Francesco è una forza progressista che ha una grande ripercussione anche geopolitica. È però frenato dalla struttura conservatrice della Chiesa, dalla Curia romana che ne trattiene la volontà riformatrice. «Nella Chiesa ci sono persone meravigliose — dice — ma anche trogloditi, uomini delle caverne; speriamo che riesca a superarli». E — aggiunge l’impulso liberale dello scrittore che non ama il pauperismo — «consiglierei al Papa di non parlare di economia: ci sono gli specialisti, perché occuparsene?». Il messaggio forte che l’intellettuale peruviano vuole lasciare agli europei è che «il disarmo morale che vivono, il cinismo, l’idea che tutto sia corrotto e vada male fa perdere quel dinamismo che in passato è stato il grande fattore di cambiamento e di riforma. È un problema profondamente culturale, di spirito critico».

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