Stefano Rodotà: Solidaretà. Un'utopia necessaria, Laterza pagg. 142, euro 14
Risvolto
Scardina barriere, demolisce la nuda logica del potere,costruisce legami.
Il principio di solidarietà è l’antidoto a un realismo rassegnato che non lascia speranze, che non lascia diritti.
La solidarietà è una pretesa anacronistica, inconsapevole di una
società divenuta liquida, perennemente segnata dal rischio, dilatata nel
globale? I principi appartengono al tempo delle grandi ‘narrazioni’
cancellate dalla post-modernità?
La solidarietà è un principio nominato in molte costituzioni, invocato
come regola nei rapporti sociali, è al centro di un nuovo concetto di
cittadinanza intesa come uguaglianza dei diritti che accompagnano la
persona ovunque sia. Appartiene a una logica inclusiva, paritaria,
irriducibile al profitto e permettela costruzione di legami sociali
nella dimensione propria dell’universalismo. Di legami, si può
aggiungere, fraterni, poiché la solidarietà si congiunge con la
fraternità. Nei tempi difficili è la forza delle cose a farne avvertire
il bisogno ineliminabile.
Solo la presenza effettiva dei segni della solidarietà consente di continuare a definire ‘democratico’ un sistema politico.
L’esperienza storica ci mostra che, se diventano difficili i tempi per la solidarietà, lo diventano pure per la democrazia.
La
sinistra pretende di essere superiore moralmente alla destra in quanto
altruista verso lo sconosciuto e lo straniero. Ma la solidarietà
astratta dimentica chi è vicinoMarcello Veneziani
- il Giornale Dom, 30/11/2014
Solidarietà la più fragile e necessaria delle utopieNel nuovo saggio Stefano Rodotà illustra il destino di un principio nobile ma debole che ritorna nell’era della disuguaglianzadi Roberto Esposito Repubblica 20.11.14
NEL
Gargantua e Pantagruel Rabelais racconta che, pronunciate nel freddo
dell’inverno, alcune parole gelano e non vengono più udite, per poi,
quando cambia la stagione, tornare a parlarci. È quanto sembra accadere
alla categoria di solidarietà, cui Stefano Rodotà dedica il suo ultimo
saggio, edito da Laterza col titolo Solidarietà. Un’utopia necessaria.
Dopo essere stata a lungo esiliata dalla sfera del discorso pubblico,
essa torna a riaffiorare con rinnovata attualità in una fase in cui il
lessico freddo della scienza politica sembra insufficiente a raccontare
la nostra vita.
Con la consueta competenza, congiunta a una
straordinaria passione civile, Rodotà ne percorre la genealogia,
analizzandone la storia complessa, fatta di slanci e ripiegamenti, di
arresti ed espansioni.
Teorizzata all’origine della stagione moderna
da La Boétie, Locke, Montesquieu come compenso al dispiegamento
dell’individualismo, essa è espressa dal principio di fraternità nella
triade rivoluzionaria, insieme a quelli di eguaglianza e di libertà. Già
da allora, tuttavia, la solidarietà appare più fragile delle altre due
nozioni, perché situata in un orizzonte più morale che politico. Segnata
dall’esperienza cristiana, piuttosto che alla giustizia, essa è spesso
ricondotta a un atteggiamento di carità nei confronti del prossimo. Così
nel proclama del 18 brumaio Napoleone la sostituisce con il paradigma
di proprietà. Rappresentata dalle rivendicazioni operaie nell’età della
rivoluzione industriale, la solidarietà assume un rilievo politico nel
primo dopoguerra, con la costituzione di Weimar. Ma è solamente dopo la
seconda guerra mondiale, alla creazione del Welfare, che essa viene
istituzionalizzata. Nella costituzione italiana in particolare il
principio di solidarietà, menzionato nel secondo articolo, acquista
consistenza nel rapporto con il doppio criterio del carattere fondante
del lavoro e della dignità del lavoratore.
Tuttavia ciò non basta a
consolidare stabilmente l’idea, e la pratica, di solidarietà. Rodotà non
perde mai di vista il nesso costitutivo tra concetti e storia, il modo
in cui la mutazione dei contesti, e anche dei rapporti di potere,
modifica la prospettiva dei soggetti individuali e collettivi. La reale
forza di un concetto non sta nella sua fissità, ma nella sua capacità di
trasformarsi in base al mutamento dell’orizzonte in cui è situato.
Collocato nel punto di incrocio, e di tensione, tra i piani dell’etica,
del diritto e della politica, il criterio di solidarietà deve
continuamente allargare i propri confini per riempire le forme sempre
nuove che assume la politica. Se fino agli anni Settanta essa riguarda
essenzialmente la sfera dello Stato – definito perciò, con un termine
inadeguato e restrittivo, “assistenziale” – già dopo un decennio deve
misurarsi con i processi di globalizzazione.
Ma proprio qui sta la
difficoltà. È possibile trasferire la solidarietà dall’ambito nazionale a
quello globale? Come superare le differenze che la globalizzazione non
riduce, ma intensifica? Cosa può significare una solidarietà di tipo
cosmopolitico? Come Rodotà ben dimostra con una fitta serie di rimandi
ai Trattati e alle Carte costituzionali, in politica i processi di
allargamento della cittadinanza non sono mai lineari. Anzi spesso
subiscono intoppi e strappi che li mettono radicalmente in questione. A
partire dall’Europa, vincolata a politiche di austerità che tendono
inevitabilmente a schiacciare i membri più deboli sulla parete di un
debito impossibile da scalare.
Quella che oggi è in corso è una vera
battaglia che attraversa i confini degli Stati lungo faglie
transnazionali. Da un lato coloro che rivendicano una
costituzionalizzazione della solidarietà mediante politiche capaci di
ridurre lo scarto tra privilegi degli uni e sacrifici degli altri;
dall’altro le grandi centrali finanziarie che cercano di neutralizzare
lo stesso principio di solidarietà, limitandone gli effetti, riducendone
la portata, spoliticizzandone gli strumenti.
Un punto di resistenza a
tale riduzione è costituito, per Rodotà, dalla categoria di “persona”,
valida per ciascuno e chiunque, al di là della sua specifica condizione.
E perciò paradossalmente coincidente con il principio di impersonalità.
Il fatto che, ad esempio, nelle donazioni di organi o del seme, il
donatario non debba conoscere l’identità del donatore, costituisce il
culmine dell’atto di solidarietà. Se a donare è sempre una persona ad
un’altra persona, a proteggere quel dono da qualsiasi tipo di interesse
personale è la sua modalità anonima ed impersonale. Come ricorda Rodotà,
all’origine della nostra storia il mistero di questo eccesso è narrato
nella parabola del samaritano: la vera solidarietà non sta nell’amore
del prossimo e del conosciuto, ma dello straniero e dello sconosciuto.
La parola chiave di Stefano Rodotà
Stefano Rodotà. Un'intervista al giurista italiano in occasione dell'uscita del nuovo saggio sulla solidarietà. Un concetto e una pratica da riscoprire nel lungo inverno della crisi. E un possibile strumento per dare forma politica alla critica del neoliberismoRoberto Ciccarelli, il Manifesto 5.12.2014
La solidarietà è un’utopia necessaria. Stefano
Rodotà spiega il titolo del suo nuovo libro (Laterza, pp. 141, 14 euro)
con la storia di Sandra, l’operaia interpretata da Marion Cotillard
nel film Due giorni e una notte dei fratelli Dardenne. «Nel film c’è
la scomparsa della solidarià tra persone che lavorano nella stessa
fabbrica e l’impossibilità di riaffermarla — racconta Rodotà —
Sandra dice di non volere “fare la mendicante” quando chiede ai suoi
compagni di lavoro di rinunciare al bonus di mille euro per impedire
il suo licenziamento. C’è un referendum che ha un esito negativo.
Sandra però riacquista la sua dignità perché respinge la proposta
di essere riassunta a tempo pieno al posto di un giovane collega
africano precario con un contratto a termine. La solidarietà
verso questo giovane, che ha votato per lei pur sapendo che l’avrebbe
danneggiato, restituisce la dignità dell’essere. Sandra scopre che
attraverso la lotta può riaffermare la solidarietà. Nel film c’è
un compendio di quello che stiamo vivendo».
Perché si torna a parlare di solidarietà?
La crisi economica ha fatto crescere le diseguaglianze e ha
diffuso le povertà. Affidarsi alle forze del mercato è un’opzione
debole ben al di sotto della necessità di trovare nuovi principi di
riferimento. La solidarietà riemerge nei modi più diversi e supera
le distanze esistenti. Ad esempio nel discorso sulle pensioni quando
si pone il problema della solidarietà tra le generazioni. Nella
salute dove non è possibile limitarsi all’oggi per garantire le
condizioni minime di vita. Non è un processo facile. Nelle
situazioni di difficoltà le distanze possono crescere insieme
all’impossibilità di essere solidali.
Si può essere solidali nelle periferie di Roma o Milano tra crisi, sentimenti xenofobi e sgomberi delle case occupate?
A me sembra che questi conflitti siano indotti anche da chi vuole
sfruttare le tensioni esistenti. Ma c’è un’altra ragione: finché le
persone erano in condizione di pagare una casa non ritenevano
intollerabile il fatto che ci fosse qualcuno in difficoltà che
occupava un alloggio o non pagava l’affitto di una casa popolare. Con
la crisi ci si è ritrovati in una situazione conflittuale. Pagare
un affitto è intollerabile, mentre altri non lo pagano. Le
condizioni materiali della solidarietà sembrano distrutte, mentre
registriamo un rovesciamento del principio: si costruiscono
solidarietà di prossimità o vicinanza e si diventa solidali con
chi rifiuta la solidarietà agli altri, ai più lontani, agli
stranieri o ai rom.
Qual è la sua definizione di solidarietà?
Mi sembra che il commento di Luigi Zoja sulla parabola del buon
samaritano sia calzante. Qui Cristo mostra il contenuto
rivoluzionario del suo messaggio: bisogna amare lo straniero,
non il prossimo. Amare lo straniero è il punto chiave della
solidarietà. La solidarietà per vicinanza, per appartenenza, sono
facili. La solidarietà dev’essere praticata in tempi difficili
che spingono anche a rotture. Se viene abbandonata, vengono meno le
condizioni minime della democrazia, cioè il riconoscimento
reciproco e la pace sociale. Con Jürgen Habermas dico che la
solidarietà è un principio che può eliminare l’odio tra gli stati
ricchi e quelli poveri. La solidarietà serve infatti a individuare
i fondamenti di un ordine giuridico mancando il quale tutte le
nostre difficoltà si esasperano sul terreno personale e su quello
sociale. La solidarietà è, infine, una pratica che mette al centro
i diritti sociali. Questo è un altro punto del libro: i diritti sociali
non possono essere separati dagli altri.
Qual è stato il contributo del movimento operaio alla storia della solidarietà?
L’Internazionale ha mostrato che la solidarietà non è un
sentimento generico di compassione nei confronti dell’altro, né un
elemento storicamente indeterminato. La solidarietà dei
moderni è una costruzione che ha avuto sempre bisogno di un soggetto
storico. Quello per eccellenza è stato il movimento operaio. C’è un
canto rivoluzionario che dice: «Sebben che siamo donne, paura non
abbiamo, per amor dei nostri figli, in lega ci mettiamo». Qui c’è la
consapevolezza orgogliosa della dignità delle donne che diventa
principio di azione collettiva. Su questi principi gli esclusi si
sono autorganizzati, le loro leghe hanno permesso ai socialisti
e ai cristiani di trovare punti di convergenza non
compromissoria. Nell’Internazionale si voleva costruire un’umanità
che non era la somma di persone, ma la congiunzione di una serie di
soggetti che agiscono collettivamente in vista di un interesse
comune. Questo ha portato al riconoscimento dell’esistenza libera
e dignitosa di cui parla la nostra Costituzione.
Lo Stato sociale ha modificato questa idea del movimento
operaio. La sua crisi permetterà alla solidarietà di sopravvivere?
Ragionare sulla solidarietà come principio significa
riconoscerne la storicità. La solidarietà c’era prima dello stato
sociale e ci sarà anche dopo. Per questo oggi si può dire che è il
principio di riferimento per la ricostruzione del tessuto
politico istituzionale e sociale. La solidarietà va ripensata
oltre lo stato sociale. Per questo è essenziale fondare un nuovo
spazio costituzionale europeo ispirato a questo principio.
In che modo si può costruire uno spazio simile?
Il riferimento è alla carta dei diritti fondamentali dell’Unione
Europea, la Carta di Nizza alla cui scrittura ho partecipato.
Quella carta nacque nel 1999, in una temperie politica e culturale
diversa da quella attuale. Allora si voleva andare oltre lo stato
sociale nazionale e si fece una diagnosi più radicale di quella che
generalmente si fa oggi sull’Europa. L’Unione europea non ha solo un
deficit di democrazia, ma un deficit di legittimità. Questo
deficit può essere recuperato attraverso i diritti fondamentali,
ispirati alla dignità e alla solidarietà, e non al mercato. Ricordo
che i laburisti di Tony Blair fecero molta resistenza e si opposero
persino al diritto di sciopero. A tanto era arrivata la loro rottura
con la tradizione operaia. So bene che sulla Carta di Nizza ci sono
state polemiche. Oggi dovrebbe però far pensare il fatto che è stata
messa da parte quando all’Europa è stata imposta un’altra
costituzione basata sulle politiche dell’austerità.
Esiste un soggetto capace di riportare la solidarietà al centro dell’attenzione?
Siamo legati ad una modernità che ha riconosciuto il creatore di
diritti in un soggetto sociale: la borghesia fece nascere i diritti
civili, gli operai quelli sociali. Poi c’è stata una scomposizione
dei soggetti, si è parlato di una classe precaria, di quella degli
hacker. Ci sono altre definizioni che dimostrano l’esistenza di
condizioni umane che superano il fatto personale e sono fatti
politici. Ma da sole non bastano. Per questo la solidarietà
è importante. Questa è la dimensione utopica: è la condizione che
ci permette di non rassegnarci alla frammentazione sociale e ai
meccanismi di esclusione.
Il reddito universale può essere considerato uno strumento per affermare la solidarietà a livello europeo?
Ne sono convinto. Molti sostengono che entra in contraddizione
con l’articolo 1 della nostra costituzione. C’è un’altra obiezione:
il riconoscimento del reddito affievolisce la lotta per il
lavoro. In queste prospettive vedo un errore. Si considera che la
disoccupazione sia sempre una fase transitoria e la piena
occupazione resta un obiettivo a portata di mano. Ma questi
discorsi oggi sono lontanissimi. Del reddito universale
è possibile fornire varie gradazioni: da quello minimo a quello di
base. Tutte possono essere usata per liberare i singoli dal ricatto
del lavoro precario o non pagato; a condurre un’esistenza libera
e dignitosa; a eliminare la competizione tra i poveri.
Montesquieu diceva che abbiamo bisogno di istituzioni, non di
promesse né di carità. Il reddito universale dimostra che la
solidarietà è un’utopia profondamente piantata nella realtà.
L’attitudine che ricostruisce il legame sociale
Non stiamo tornando alle origini, avverte Rodotà. Eppure la durezza
della crisi economica induce a confondere la solidarietà con
l’assistenzialismo o la pura beneficenza. Ai più deboli viene negata
la loro qualità di soggetti di diritto, mentre la loro dipendenza
sociale viene istituzionalizzata. Si parla di «poveri», e non di
vittime della lotta di classe. La loro situazione viene affrontata
con la logica del dono, mentre invece bisogna riscoprire gli
strumenti dell’organizzazione politica e dell’emancipazione degli
oppressi. Bisogna trovare cioè un’alternativa al «comunitarismo»,
l’opzione politica dei populisti per i quali la piccola patria dei
simili si rafforza contro gli stranieri e i più deboli tra i deboli.
La solidarietà va ripensata in un contesto almeno europeo,
l’unico possibile per evitare di alimentare la frammentazione
sociale generale. L’utopia concreta di Rodotà si nutre di un pensiero
cosmopolita, considera l’umanità come parte agente di un disegno
politico universale, non il rifugio nelle vecchie sovranità dello
Stato nazione. Come sempre in Rodotà, politica e costituzione,
pratiche e principi giuridici, legami sociali e parità dei diritti,
camminano insieme.
Ripercorrendo la storia del movimento operaio, il giurista
valorizza la solidarietà degli oppressi che sprigiona una forza
dinamica che trascina oltre la logica della fratellanza. A sinistra
tale solidarietà è stata considerata uno strumento troppo debole
per scalfire l’ordine dominante. Rodotà propone una
controargomentazione convincente: senza questo legame non
esiste una forza sociale. Questa forza non impone un principio
alternativo rispetto alle relazioni commerciali e non afferma
valori irriducibili alla mera convenienza economica.
La domanda principale di questo libro è sul soggetto
protagonista della solidarietà. Per lungo tempo la sua posizione
è stata ricoperta dalla classe operaia. La solidarietà permise di
superare la sua eterogeneità, la spinse alla cooperazione e ad
affermare i diritti sociali. Oggi questo ruolo propulsivo è venuto
meno. Rodotà avanza una tesi: ieri, come oggi, la solidarietà è una
pratica che riforma i legami, ricompone un soggetto
necessariamente più ampio del precedente, produce un’attitudine
cooperativa lì dove sembra scomparsa. La solidarietà è «un
movimento» che mantiene l’orizzonte aperto oltre le miserie del
presente. Questo è un antidoto al realismo dei rapporti di forza
che demoliscono la nuda logica del potere.
La dignità non è nel Fiscal Compact
Di questi connettivi Rodotà sceglie la solidarietà, il più
complesso (a questo proposito il rinvio è all’intervista
rilasciata a Roberto Ciccarelli sulle pagine di questo giornale il
4 dicembre). Complesso perché ha una storia particolarmente
intrecciata con quella di altri connettivi. Complessa perché
matrici diverse la hanno motivata come propria derivazione,
connotandola con le relative impronte, intanto che altri
connettivi provavano ad assorbirla. Naturalità, moralità,
carità, assistenza, beneficenza, fraternità, doverosità, diritto,
eguaglianza e gratuità lambiscono, investono, assumono la
solidarietà e la interpretano curvandola al loro spirito ed
essenza. Ognuna di esse, in verità, ha svolto un ruolo che va
riconosciuto almeno come rivelazione della possibilità e della
pratica di un’esigenza umana mai del tutto sradicata.
Rodotà ne fa la storia degli ultimi secoli e ne descrive le movenze
e i ruoli collaterali che ha svolto e anche le valenze strumentali
che ha saputo esprimere. Ma sa distinguere, separare, sa
individuare le impronte che possono come assorbirla ed esaurirne —
e anche degradarne — l’essenza. Sa, soprattutto, scegliere il
fondamento sicuro su cui costruire la solidarietà come principio.
È quello del diritto, della norma giuridica. Prosegue così l’alto
e nobile insegnamento di quel padre del costituzionalismo che
formulava la prima enunciazione dei diritti sociali attribuendo
allo stato gli obblighi di offrire a «tutti i cittadini la
sussistenza assicurata, il nutrimento, un abbigliamento decente,
e un genere di vita che non sia dannoso alla salute», Montesquieu.
La solidarietà è così che si concretizza. Per
poter essere principio giuridico, deve poi dispiegarsi in diritti.
È il modo in cui si libera dalle tante impronte che la hanno segnata. Da
quelle impresse da una incerta naturalità, dalla inerme moralità,
dalla doverosità a irritante garanzia della proprietà, dalla
evanescente fraternità, a quelle, inesorabilmente
mortificanti, della carità, della assistenza e della beneficenza.
È il modo in cui si eleva a fonte rivendicativa della dignità umana.
Ma ha di fronte il mondo della globalizzazione. Che è quello del
mercato capitalistico, perciò della proprietà privata e del
profitto, del trionfo dell’una e dell’altra da trent’anni celebrato
senza pause e senza limiti alla devastazione delle conquiste di
civiltà che l’idea e le forze della solidarietà avevano raggiunto.
È il mondo della barbarie postmoderna.
Rodotà non lo accetta, invita a riflettere sulla
tortuosa storia della solidarietà, sulle politiche sociali che
furono imposte dalle forze che ne avevano necessità e che ebbero
ascolto nelle dottrine giuridiche e politiche che ne reclamarono
forme di riconoscimento. Forme diversificate che andavano dal
corporativo, al caritatevole, al compassionevole, al
mutualismo contadino ed operaio. E che, pur nei limiti e con le
torsioni che le caratterizzavano, testimoniano tuttavia una
possibilità di affermazione pluralistica del principio.
Consentendo in tal modo che per «l’adempimento dei doveri
inderogabili di solidarietà politica economica e sociale»
dell’articolo 2 della Costituzione, all’insostituibile e prevalente
azione istituzionale possano aggiungersi iniziative sociali
(volontariato, terzo settore) alla base della forma-stato. A questo
proposito, va riconosciuto a Rodotà il merito di proporre
un’interpretazione di quest’articolo della Costituzione che,
nell’affermare che la Repubblica «richiede» l’adempimento dei doveri
della solidarietà, estende al massimo i destinatari della norma,
universalizza la sua efficacia.
Affronta la questione del Welfare State, della sua origine e crisi.
Ne ricostruisce la molteplicità dei significati, mostra come
e perché il Welfare denomina una specifica forma di stato
costruendola proprio intorno alla solidarietà. Una forma di stato
che, a partire dai principi fondamentali che furono enunciati nei
primi articoli della nostra Costituzione e proseguendone il
disegno normativo per la forma-stato della contemporaneità,
ridefinisce la persona umana come centro di riferimento della
solidarietà, sia come titolare del diritto sia come destinatario
del dovere di solidarietà. La ridefinisce in termini di
cittadinanza tanto comprensiva di diritti integrati l’un l’altro
da assicurare il ben-essere, l’autodeterminazione, cioè il potere di
crearsi un’esistenza dignitosa, a progettarla come credibile
prospettiva, a viverla come effettiva condizione umana.
Ma quando, dove, come? Di cos’altro è indice, in quale contesto la
si può concretizzare, con quale altro prodotto storico, per essere
stata storicamente determinata, la solidarietà può e deve
convivere? Chi può assicurarla nella materialità dei rapporti
umani esistenti, chi la può sostenere alla base degli ordinamenti
giuridici vigenti, insomma, di quale e quanta forza sociale dispone la
solidarietà oggi?
Rodotà non nasconde affatto che il produttore storico della
solidarietà, degli istituti che la hanno concretizzata, dei
diritti che ha generato, il movimento operaio, insomma, è stato
frantumato e che non c’ è più nessuno in grado di contenere
e respingere le pretese e l’arbitrio dei costruttori del «nuovo
ordinamento normativo governato da un potere sovrano, quello delle
grandi società transnazionali che davvero si pongono come il
soggetto storico della fase presente». La fase cioè dell’avvento
e del consolidamento del dominio globale del capitalismo
neoliberista, il nemico storico e strutturale della solidarietà.
Cosa opporgli che sia credibile e perciò
consentaneo, collegabile, corrispondente anche nella
prospettiva dell’esigenza sempre più pressante
dell’universalizzazione della solidarietà? Rodotà non deflette dalla
più rigorosa coerenza con le premesse, e le scommesse, da cui parte.
Non credendo alla emersione di soggetti storici che possano, nel
breve periodo, riprendere con successo la lotta del movimento
operaio per la solidarietà, intravede però focolai di resistenza
e di contrasto al potere sovrano delle centrali transnazionali del
capitalismo neoliberista.
Al sociale frantumato, al politico servente l’economico per aver
abdicato a suo favore, il giuridico gli sembra confermarsi come
credibile potenziale di produzione della solidarietà. In una
sentenza recentissima della Corte di giustizia dell’Ue scorge una
sorta di rivendicazione della prevalenza dei diritti
fondamentali riconosciuti dalla Carta di Nizza sull’interesse
economico di una corporation transnazionale della forza di
Google. Attribuisce a questa sentenza l’efficacia costitutiva di
«una nuova gerarchia fondata sui principi… espressi dai diritti
fondamentali». Come se, per incanto, rovesciando la sua
giurisprudenza di favore al principio della concorrenza e a danno
dei diritti del lavoro, la Corte di Lussemburgo avesse abrogato
quella che Rodotà chiama la «contro costituzione» dell’Ue, fondata
sul Fiscal Compact e che, invece, io credo che sia la vera
«costituzione» europea. Come se, la stessa Corte, avesse anche
espunto dal Trattato sul funzionamento dell’Ue le norme che
impongono come vincolo assoluto della dinamica e come fine
dell’Unione «l’economia di mercato aperta ed in libera concorrenza».
Qui l’amore paterno dell’eccellente ma non solitario legislatore
della Carta di Nizza ha fatto aggio sull’acutissimo spirito critico
del giurista.
Ma, a riflettere, chissà: questa
interpretazione-ricostruzione operata da Rodotà potrebbe anche
assumere valore preconizzante di un processo che l’astuzia della
storia del diritto futuro, grazie ad una raffinatissima
ermeneutica, con tacite abrogazioni e provvide addizioni,
consenta che i principi che Rodotà ha ridefinito acquistino
effettività giuridica. Sicché da «utopia necessaria» diventi
esperienza vivente quella solidarietà che il movimento operaio si
inventò e che Rodotà ricorda come rapporto tra eguali e perciò
autentica. Affiora così il tema dell’eguaglianza. Quello sul quale chi
scrive sta aspettando il maggior defensor dei diritti del nostro
tempo.
Nessun commento:
Posta un commento