giovedì 16 ottobre 2014

C'era una volta il lavoro, il suo valore, i suoi diritti, la sua dignità: il libro di Giorgio Cremaschi

Lavoratori come farfalle. La resa del più forte sindacato d'Europa
Giorgio Cremaschi: Lavoratori come farfalle, Jaca Book 2014


Risvolto
È stato tutto un sogno? L'autore, nato nel 1948, prima militante e poi dirigente FIOM dalla gioventù alla pensione, mette a confronto il mondo del lavoro degli anni '70 con la realtà attuale in un pamphlet che non fa sconti. La strada che ha condotto il sindacato più forte d'Europa all'attuale sconfitta è ripercorsa attraverso gli snodi della storia sociale e sindacale degli ultimi quarant'anni, molti dei quali vissuti in prima persona da Cremaschi. Lo scopo è dichiaratamente di parte: individuare la via per la quale il lavoro, i cui diritti durano poco come la vita delle farfalle, possa risalire la china, assieme a un paese precipitato nella rassegnazione alla disuguaglianza e allo smantellamento della democrazia. Il testo non indica un programma ma insiste sulla indispensabile condizione affinché tale risalita si realizzi: la totale emancipazione dal pensiero e dai modelli sociali dominanti fin dagli anni '80.


L’ultimo battito di ali 
Saggi. Il libro di Giorgio Cremaschi «Lavoratori come farfalle», per Jaca Bok, mette in evidenza le contraddizioni della politica renziana e la distruzione dei diritti
Samir Hassan, il Manifesto 3.1.2015 
Ci sono dav­vero diverse ragioni per dedi­care qual­che ora di intensa let­tura al sag­gio di Gior­gio Cre­ma­schi, una vita spesa nella Fiom fino al pen­sio­na­mento e ora inces­sante mar­tello della linea «mino­ri­ta­ria» Il sin­da­cato è un’altra cosa – oppo­si­zione Cgil. La sua agile pub­bli­ca­zione, data alle stampe da Jaca Book, cen­tra il merito di pren­dere il toro per le corna in un momento in cui fare sin­da­cato, tra divi­sioni e mani­fe­sta­zioni nazio­nali, sem­bra essere un para­digma che ine­vi­ta­bil­mente debba scon­trarsi con il moloch della Cgil. 
Le pagine di Lavo­ra­tori come far­falle (pp. 119, 12 euro) ripren­dono la sto­ria del sin­da­cato, da Tren­tin alla lotta per la scala mobile, dal «sala­rio come varia­bile indi­pen­dente» alla svolta dell’Eur nel 1977 fino ad arri­vare all’oggi, dove il rac­conto di memo­ria si fa accusa e l’indice viene pun­tato sulla deriva delle com­pa­ti­bi­lità e delle con­cer­ta­zioni. Nei giorni in cui la Cgil scende in piazza, divi­den­dosi sul signi­fi­cato di una mani­fe­sta­zione con­tro Renzi o meno, il testo di Cre­ma­schi appare quanto mai azzeccato. 
Lo sguardo è rivolto ai tempi pre­senti, al dibat­tito sul Jobs Act, sulla riforma del mondo del lavoro e all’attacco fron­tale all’articolo 18. A chi ancora crede che le garan­zie dell’art. 18 siano riser­vate a pochi e for­tu­nati pri­vi­le­giati dipen­denti a tempo inde­ter­mi­nato, oggi si deve rispon­dere con un discorso com­ples­sivo che metta in guar­dia da un gene­rale col­lasso del sistema di garan­zie che può deri­vare dallo scom­parso del sim­bolo delle lotte e delle con­qui­ste ope­raie.
Cre­ma­schi evi­den­zia che sba­raz­zan­dosi libe­ra­mente dei lavo­ra­tori, senza la fami­ge­rata giu­sta causa, i padroni sono auto­riz­zati a fare a meno di chi gua­da­gna più di una «riserva pre­ca­ria», di chi gode del diritto di malat­tia – insomma, hanno il potere di sgre­to­lare la rima­nenza del diritto per chi ancora lo pos­siede ed evi­tare che in futuro que­sta possa inte­res­sare il mondo pre­ca­rio di oggi. 
«Que­sto prov­ve­di­mento aggiunge fero­cia a fero­cia, non cam­bierà nulla nelle dimen­sioni della disoc­cu­pa­zione», avverte nelle con­clu­sioni l’autore, «non risol­verà uno solo dei pro­blemi pro­dut­tivi delle imprese, soprat­tutto di quelle più pic­cole che non hanno mai avuto l’articolo 18, ma che sono in crisi più delle grandi. Non posso cre­dere che gli alfieri del Jobs Act que­ste cose non le sap­piano (…) Credo invece che siano in com­pleta mala­fede, per­ché una legge per la fles­si­bi­lità totale del lavoro oggi signi­fica dav­vero solo una cosa: che il governo Renzi, come i cat­tivi di Hol­ly­wood, vuole solo stra­vin­cere con il lavoro e con i sindacati». 
Il punto, la bat­ta­glia insomma, è pro­prio que­sta. Capire che i sin­da­cati come li abbiamo sto­ri­ca­mente intesi oggi fati­cano ad essere un rife­ri­mento di classe ma che, al con­tempo, svol­gono una fun­zione che la con­tin­genza dell’oggi ancora non per­mette si esau­ri­sca. E non è attra­verso gli accordi alla meno peg­gio con il potente di turno che si potrà gua­da­gnare nuo­va­mente il rispetto della con­tro­parte e dei lavoratori.

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