domenica 2 novembre 2014

"Casta" o degenerazione della rappresentanza politica?


Usare l'espressione "casta" - è evidente ma bisogna ripeterlo - significa voler mistificare il fenomeno, confondere le responsabilità e le cause. Qui la profonda affinità tra il sovversivismo anglosassone delle classi dirigenti alla Rizzo & Stella e la reattività grillina. Non c'è in realtà nessuna casta: ci sono i ceti dominanti e i loro funzionari, con i privilegi che inevitabilmente si portano dietro. Il problema non sono i privilegi ma i rapporti di forza [SGA].

Filippo Maria Battaglia: Lei non sa chi ero io! La nascita della Casta in Italia, Bollati Boringhieri, pp. 74, euro 8

Risvolto

Siamo a Roma, nel 1946. Dopo le prime elezioni a suffragio universale, i deputati arrivano a Montecitorio. La maggior parte di loro stenta a trovare un alloggio e qualcuno è persino costretto a sedersi alle mense pubbliche. L’austerità dell’onorevole, però, dura un battito di ciglia. Tra consulenze fittizie, appalti truccati, scandali sessuali e finanziamenti statali, i tic e i vizi dei primi parlamentari italiani si rivelano molto presto simili, se non identici, a quelli di oggi. Persino le giustificazioni suonano incredibilmente familiari: «È accaduto a mia insaputa», «ho peccato di buonafede», «non ho visto una lira, ho girato tutti i soldi al partito». Lei non sa chi ero io! è l’implacabile resoconto degli sprechi dei primi vent’anni della Repubblica: una ricostruzione dettagliata della nascita della Casta, corredata da dati in parte inediti, che si concentra sui privilegi del sottobosco governativo, tra aiuti a industrie vicine alla politica, scandali finanziari tollerati dall’esecutivo, tangenti, finti monopoli, enti inutili e fondi neri. 
E poi ricatti incrociati, dossier segreti e tentativi di revisione della Costituzione a colpi di maggioranza. Un racconto ormai «storico», ma ancora così attuale da sembrare cronaca di questi giorni.

Filippo Maria Battaglia (Palermo, 1984), giornalista di «Sky TG24», vive a Milano. Ha scritto tra l’altro per le pagine culturali di «Panorama», «Il Foglio», «Il Giornale», e dell’edizione siciliana di «Repubblica». 
Ha pubblicato I sommersi e i dannati. La scrittura dispersa e dimenticata nel ‘900 italiano (2013), A sua insaputa. Autobiografia non autorizzata della Seconda Repubblica (con A. Giuffrè, 2013), Scusi, lei si sente italiano? (con P. Di Paolo, 2010) e Professione reporter. Il giornalismo d’inchiesta nell’Italia del dopoguerra (con B. Benvenuto, 2008). Ha inoltre curato diverse antologie giornalistiche, tra cui Facce da schiaffi di Fortebraccio (con B. Benvenuto, 2009).



«I soldi sono per il partito» Scandali e vizi della Casta 

2 nov 2014  Libero GIANLUCA VENEZIANI 
I vagiti di un ceto politico avvezzo ad abusare delle proprie prerogative si trasformano presto in scandali. Nel 1947 il ministro al Commercio estero Pietro Campilli, accusato di speculazione in Borsa, si difende dicendo che l’azione illecita è avvenuta a sua insaputa; allo stesso modo, il ministro al Bilancio e alle Finanze Ezio Vanoni, cui vengono contestate retribuzioni folli durante l’attività di commissario alla Banca dell’Agricoltura, sostiene che i soldi sono finiti quasi interamente al suo partito. Scuse, entrambe, destinate a fare scuola. 
Di accumulo di cariche, caratterizzate da palese conflitto di interessi, vengono invece additati, nel 1950, altri personaggi di spicco della Dc. A Giuseppe Spataro si obietta l’impossibilità di essere al contempo controllore e controllato, ossia ministro delle Poste e Telecomunicazioni e presidente della Rai; a Paolo Bonomi si fa notare l’inconciliabilità di due ruoli: capo dei consorzi agrari e presidente della Federazione coltivatori diretti. Ma la somma di poltrone, associata a stipendi d’oro, vitalizi ed esenzioni fiscali, diventerà subito un fenomeno diffuso, al punto che già nel 1950 don Luigi Sturzo parlerà del rischio di «voler creare o consolidare una casta» e nel 1963 Il Borghese stilerà un «dizionario del malcostume» politico. 
La Prima Repubblica è anche il tempo degli scandali sessuali. Alcuni sono dettati dall’eccessivo puritanesimo degli esponenti Dc. Celebre il caso di Oscar Luigi Scalfaro che si indigna al solo imbattersi in una signora, tale Edith Mingoni, che veste un abito di stoffa leggera con scollatura. «È uno schifo! Una cosa indegna!», tuona il futuro capo dello Stato. Per quelle offese viene sfidato a duello dal papà della Mingoni. Ma Scalfaro si rifiuta. Di ben più grossa portata la vicenda del 1953, che vede vittima la giovane Wilma Montesi e presunto reo il figlio di Attilio Piccioni, vicepresidente del Consiglio e delfino di De Gasperi. Per diversi anni si parla di un festino a base di coca e donne, finito male. Poi però tutte le accuse vengono archiviate e gli imputati assolti con formula piena. Quello scandalo segna nondimeno un precedente, inaugurando la storia dei dossieraggi interni ai partiti, al fine di eliminare nemici e dissidenti. Oltre a Piccioni - la cui carriera è stroncata dopo l’affaire Montesi - ne sono oggetto Mario Scelba, incastrato con una serie di foto che lo ritraggono in compagnia di una certa «signora Mariella»; e tutti i politici messi sotto controllo da Giovanni Gronchi, che raccoglie fascicoli «gonfi come doppi dizionari» sui possibili rivali, al fine di non essere ricattato per le sue scappatelle. 
È il 1946 e il giornalista Vittorio Zincone, in un articolo su L’Europeo, parla dei primi parlamentari della Repubblica, descrivendoli come «deputati poveri», che conducono una vita «assai grama» a Montecitorio, accontentandosi di una «mensa a buon mercato». Passa appena un anno e quella misera mensa diventa già un bar «sempre molto affollato» per ogni ministero, a cui aggiungere un salone di barbiere ad hoc per tutti i dicasteri. Primi segnali del consolidamento di uno zoccolo duro di potere legato alla politica, di cui dà conto Filippo Maria Battaglia nel bel saggio Lei non sa chi ero io! La nascita della Casta in Italia ( Bollati Boringhieri, pp. 74, euro 8).

Nessun commento: