venerdì 17 ottobre 2014

Sinistra è... rassicurare Prodi mentre si fa finta di protestare: nelle rivelazioni di Fabio Mussi il segreto di ieri, oggi, domani

E le offese verso Chavez. E "Sinistra del Lavoro" che parte malissimo, con Alfonso Gianni che si candida a responsabile per l'economia... [SGA].

Mussi: «Leopolda contro Cgil? Solo Chávez faceva così» 
Intervista a Fabio Mussi. «Nel 2007 i ministri non scesero in piazza, è una leggenda», ora è diverso, «il sindacato va allo scontro frontale con il governo»
Daniela Preziosi, il Manifesto 16.10.2014 
 
Fabio Mussi, nel Pd attac­cano i par­la­men­tari che andranno alla mani­fe­sta­zione Cgil. Agi­tando il para­gone con i mini­stri che nell’ottobre 2007 sfi­la­rono con­tro il loro stesso governo, l’ultimo Prodi. Di cui lei era com­bat­tivo mini­stro dell’Università. 

In piazza non scese nes­sun mem­bro del governo. Que­sta è una leg­genda metro­po­li­tana che a distanza di anni viene ripe­tuta come un mantra. 

Per­sino Fer­rero, mini­stro della soli­da­rietà, e Paolo Cento, sot­to­se­gre­ta­rio all’economia, resta­rono a casa. Fu Prodi a chiedervelo? 

No, fu una nostra deci­sione. Non si può stare in un governo e mani­fe­stare in piazza. Anche se non era una mani­fe­sta­zione ‘con­tro’ Prodi. Era sulla finan­zia­ria e sulla riforma del wel­fare. Nel governo c’erano posi­zioni cri­ti­che. Natu­ral­mente le più forti erano quelle di Rifon­da­zione. Ma i mini­stri fecero la loro bat­ta­glia nel consiglio. 

Gli orga­niz­za­tori del cor­teo fecero una riu­nione con Prodi e con­cor­da­rono che le parole d’ordine non fos­sero troppo ostili. Dili­berto disse: ‘sono comu­ni­sta, mica scemo, non voglio far cadere il mio governo’. 

Ci fu una certa accor­tezza per­ché la pole­mica non supe­rasse il livello di guar­dia. Io affac­ciai anche a Franco Gior­dano (allora segre­ta­rio del Prc, ndr) l’ipotesi che i mini­stri più cri­tici lascias­sero il governo e des­sero l’appoggio esterno.

 

La sini­stra non uscì dal governo, ma dopo poco Prodi cadde lo stesso. 

Ma non da sini­stra. Ecco un’altra leg­genda metro­po­li­tana. Lo fece cadere Mastella. Qual­che anno dopo Prodi però disse che il suo governo era caduto il giorno del discorso al Lin­gotto di Veltroni. 

Quando decise che il Pd doveva ‘cor­rere solo’. 

Quando stai in una coa­li­zione e il par­tito mag­giore dice così, inne­schi un mec­ca­ni­smo ingo­ver­na­bile. Prodi rac­contò che dopo il Lin­gotto Mastella si affac­ciò sulla porta del suo stu­dio e gli disse: volete fre­gare me, e io frego prima voi. Ma con ter­mini più crudi, 

Sul mito della ris­so­sità dell’Unione si è edi­fi­cata la voca­zione mag­gio­ri­ta­ria del Pd. Tant’è che nel 2013 per accet­tare Sel in coa­li­zione vi fecero fir­mare un impe­gno al rispetto dei voti della mag­gio­ranza. Poi è andata com’è andata. 

Il rispetto delle deci­sioni di mag­gio­ranza ha dei limiti: si obbe­di­sce prima alla coscienza morale, poi alla Costi­tu­zione Repub­bli­cana e poi ai vin­coli di par­tito. Io, insieme ad altri, qual­che anno prima avevo fatto il primo gesto forte di disob­be­dienza al gruppo dei Ds votando il ritiro dell’Italia dall’Iraq. E dio sa se ave­vamo ragione. 

I Ds non minac­cia­rono di espel­lervi. Il Pd è meno elastico? 

Que­sti gio­vani ultimi arri­vati qual­che volta sem­brano gli eredi di Pie­tro Sec­chia. Lo sta­li­ni­smo è un codice che tende a ripro­dursi nelle situa­zioni più impensabili. 

Ma un par­tito che non ha una disci­plina non è un par­tito, è un gruppo misto. 

Il Pd è nato come gruppo misto, una rete di cor­renti. Nel Pci le cor­renti erano segrete, per­ché non si pote­vano nomi­nare, su piat­ta­forme pub­bli­che: tutti sape­vano cosa voleva Ingrao o Amen­dola. Invece nel Pd le cor­renti sono pub­bli­che su piat­ta­forme segrete. Non si sa bene su cosa si orga­niz­zano, spesso sono comi­tati elet­to­rali al ser­vi­zio dei nota­bili. E il prin­ci­pio uni­fi­ca­tore non può essere disci­pli­nare. Dev’essere un grande fatto poli­tico e cul­tu­rale. E deve lasciare spa­zio all’espressione del dissenso. 

Cia­scuno vota come gli pare? 

Non può essere la regola. Certo l’adesione ai par­titi è libera e volon­ta­ria, se dici ‘il nostro gio­vane segre­ta­rio è al ser­vi­zio degli anziani della parte avversa’, oppure ‘con­tro il dis­senso si usa il metodo Boffo’, poi devi trarne le conseguenze. 

Ce l’ha con D’Alema e Ber­sani: dovreb­bero uscire? 

Vedano loro. Ma sono espres­sioni estreme. Le diver­genze ormai toc­cano punti fon­da­tivi del Pd. Io non ade­rii per­ché aveva preso una piega blai­riana, quella della ‘sini­stra di cen­tro’. Oggi sento dire den­tro il Pd che certe scelte del governo sono scelte di destra. ‘Di destra’, chiaro? Ora la Cgil va a un urto fron­tale con il governo. Par­te­ci­pare alla sua mani­fe­sta­zione è impe­gna­tivo: vuol dire con­di­vi­derne, più o meno, i contenuti. 

Nel 2007 Vel­troni, ben­ché con­tra­rio al cor­teo della sini­stra, disse: un grande fatto demo­cra­tico. Renzi salu­terà così la mani­fe­sta­zione Cgil? 

Noto che lo stesso giorno Renzi fa la sua con­tro­ma­ni­fe­sta­zione alla Leo­polda. Il capo di un par­tito e capo del governo di fronte all’iniziativa di un’importante forza sociale riu­ni­sce la sua cor­rente. Una cosa così l’ho vista solo ai tempi di Chávez. 

Sel fa un appello alla sini­stra Pd. 

Non è che ci met­tiamo alla fron­tiera a orga­niz­zare gli ingressi. Il 4 novem­bre abbiamo lan­ciato una coa­li­zione del lavoro e dei diritti: se ci sono idee alter­na­tive a quelle del governo met­tia­mole in rete e fac­cia­mole diven­tare un fatto poli­tico. Ma non vuol dire pre­ci­pi­tare in un nuovo partito. 

Dopo la mani­fe­sta­zione del 2007 cadde il governo. Cadrà anche stavolta? 

Non so. Certo siamo den­tro una tem­pe­sta. Qual­che giorno fa il mini­stro Padoan ha detto: ‘siamo in una crisi peg­giore di quella del ‘29’. Be’, alla fac­cia: quella del 29 negli Stati uniti fu risolta da Roo­svelt e Key­nes, e in Europa dalla Ger­ma­nia di Hitler. Negli Usa dopo il ‘29 ci fu la sepa­ra­zione fra ban­che d’affari e ban­che di rispar­mio, l’aliquota al 90 per cento per red­diti supe­riori ai 4 milioni di dol­lari; e un mas­sic­cio piano di inter­vento pub­blico per la crea­zione di posti lavoro. Se la crisi è peg­gio del ‘29 biso­gna pen­sare a qual­cosa che asso­mi­gli a quella riforma del sistema capitalistico. 

Il jobs act non gli assomiglia? 

Ma per carità. 

Dopo il 2007 per voi arrivò l’orribile 2008: la sini­stra asfal­tata e fuori dal par­la­mento. Renzi ha il vento in poppa e l’Italicum non pro­mette regali: non è che fini­sce così anche stavolta? 

La sini­stra fu asfal­tata lar­ga­mente per colpa sua. Ma in un grande paese euro­peo come l’Italia è impen­sa­bile che non rina­sca una for­ma­zione di sini­stra. Que­sta fun­zione non può finire assor­bita nel mare magnum del ren­zi­smo. E se la sini­stra Pd non fa una scelta, finirà rele­gata in una ridotta irrilevante.


Manovra chiara 
Legge di stabilità . L’ottimismo dell’esecutivo si basa sui numeri ballerini di alcuni capitoli 
Alfonso Gianni, il Manifesto 16.10.2014 

Già lo aveva detto Mario Dra­ghi qual­che set­ti­mana fa: «La sola poli­tica mone­ta­ria non basta di fronte alla gra­vità della crisi». Poi aveva aggiunto che ci vogliono riforme pro­fonde per rilan­ciare la cre­scita. Que­sta seconda parte dell’affermazione è stata giu­sta­mente letta come una ulte­riore pesante intro­mis­sione della Bce nell’ambito delle scelte di poli­tica eco­no­mica dei sin­goli paesi e, nel caso nostro, come una mano d’aiuto al governo Renzi impe­gnato a distrug­gere ciò che resta del diritto del lavoro. 
Così è rima­sta un poco in ombra la prima parte dell’asserto dra­ghiano. Forse per­sino il pre­mio Nobel a Jean Tirole pare esserne una conseguenza. 
Lo stu­dioso fran­cese è stato pre­miato per i suoi lavori sui modi di imbra­gare i mer­cati dove ci sono posi­zioni domi­nanti, senza met­terne in discus­sione le fon­da­menta e, per quanto riguarda il mer­cato del lavoro, la stessa Voce​.info si è com­pia­ciuta di sot­to­li­neare le affi­nità tra la pro­pria pro­po­sta (rap­porto di lavoro a tutele cre­scenti) e le affer­ma­zioni di Tirole. Più o meno come la slab­brata legge delega su cui, con un evi­dente strappo costi­tu­zio­nale, il governo Renzi ha posto la que­stione di fidu­cia al Senato. 
La chiave di volta per inter­pre­tare il senso, se ce ne è uno, della nuova legge di sta­bi­lità sta dun­que nella “sfida” lan­ciata da Renzi agli indu­striali quando li ha ammo­niti a non avan­zare più alibi e a pro­ce­dere ad assun­zioni che ren­dano meno crude le cifre della disoc­cu­pa­zione, in par­ti­co­lare tra i gio­vani. Squinzi ha capo­volto la sfida in un assist, con l’enfatica dichia­ra­zione che solo Renzi rea­lizza i sogni della impren­di­to­ria italiana. 
Non si può e non si deve leg­gere la legge di sta­bi­lità se non in stretta con­nes­sione con il Jobs Act. Renzi spiana il diritto del lavoro per creare quello che una volta si chia­mava un “prato verde” per l’imprenditoria nostrana ed estera (par­ti­co­lar­mente attivi i cinesi, con pre­di­le­zione per le tele­co­mu­ni­ca­zioni e l’energia). 
La nota di aggior­na­mento al Def ha capo­volto l’ottimismo di fac­ciata ren­ziano. Gli uffici del mini­stero dell’economia non pote­vano non rico­no­scere la reces­sione, anzi la depres­sione che atta­na­glia il paese. Tut­ta­via il docu­mento gover­na­tivo con­ti­nua a pec­care di otti­mi­smo, come la stessa Banca d’Italia ha rile­vato sulle pos­si­bi­lità di coper­tura delle misure pre­vi­ste. Chi ci assi­cura che real­mente si otten­gano suc­cessi con­tro l’evasione fiscale? Intanto assi­stiamo a nuovi tra­slo­chi di capi­tali all’estero. Chi ci dice che siano esatti i cal­coli sul minore peso del costo degli inte­ressi sul debito, visto che la que­stione è in gran parte al di fuori delle nostre mani, dipen­dendo dal qua­dro mone­ta­rio inter­na­zio­nale? Qual­cuno è così teme­ra­rio da fon­dare pro­getti seri sui risparmi che deri­ve­reb­bero dalla spen­ding review, dopo il cam­bio della guar­dia e la varietà di cifre che ci sono state fin qui pro­spet­tate? Il mar­gine sul defi­cit, 11,5 miliardi, por­tato così al 2,9%, due deci­mali prima dell’abisso, sarà suf­fi­ciente ad abbas­sare le tasse e a rilan­ciare la cre­scita (quale?), peral­tro senza uno strac­cio di piano indu­striale che non sia quello pura­mente nega­tivo delle pri­va­tiz­za­zioni? Per­sino il cauto Sole24Ore tito­lava l’editoriale di ieri come se fosse un social net­work: «Obiet­tivo cre­scita: se non ora quando?». 
Legge di sta­bi­lità elet­to­rale, dun­que? C’è di più. A parte la totale incer­tezza sulla durata della legi­sla­tura e dello stesso varo della nuova legge elet­to­rale, mi pare che il dise­gno di Renzi sia più ambi­zioso e peri­co­loso. Da un lato in Europa non sfonda il tetto del 3%, ma si dichiara soli­dale coi fran­cesi, pun­zec­chia la Com­mis­sione evi­tando però di esporsi pla­teal­mente al rischio di boc­cia­ture inte­grali della mano­vra.
Dall’altro rin­salda i legami con la Con­fin­du­stria e si rivolge ai cit­ta­dini attivi bypas­sando ogni media­zione sia poli­tica che sin­da­cale. Pra­ti­cando quindi, e cer­cando di con­so­li­dare, una sorta di popu­li­smo del con­senso. Qual­cosa di più del popu­li­smo dall’alto che abbiamo sto­ri­ca­mente cono­sciuto, qual­cosa di molto meno della costru­zione di un blocco sociale. Un dise­gno fra­gile, che vive solo della pochezza dei suoi oppo­si­tori, ma pur sem­pre un dise­gno politico. 
Sarà la mani­fe­sta­zione del 25 otto­bre e lo scio­pero gene­rale che (forse) seguirà, con l’articolazione a tutti i set­tori, in primo luogo quello del pre­ca­riato, a potere spez­zare que­sta trama che altri­menti ci avvol­gerà per molto tempo a venire.

Nessun commento: