lunedì 20 ottobre 2014
Opinioni di un clown. L'ex testimonial di Vuitton parla della Russia contemporanea
intervista di Leonardo Coen il Fatto 20.10.14
Nell’estate del 1989, al termine di laboriose trattative con il
cancelliere Helmut Kohl, il presidente sovietico Mikhail Gorbaciov si
sentì chiedere durante la conferenza stampa: “Cosa può dire a proposito
del Muro di Berlino? ”. Gorbaciov non ebbe tentennamenti. Con il suo
russo dall’accento provinciale (è nato nella regione di Stavropol tra il
mar d’Azov e il Mar Caspio), rispose semplicemente che “nulla è
eterno”. Che “il Muro può sparire quando spariscono i presupposti per
averlo costruito”. E aggiunse: “Non vedo alcun problema in questo”. Il
Muro di Berlino cadde la sera del 9 novembre di quello stesso anno.
Migliaia di berlinesi della Ddr attraversarono in massa la porta di
Brandeburgo e si ritrovarono a Berlino Ovest, che gli apparve come il
paese delle meraviglie. Fu una straordinaria festa popolare. L’apertura
del Muro divenne una sorta di spartiacque politico simbolico. La
riunificazione della Germania avrebbe accelerato il processo di
coesistenza pacifica tra Est e Ovest, la fine della guerra fredda, e la
dissoluzione dell’Unione Sovietica. Protagonista di questo epocale
cambiamento fu Gorbaciov, padre delle riforme che si basavano su un
principio base, quello della novoje mishlenje, il “nuovo modo di
ragionare” che ebbe come conseguenze la glasnost (trasparenza) e la
perestroijka (ricostruzione).
Venticinque anni dopo - un quarto di secolo è un pezzo di Storia
decisivo - l’ultimo presidente dell’Urss rievoca quel tempo in
un’intervista pubblicata dal quotidiano Rossiskaja gazeta di Mosca
(organo ufficiale del governo della Federazione russa) e ci tiene a
sottolineare che è contrario a qualsiasi tipo di muro. Purtroppo, se il
Muro di Berlino è scomparso, altri ne sono apparsi in tutto il mondo
(per complessivi 8mila chilometri) e uno lo vorrebbero innalzare gli
ucraini alla frontiera con la Russia: “Sarebbe meglio se quelli che
pianificano questa costruzione ci ripensassero”, è il consiglio di
Gorbaciov, “siamo troppo vicini, in tutti i sensi. Non ci sono problemi
insormontabili tra di noi. Però, tanto dipenderà dalla società civile e
dai mass-media. Se si impegnano a disunirci e ad approfondire la lite
(Gorbaciov usa un termine russo popolare, svara, che guarda caso ha
radici comuni con l’ucraino e significa litigio sanguigno, ndr.), sarà
un disastro. Di esempi ce ne sono, purtroppo. Quindi mi appello
all’intelligencija perché si comporti in modo consapevole e
responsabile”.
LA QUESTIONE UCRAINA ricorda i dissidi tra la dirigenza della Germania
Orientale e quella sovietica che precedettero la caduta del Muro di
Berlino. Allora, in quell’estate fatale dell’89, “né io né Kohl
aspettavamo che tutto accadesse così presto, tantomeno ci attendevamo il
crollo del Muro a novembre... succede che la Storia affretti il passo.
Essa punisce chi è in ritardo. Ma punisce ancor più severamente coloro
che si mettono sulla sua strada. Sarebbe stato un grave errore tenere la
Cortina di Ferro”. Parole simili Gorbaciov disse a Erich Honecker,
segretario generale del partito comunista della Ddr, “chi arriva troppo
tardi, la vita lo punisce”. Era il 7 ottobre del 1989, la Ddr
festeggiava il quarantesimo anniversario della sua creazione con una
grande parata militare. Ma la sera ci furono manifestazioni spontanee un
po’ dappertutto, al grido di “Gorby, aiutaci! ”. E in effetti, ormai,
tra la dirigenza della Repubblica Democratica tedesca e quella sovietica
c’erano sostanziali divergenze, i tedeschi orientali criticavano
apertamente la perestroijka e la glasnost di Gorbaciov. Eppure, sostiene
l’ex presidente sovietico, non ci furono pressioni di Mosca nei
confronti di Postdam: “II processo di riunificazione della Germania è
stato pacifico e non ha portato ad una pericolosa crisi internazionale.
Io credo che un ruolo lo ebbe l’Urss. Quando l’evolversi della
situazione prese un’accelerazione per tutti inaspettata. Il governo
sovietico uniformemente decise di non intromettersi nei processi interni
della Ddr”. Una scelta ben precisa, per esempio, fu quella di non
mobilitare le forze russe dislocate nella Ddr, “anche oggi sono sicuro
che quella decisione fosse giusta”.
L’OTTANTATREENNE Gorbaciov rivisita il passato pensando al presente. Nel
1989 abbiamo risolto i problemi. Potremmo ripeterci anche oggi, è il
senso di questa intervista. Venticinque anni fa, “un ruolo fondamentale
lo ebbero i tedeschi stessi. Non solo per le loro manifestazioni di
massa a favore della riunificazione, ma anche per il fatto che negli
anni del Dopoguerra, sia i tedeschi occidentali che orientali
dimostrarono di aver imparato la lezione, e hanno provato che ci si
poteva fidare di loro. Noi del governo sovietico sapevamo che i russi e i
popoli dell’Unione Sovietica capivano la voglia dei tedeschi di vivere
in un unico stato democratico”. Gorbaciov a ragione si ritiene
l’artefice di una pace mondiale suggerendo la soluzione per i gravi
problemi attuali, ossia la necessità di ritrovare il dialogo che porta
“a trovare i punti di convergenza”. “Voglio inoltre ricordare che anche
altri protagonisti del processo di regolarizzazione della questione
tedesca mostrarono responsabilità ed equilibrio. Intendo i paesi della
coalizione anti-Hitler, cioè Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna. Non è
un segreto il fatto che François Mitterand e Margaret Thatcher avessero
dei grossi dubbi a proposito dei tempi della riunificazione. La guerra
aveva lasciato il segno. Ma quando tutti i dettagli di questo processo
vennero concordati, firmarono i documenti per mettere il punto
definitivo nella storia della guerra fredda”. Perché, spiega Gorbaciov,
la riunificazione non era un processo isolato, ma parte del “processo di
cessazione” della Cold War. Anzi, rivendica la paternità di tutto ciò:
“La strada l’aveva aperta la nostra perestroijka e la democratizzazione
del nostro Paese. Senza, l’Europa poteva rimanere congelata ancora per
decenni. Uscirne, poteva essere molto più difficile”. Con malcelato
orgoglio, l’uomo che ricevette nel 1990 il premio Nobel per la Pace
precisa che fu proprio il “nuovo modo di ragionare” (novoje mishlenje) a
determinare la grande svolta politica dell’Urss: “Era la consapevolezza
di avere minacce globali, al tempo in cui la minaccia del conflitto
nucleare poteva essere rimossa solo con gli sforzi di tutti. Significa
che si dovevano costruire relazioni in modo nuovo e diverso, avere il
dialogo, cercare la via per abolire la corsa del riarmo. Significava
riconoscere la libertà dei popoli di scegliere, ma al tempo stesso il
dovere di considerare i diversi interessi, di costruire la
collaborazione, di stabilire relazioni in modo che il conflitto in
Europa diventasse impossibile”. Questi principi, sostiene Gorbaciov,
hanno formato la base degli accordi di Praga del 1990 “per costruire la
nuova Europa”, documento che per lui è di “massima importanza storica”.
Fu sottoscritto da tutti i paesi europei, dagli Stati Uniti e dal
Canada. Prudente, ci tiene a distinguere l’oggi dall’ieri: “Non voglio
confrontare la generazione dei leader di quei tempi ai leader attuali.
Ma rimane il fatto che sviluppare i punti programmatici di allora,
concretizzarli, creare le strutture, i meccanismi di prevenzione e di
collaborazione come il Consiglio di Sicurezza per l’Europa” sono rimasti
senza seguito, “tutto ciò non è stato implementato. Lo sviluppo europeo
ha avuto un carattere unilaterale, favorito anche dalla debolezza della
Russia negli anni Novanta”.
“OGGI SI DEVE CONSTATARE l’evidenza di una crisi della politica europea e
mondiale”, è la sintesi della sua analisi, un leit motiv che lo ha
sempre accompagnato in tutta la sua vita. Cominciava sempre i discorsi
così: “Tovarish, la situazione internazionale è tesa... ”. Una delle
ragioni di questa crisi è che “i nostri partner occidentali non
considerano il punto di vista della Russia e i legittimi interessi della
sua sicurezza. A parole incoraggiavano la Russia, specialmente durante
gli anni di Eltsin, di fatto non era così. Mi riferisco soprattutto
all’espansione della Nato, all’installazione dello scudo antimissili,
alle azioni dell’Occidente nelle regioni di importanza strategica per la
Russia: Jugoslavia, Irak, Georgia e adesso Ucraina. Ci dicevano, alla
lettera: questi non sono affari vostri. Quindi si è formato un ascesso,
che è esploso. Io suggerisco ai leader occidentali di analizzare tutto
questo invece di accusare di tutto ciò la Russia”. C’erano state delle
discussioni con gli americani, dopo la riunificazione della Germania, i
russi chiedevano che non si avanzassero le forze Nato sul territorio
della ex-Ddr: “È stato fatto tutto quello che era necessario per
legalizzare questo impegno politico... nell’accordo finale con la
Germania è scritto che sul territorio orientale non vengono create
strutture militari né installate arme di distruzione di massa. L’accordo
è stato rispettato e lo è ancora adesso. Quindi smettete di descrivere
Gorbaciov come un ingenuo, uno che è stato preso in giro. Se fosse stata
ingenuità, è venuta dopo, quando ci siamo posti la domanda
sull’espansione della Nato e quando all’inizio la Russia non aveva nulla
in contrario. La decisione degli Usa, a proposito dell’espansione a Est
è del 1993. Io dissi subito che era un grosso errore. E che era
l’opposto di tutte le assicurazioni date nel 1990. Ma, per quel che
riguarda la Germania, gli accordi sono rispettati”. Rispetto che
dovrebbe essere la cifra degli accordi di Minsk del 5 e del 19 settembre
2014, il cessate il fuoco nell’est dell’Ucraina: “La situazione è molto
fragile. Il regime di cessate il fuoco è spesso violato. In questi
ultimi giorni c’è l’impressione che questo processo sia avviato. Stanno
creando la zona demilitarizzata, ritirano le armi pesanti. Arrivano gli
osservatori Ocse, tra loro alcuni sono russi. Se si riesce a
stabilizzare, questo sarà un traguardo importante. Però, è solo il primo
passo. Il rapporto tra Russia e Ucraina è stato rovinato. Non
possiamo permettere che i due popoli diventino l’uno estraneo all’altro.
Un’enorme responsabilità cade sui leader, i presidenti Putin e
Poroshenko. Loro devono dare l’esempio. Dobbiamo abbassare il fuoco
delle emozioni. Chi ha ragione e chi ha torto, lo vedremo dopo. Adesso è
importante stabilire il dialogo sui problemi concreti. Riportare alla
normalità la vita delle regioni che hanno subìto più di tutti, lasciando
per il momento le questioni sullo status etc... ”. Due, le strategie da
seguire. Una, riguarda Russia ed Ucraina. Si devono sedere allo stesso
tavolo e discutere ogni tipo di problema. L’altra, riguarda Russia e
l’Occidente: “Dobbiamo uscire dalla logica delle accuse reciproche e
delle sanzioni. Secondo me, la Russia questo passo l’ha già fatto.
Adesso tocca ai nostri partner. Credo che si debbano abolire
innanzitutto le sanzioni personali. Come si può intavolare un dialogo se
voi punite le persone che prendono le decisioni che hanno influenza
sulla politica? ”.
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