giovedì 20 novembre 2014

I buoni sentimenti della sinistra complementare secondo l'ex presidente del Pds Stefano Rodotà

Solidarietà
Stefano Rodotà: Solidaretà. Un'utopia necessaria, Laterza pagg. 142, euro 14

Risvolto
Scardina barriere, demolisce la nuda logica del potere,costruisce legami.

Il principio di solidarietà è l’antidoto a un realismo rassegnato che non lascia speranze, che non lascia diritti.
La solidarietà è una pretesa anacronistica, inconsapevole di una società divenuta liquida, perennemente segnata dal rischio, dilatata nel globale? I principi appartengono al tempo delle grandi ‘narrazioni’ cancellate dalla post-modernità?
La solidarietà è un principio nominato in molte costituzioni, invocato come regola nei rapporti sociali, è al centro di un nuovo concetto di cittadinanza intesa come uguaglianza dei diritti che accompagnano la persona ovunque sia. Appartiene a una logica inclusiva, paritaria, irriducibile al profitto e permettela costruzione di legami sociali nella dimensione propria dell’universalismo. Di legami, si può aggiungere, fraterni, poiché la solidarietà si congiunge con la fraternità. Nei tempi difficili è la forza delle cose a farne avvertire il bisogno ineliminabile.

Solo la presenza effettiva dei segni della solidarietà consente di continuare a definire ‘democratico’ un sistema politico.

L’esperienza storica ci mostra che, se diventano difficili i tempi per la solidarietà, lo diventano pure per la democrazia.

La sinistra pretende di essere superiore moralmente alla destra in quanto altruista verso lo sconosciuto e lo straniero. Ma la solidarietà astratta dimentica chi è vicinoMarcello Veneziani - il Giornale Dom, 30/11/2014

NEL Gargantua e Pantagruel Rabelais racconta che, pronunciate nel freddo dell’inverno, alcune parole gelano e non vengono più udite, per poi, quando cambia la stagione, tornare a parlarci. È quanto sembra accadere alla categoria di solidarietà, cui Stefano Rodotà dedica il suo ultimo saggio, edito da Laterza col titolo Solidarietà. Un’utopia necessaria. Dopo essere stata a lungo esiliata dalla sfera del discorso pubblico, essa torna a riaffiorare con rinnovata attualità in una fase in cui il lessico freddo della scienza politica sembra insufficiente a raccontare la nostra vita.

Con la consueta competenza, congiunta a una straordinaria passione civile, Rodotà ne percorre la genealogia, analizzandone la storia complessa, fatta di slanci e ripiegamenti, di arresti ed espansioni.

Teorizzata all’origine della stagione moderna da La Boétie, Locke, Montesquieu come compenso al dispiegamento dell’individualismo, essa è espressa dal principio di fraternità nella triade rivoluzionaria, insieme a quelli di eguaglianza e di libertà. Già da allora, tuttavia, la solidarietà appare più fragile delle altre due nozioni, perché situata in un orizzonte più morale che politico. Segnata dall’esperienza cristiana, piuttosto che alla giustizia, essa è spesso ricondotta a un atteggiamento di carità nei confronti del prossimo. Così nel proclama del 18 brumaio Napoleone la sostituisce con il paradigma di proprietà. Rappresentata dalle rivendicazioni operaie nell’età della rivoluzione industriale, la solidarietà assume un rilievo politico nel primo dopoguerra, con la costituzione di Weimar. Ma è solamente dopo la seconda guerra mondiale, alla creazione del Welfare, che essa viene istituzionalizzata. Nella costituzione italiana in particolare il principio di solidarietà, menzionato nel secondo articolo, acquista consistenza nel rapporto con il doppio criterio del carattere fondante del lavoro e della dignità del lavoratore.
Tuttavia ciò non basta a consolidare stabilmente l’idea, e la pratica, di solidarietà. Rodotà non perde mai di vista il nesso costitutivo tra concetti e storia, il modo in cui la mutazione dei contesti, e anche dei rapporti di potere, modifica la prospettiva dei soggetti individuali e collettivi. La reale forza di un concetto non sta nella sua fissità, ma nella sua capacità di trasformarsi in base al mutamento dell’orizzonte in cui è situato. Collocato nel punto di incrocio, e di tensione, tra i piani dell’etica, del diritto e della politica, il criterio di solidarietà deve continuamente allargare i propri confini per riempire le forme sempre nuove che assume la politica. Se fino agli anni Settanta essa riguarda essenzialmente la sfera dello Stato – definito perciò, con un termine inadeguato e restrittivo, “assistenziale” – già dopo un decennio deve misurarsi con i processi di globalizzazione.
Ma proprio qui sta la difficoltà. È possibile trasferire la solidarietà dall’ambito nazionale a quello globale? Come superare le differenze che la globalizzazione non riduce, ma intensifica? Cosa può significare una solidarietà di tipo cosmopolitico? Come Rodotà ben dimostra con una fitta serie di rimandi ai Trattati e alle Carte costituzionali, in politica i processi di allargamento della cittadinanza non sono mai lineari. Anzi spesso subiscono intoppi e strappi che li mettono radicalmente in questione. A partire dall’Europa, vincolata a politiche di austerità che tendono inevitabilmente a schiacciare i membri più deboli sulla parete di un debito impossibile da scalare.
Quella che oggi è in corso è una vera battaglia che attraversa i confini degli Stati lungo faglie transnazionali. Da un lato coloro che rivendicano una costituzionalizzazione della solidarietà mediante politiche capaci di ridurre lo scarto tra privilegi degli uni e sacrifici degli altri; dall’altro le grandi centrali finanziarie che cercano di neutralizzare lo stesso principio di solidarietà, limitandone gli effetti, riducendone la portata, spoliticizzandone gli strumenti.

Un punto di resistenza a tale riduzione è costituito, per Rodotà, dalla categoria di “persona”, valida per ciascuno e chiunque, al di là della sua specifica condizione. E perciò paradossalmente coincidente con il principio di impersonalità. Il fatto che, ad esempio, nelle donazioni di organi o del seme, il donatario non debba conoscere l’identità del donatore, costituisce il culmine dell’atto di solidarietà. Se a donare è sempre una persona ad un’altra persona, a proteggere quel dono da qualsiasi tipo di interesse personale è la sua modalità anonima ed impersonale. Come ricorda Rodotà, all’origine della nostra storia il mistero di questo eccesso è narrato nella parabola del samaritano: la vera solidarietà non sta nell’amore del prossimo e del conosciuto, ma dello straniero e dello sconosciuto.
La parola chiave di Stefano Rodotà
Stefano Rodotà. Un'intervista al giurista italiano in occasione dell'uscita del nuovo saggio sulla solidarietà. Un concetto e una pratica da riscoprire nel lungo inverno della crisi. E un possibile strumento per dare forma politica alla critica del neoliberismoRoberto Ciccarelli, il Manifesto 5.12.2014
La soli­da­rietà è un’utopia neces­sa­ria. Ste­fano Rodotà spiega il titolo del suo nuovo libro (Laterza, pp. 141, 14 euro) con la sto­ria di San­dra, l’operaia inter­pre­tata da Marion Cotil­lard nel film Due giorni e una notte dei fra­telli Dar­denne. «Nel film c’è la scom­parsa della soli­da­rià tra per­sone che lavo­rano nella stessa fab­brica e l’impossibilità di riaf­fer­marla — rac­conta Rodotà — San­dra dice di non volere “fare la men­di­cante” quando chiede ai suoi com­pa­gni di lavoro di rinun­ciare al bonus di mille euro per impe­dire il suo licen­zia­mento. C’è un refe­ren­dum che ha un esito nega­tivo. San­dra però riac­qui­sta la sua dignità per­ché respinge la pro­po­sta di essere rias­sunta a tempo pieno al posto di un gio­vane col­lega afri­cano pre­ca­rio con un con­tratto a ter­mine. La soli­da­rietà verso que­sto gio­vane, che ha votato per lei pur sapendo che l’avrebbe dan­neg­giato, resti­tui­sce la dignità dell’essere. San­dra sco­pre che attra­verso la lotta può riaf­fer­mare la soli­da­rietà. Nel film c’è un com­pen­dio di quello che stiamo vivendo».
Per­ché si torna a par­lare di solidarietà?
La crisi eco­no­mica ha fatto cre­scere le dise­gua­glianze e ha dif­fuso le povertà. Affi­darsi alle forze del mer­cato è un’opzione debole ben al di sotto della neces­sità di tro­vare nuovi prin­cipi di rife­ri­mento. La soli­da­rietà rie­merge nei modi più diversi e supera le distanze esi­stenti. Ad esem­pio nel discorso sulle pen­sioni quando si pone il pro­blema della soli­da­rietà tra le gene­ra­zioni. Nella salute dove non è pos­si­bile limi­tarsi all’oggi per garan­tire le con­di­zioni minime di vita. Non è un pro­cesso facile. Nelle situa­zioni di dif­fi­coltà le distanze pos­sono cre­scere insieme all’impossibilità di essere solidali.
Si può essere soli­dali nelle peri­fe­rie di Roma o Milano tra crisi, sen­ti­menti xeno­fobi e sgom­beri delle case occupate?
A me sem­bra che que­sti con­flitti siano indotti anche da chi vuole sfrut­tare le ten­sioni esi­stenti. Ma c’è un’altra ragione: fin­ché le per­sone erano in con­di­zione di pagare una casa non rite­ne­vano intol­le­ra­bile il fatto che ci fosse qual­cuno in dif­fi­coltà che occu­pava un allog­gio o non pagava l’affitto di una casa popo­lare. Con la crisi ci si è ritro­vati in una situa­zione con­flit­tuale. Pagare un affitto è intol­le­ra­bile, men­tre altri non lo pagano. Le con­di­zioni mate­riali della soli­da­rietà sem­brano distrutte, men­tre regi­striamo un rove­scia­mento del prin­ci­pio: si costrui­scono soli­da­rietà di pros­si­mità o vici­nanza e si diventa soli­dali con chi rifiuta la soli­da­rietà agli altri, ai più lon­tani, agli stra­nieri o ai rom.
Qual è la sua defi­ni­zione di solidarietà?
Mi sem­bra che il com­mento di Luigi Zoja sulla para­bola del buon sama­ri­tano sia cal­zante. Qui Cri­sto mostra il con­te­nuto rivo­lu­zio­na­rio del suo mes­sag­gio: biso­gna amare lo stra­niero, non il pros­simo. Amare lo stra­niero è il punto chiave della soli­da­rietà. La soli­da­rietà per vici­nanza, per appar­te­nenza, sono facili. La soli­da­rietà dev’essere pra­ti­cata in tempi dif­fi­cili che spin­gono anche a rot­ture. Se viene abban­do­nata, ven­gono meno le con­di­zioni minime della demo­cra­zia, cioè il rico­no­sci­mento reci­proco e la pace sociale. Con Jür­gen Haber­mas dico che la soli­da­rietà è un prin­ci­pio che può eli­mi­nare l’odio tra gli stati ric­chi e quelli poveri. La soli­da­rietà serve infatti a indi­vi­duare i fon­da­menti di un ordine giu­ri­dico man­cando il quale tutte le nostre dif­fi­coltà si esa­spe­rano sul ter­reno per­so­nale e su quello sociale. La soli­da­rietà è, infine, una pra­tica che mette al cen­tro i diritti sociali. Que­sto è un altro punto del libro: i diritti sociali non pos­sono essere sepa­rati dagli altri.
Qual è stato il con­tri­buto del movi­mento ope­raio alla sto­ria della solidarietà?
L’Internazionale ha mostrato che la soli­da­rietà non è un sen­ti­mento gene­rico di com­pas­sione nei con­fronti dell’altro, né un ele­mento sto­ri­ca­mente inde­ter­mi­nato. La soli­da­rietà dei moderni è una costru­zione che ha avuto sem­pre biso­gno di un sog­getto sto­rico. Quello per eccel­lenza è stato il movi­mento ope­raio. C’è un canto rivo­lu­zio­na­rio che dice: «Seb­ben che siamo donne, paura non abbiamo, per amor dei nostri figli, in lega ci met­tiamo». Qui c’è la con­sa­pe­vo­lezza orgo­gliosa della dignità delle donne che diventa prin­ci­pio di azione col­let­tiva. Su que­sti prin­cipi gli esclusi si sono autor­ga­niz­zati, le loro leghe hanno per­messo ai socia­li­sti e ai cri­stiani di tro­vare punti di con­ver­genza non com­pro­mis­so­ria. Nell’Internazionale si voleva costruire un’umanità che non era la somma di per­sone, ma la con­giun­zione di una serie di sog­getti che agi­scono col­let­ti­va­mente in vista di un inte­resse comune. Que­sto ha por­tato al rico­no­sci­mento dell’esistenza libera e digni­tosa di cui parla la nostra Costituzione.
Lo Stato sociale ha modi­fi­cato que­sta idea del movi­mento ope­raio. La sua crisi per­met­terà alla soli­da­rietà di sopravvivere?
Ragio­nare sulla soli­da­rietà come prin­ci­pio signi­fica rico­no­scerne la sto­ri­cità. La soli­da­rietà c’era prima dello stato sociale e ci sarà anche dopo. Per que­sto oggi si può dire che è il prin­ci­pio di rife­ri­mento per la rico­stru­zione del tes­suto poli­tico isti­tu­zio­nale e sociale. La soli­da­rietà va ripen­sata oltre lo stato sociale. Per que­sto è essen­ziale fon­dare un nuovo spa­zio costi­tu­zio­nale euro­peo ispi­rato a que­sto principio.
In che modo si può costruire uno spa­zio simile?
Il rife­ri­mento è alla carta dei diritti fon­da­men­tali dell’Unione Euro­pea, la Carta di Nizza alla cui scrit­tura ho par­te­ci­pato. Quella carta nac­que nel 1999, in una tem­pe­rie poli­tica e cul­tu­rale diversa da quella attuale. Allora si voleva andare oltre lo stato sociale nazio­nale e si fece una dia­gnosi più radi­cale di quella che gene­ral­mente si fa oggi sull’Europa. L’Unione euro­pea non ha solo un defi­cit di demo­cra­zia, ma un defi­cit di legit­ti­mità. Que­sto defi­cit può essere recu­pe­rato attra­verso i diritti fon­da­men­tali, ispi­rati alla dignità e alla soli­da­rietà, e non al mer­cato. Ricordo che i labu­ri­sti di Tony Blair fecero molta resi­stenza e si oppo­sero per­sino al diritto di scio­pero. A tanto era arri­vata la loro rot­tura con la tra­di­zione ope­raia. So bene che sulla Carta di Nizza ci sono state pole­mi­che. Oggi dovrebbe però far pen­sare il fatto che è stata messa da parte quando all’Europa è stata impo­sta un’altra costi­tu­zione basata sulle poli­ti­che dell’austerità.
Esi­ste un sog­getto capace di ripor­tare la soli­da­rietà al cen­tro dell’attenzione?
Siamo legati ad una moder­nità che ha rico­no­sciuto il crea­tore di diritti in un sog­getto sociale: la bor­ghe­sia fece nascere i diritti civili, gli ope­rai quelli sociali. Poi c’è stata una scom­po­si­zione dei sog­getti, si è par­lato di una classe pre­ca­ria, di quella degli hac­ker. Ci sono altre defi­ni­zioni che dimo­strano l’esistenza di con­di­zioni umane che supe­rano il fatto per­so­nale e sono fatti poli­tici. Ma da sole non bastano. Per que­sto la soli­da­rietà è impor­tante. Que­sta è la dimen­sione uto­pica: è la con­di­zione che ci per­mette di non ras­se­gnarci alla fram­men­ta­zione sociale e ai mec­ca­ni­smi di esclusione.
Il red­dito uni­ver­sale può essere con­si­de­rato uno stru­mento per affer­mare la soli­da­rietà a livello europeo?
Ne sono con­vinto. Molti sosten­gono che entra in con­trad­di­zione con l’articolo 1 della nostra costi­tu­zione. C’è un’altra obie­zione: il rico­no­sci­mento del red­dito affie­vo­li­sce la lotta per il lavoro. In que­ste pro­spet­tive vedo un errore. Si con­si­dera che la disoc­cu­pa­zione sia sem­pre una fase tran­si­to­ria e la piena occu­pa­zione resta un obiet­tivo a por­tata di mano. Ma que­sti discorsi oggi sono lon­ta­nis­simi. Del red­dito uni­ver­sale è pos­si­bile for­nire varie gra­da­zioni: da quello minimo a quello di base. Tutte pos­sono essere usata per libe­rare i sin­goli dal ricatto del lavoro pre­ca­rio o non pagato; a con­durre un’esistenza libera e digni­tosa; a eli­mi­nare la com­pe­ti­zione tra i poveri. Mon­te­squieu diceva che abbiamo biso­gno di isti­tu­zioni, non di pro­messe né di carità. Il red­dito uni­ver­sale dimo­stra che la soli­da­rietà è un’utopia pro­fon­da­mente pian­tata nella realtà.

L’attitudine che ricostruisce il legame sociale
Dopo avere regi­strato l’impossibilità di tro­vare un inter­lo­cu­tore nella logica di mer­cato, scrive Ste­fano Rodotà in Soli­da­rietà, un’utopia neces­sa­ria (Laterza, pp.144, euro 14), la soli­da­rietà ha ritro­vato una forza auto­noma. Si sta scio­gliendo il lungo inverno che l’ha ristretta nel terzo set­tore, nel volon­ta­riato, nei legami cor­po­ra­tivi. Que­sto prin­ci­pio ritorna in libri, film e nelle pra­ti­che del lavoro auto­nomo, in quelle dei dipen­denti, del pre­ca­riato. Si parla di neo-mutualismo, di coa­li­zioni sociali, di lotte per l’uguaglianza e per la dignità delle persone.
Non stiamo tor­nando alle ori­gini, avverte Rodotà. Eppure la durezza della crisi eco­no­mica induce a con­fon­dere la soli­da­rietà con l’assistenzialismo o la pura bene­fi­cenza. Ai più deboli viene negata la loro qua­lità di sog­getti di diritto, men­tre la loro dipen­denza sociale viene isti­tu­zio­na­liz­zata. Si parla di «poveri», e non di vit­time della lotta di classe. La loro situa­zione viene affron­tata con la logica del dono, men­tre invece biso­gna risco­prire gli stru­menti dell’organizzazione poli­tica e dell’emancipazione degli oppressi. Biso­gna tro­vare cioè un’alternativa al «comu­ni­ta­ri­smo», l’opzione poli­tica dei popu­li­sti per i quali la pic­cola patria dei simili si raf­forza con­tro gli stra­nieri e i più deboli tra i deboli.
La soli­da­rietà va ripen­sata in un con­te­sto almeno euro­peo, l’unico pos­si­bile per evi­tare di ali­men­tare la fram­men­ta­zione sociale gene­rale. L’utopia con­creta di Rodotà si nutre di un pen­siero cosmo­po­lita, con­si­dera l’umanità come parte agente di un dise­gno poli­tico uni­ver­sale, non il rifu­gio nelle vec­chie sovra­nità dello Stato nazione. Come sem­pre in Rodotà, poli­tica e costi­tu­zione, pra­ti­che e prin­cipi giu­ri­dici, legami sociali e parità dei diritti, cam­mi­nano insieme.
Riper­cor­rendo la sto­ria del movi­mento ope­raio, il giu­ri­sta valo­rizza la soli­da­rietà degli oppressi che spri­giona una forza dina­mica che tra­scina oltre la logica della fra­tel­lanza. A sini­stra tale soli­da­rietà è stata con­si­de­rata uno stru­mento troppo debole per scal­fire l’ordine domi­nante. Rodotà pro­pone una con­tro­ar­go­men­ta­zione con­vin­cente: senza que­sto legame non esi­ste una forza sociale. Que­sta forza non impone un prin­ci­pio alter­na­tivo rispetto alle rela­zioni com­mer­ciali e non afferma valori irri­du­ci­bili alla mera con­ve­nienza economica.
La domanda prin­ci­pale di que­sto libro è sul sog­getto pro­ta­go­ni­sta della soli­da­rietà. Per lungo tempo la sua posi­zione è stata rico­perta dalla classe ope­raia. La soli­da­rietà per­mise di supe­rare la sua ete­ro­ge­neità, la spinse alla coo­pe­ra­zione e ad affer­mare i diritti sociali. Oggi que­sto ruolo pro­pul­sivo è venuto meno. Rodotà avanza una tesi: ieri, come oggi, la soli­da­rietà è una pra­tica che riforma i legami, ricom­pone un sog­getto neces­sa­ria­mente più ampio del pre­ce­dente, pro­duce un’attitudine coo­pe­ra­tiva lì dove sem­bra scom­parsa. La soli­da­rietà è «un movi­mento» che man­tiene l’orizzonte aperto oltre le mise­rie del pre­sente. Que­sto è un anti­doto al rea­li­smo dei rap­porti di forza che demo­li­scono la nuda logica del potere.

La dignità non è nel Fiscal Compact

Intervento. L'autore dialoga con l'ultimo libro di Stefano Rodotà, edito da Laterza, «Solidarietà, un'utopia necessaria»
Di que­sti con­net­tivi Rodotà sce­glie la soli­da­rietà, il più com­plesso (a que­sto pro­po­sito il rin­vio è all’intervista rila­sciata a Roberto Cic­ca­relli sulle pagine di que­sto gior­nale il 4 dicem­bre). Com­plesso per­ché ha una sto­ria par­ti­co­lar­mente intrec­ciata con quella di altri con­net­tivi. Com­plessa per­ché matrici diverse la hanno moti­vata come pro­pria deri­va­zione, con­no­tan­dola con le rela­tive impronte, intanto che altri con­net­tivi pro­va­vano ad assor­birla. Natu­ra­lità, mora­lità, carità, assi­stenza, bene­fi­cenza, fra­ter­nità, dove­ro­sità, diritto, egua­glianza e gra­tuità lam­bi­scono, inve­stono, assu­mono la soli­da­rietà e la inter­pre­tano cur­van­dola al loro spi­rito ed essenza. Ognuna di esse, in verità, ha svolto un ruolo che va rico­no­sciuto almeno come rive­la­zione della pos­si­bi­lità e della pra­tica di un’esigenza umana mai del tutto sradicata.
Rodotà ne fa la sto­ria degli ultimi secoli e ne descrive le movenze e i ruoli col­la­te­rali che ha svolto e anche le valenze stru­men­tali che ha saputo espri­mere. Ma sa distin­guere, sepa­rare, sa indi­vi­duare le impronte che pos­sono come assor­birla ed esau­rirne — e anche degra­darne — l’essenza. Sa, soprat­tutto, sce­gliere il fon­da­mento sicuro su cui costruire la soli­da­rietà come prin­ci­pio. È quello del diritto, della norma giu­ri­dica. Pro­se­gue così l’alto e nobile inse­gna­mento di quel padre del costi­tu­zio­na­li­smo che for­mu­lava la prima enun­cia­zione dei diritti sociali attri­buendo allo stato gli obbli­ghi di offrire a «tutti i cit­ta­dini la sus­si­stenza assi­cu­rata, il nutri­mento, un abbi­glia­mento decente, e un genere di vita che non sia dan­noso alla salute», Montesquieu.
La soli­da­rietà è così che si con­cre­tizza. Per poter essere prin­ci­pio giu­ri­dico, deve poi dispie­garsi in diritti. È il modo in cui si libera dalle tante impronte che la hanno segnata. Da quelle impresse da una incerta natu­ra­lità, dalla inerme mora­lità, dalla dove­ro­sità a irri­tante garan­zia della pro­prietà, dalla eva­ne­scente fra­ter­nità, a quelle, ine­so­ra­bil­mente mor­ti­fi­canti, della carità, della assi­stenza e della bene­fi­cenza. È il modo in cui si eleva a fonte riven­di­ca­tiva della dignità umana.
Ma ha di fronte il mondo della glo­ba­liz­za­zione. Che è quello del mer­cato capi­ta­li­stico, per­ciò della pro­prietà pri­vata e del pro­fitto, del trionfo dell’una e dell’altra da trent’anni cele­brato senza pause e senza limiti alla deva­sta­zione delle con­qui­ste di civiltà che l’idea e le forze della soli­da­rietà ave­vano rag­giunto. È il mondo della bar­ba­rie postmoderna.
Rodotà non lo accetta, invita a riflet­tere sulla tor­tuosa sto­ria della soli­da­rietà, sulle poli­ti­che sociali che furono impo­ste dalle forze che ne ave­vano neces­sità e che ebbero ascolto nelle dot­trine giu­ri­di­che e poli­ti­che che ne recla­ma­rono forme di rico­no­sci­mento. Forme diver­si­fi­cate che anda­vano dal cor­po­ra­tivo, al cari­ta­te­vole, al com­pas­sio­ne­vole, al mutua­li­smo con­ta­dino ed ope­raio. E che, pur nei limiti e con le tor­sioni che le carat­te­riz­za­vano, testi­mo­niano tut­ta­via una pos­si­bi­lità di affer­ma­zione plu­ra­li­stica del prin­ci­pio. Con­sen­tendo in tal modo che per «l’adempimento dei doveri inde­ro­ga­bili di soli­da­rietà poli­tica eco­no­mica e sociale» dell’articolo 2 della Costi­tu­zione, all’insostituibile e pre­va­lente azione isti­tu­zio­nale pos­sano aggiun­gersi ini­zia­tive sociali (volon­ta­riato, terzo set­tore) alla base della forma-stato. A que­sto pro­po­sito, va rico­no­sciuto a Rodotà il merito di pro­porre un’interpretazione di quest’articolo della Costi­tu­zione che, nell’affermare che la Repub­blica «richiede» l’adempimento dei doveri della soli­da­rietà, estende al mas­simo i desti­na­tari della norma, uni­ver­sa­lizza la sua effi­ca­cia.
Affronta la que­stione del Wel­fare State, della sua ori­gine e crisi. Ne rico­strui­sce la mol­te­pli­cità dei signi­fi­cati, mostra come e per­ché il Wel­fare deno­mina una spe­ci­fica forma di stato costruen­dola pro­prio intorno alla soli­da­rietà. Una forma di stato che, a par­tire dai prin­cipi fon­da­men­tali che furono enun­ciati nei primi arti­coli della nostra Costi­tu­zione e pro­se­guen­done il dise­gno nor­ma­tivo per la forma-stato della con­tem­po­ra­neità, ride­fi­ni­sce la per­sona umana come cen­tro di rife­ri­mento della soli­da­rietà, sia come tito­lare del diritto sia come desti­na­ta­rio del dovere di soli­da­rietà. La ride­fi­ni­sce in ter­mini di cit­ta­di­nanza tanto com­pren­siva di diritti inte­grati l’un l’altro da assi­cu­rare il ben-essere, l’autodeterminazione, cioè il potere di crearsi un’esistenza digni­tosa, a pro­get­tarla come cre­di­bile pro­spet­tiva, a viverla come effet­tiva con­di­zione umana.
Ma quando, dove, come? Di cos’altro è indice, in quale con­te­sto la si può con­cre­tiz­zare, con quale altro pro­dotto sto­rico, per essere stata sto­ri­ca­mente deter­mi­nata, la soli­da­rietà può e deve con­vi­vere? Chi può assi­cu­rarla nella mate­ria­lità dei rap­porti umani esi­stenti, chi la può soste­nere alla base degli ordi­na­menti giu­ri­dici vigenti, insomma, di quale e quanta forza sociale dispone la soli­da­rietà oggi?
Rodotà non nasconde affatto che il pro­dut­tore sto­rico della soli­da­rietà, degli isti­tuti che la hanno con­cre­tiz­zata, dei diritti che ha gene­rato, il movi­mento ope­raio, insomma, è stato fran­tu­mato e che non c’ è più nes­suno in grado di con­te­nere e respin­gere le pre­tese e l’arbitrio dei costrut­tori del «nuovo ordi­na­mento nor­ma­tivo gover­nato da un potere sovrano, quello delle grandi società trans­na­zio­nali che dav­vero si pon­gono come il sog­getto sto­rico della fase pre­sente». La fase cioè dell’avvento e del con­so­li­da­mento del domi­nio glo­bale del capi­ta­li­smo neo­li­be­ri­sta, il nemico sto­rico e strut­tu­rale della solidarietà.
Cosa oppor­gli che sia cre­di­bile e per­ciò con­sen­ta­neo, col­le­ga­bile, cor­ri­spon­dente anche nella pro­spet­tiva dell’esigenza sem­pre più pres­sante dell’universalizzazione della soli­da­rietà? Rodotà non deflette dalla più rigo­rosa coe­renza con le pre­messe, e le scom­messe, da cui parte. Non cre­dendo alla emer­sione di sog­getti sto­rici che pos­sano, nel breve periodo, ripren­dere con suc­cesso la lotta del movi­mento ope­raio per la soli­da­rietà, intra­vede però foco­lai di resi­stenza e di con­tra­sto al potere sovrano delle cen­trali trans­na­zio­nali del capi­ta­li­smo neoliberista.
Al sociale fran­tu­mato, al poli­tico ser­vente l’economico per aver abdi­cato a suo favore, il giu­ri­dico gli sem­bra con­fer­marsi come cre­di­bile poten­ziale di pro­du­zione della soli­da­rietà. In una sen­tenza recen­tis­sima della Corte di giu­sti­zia dell’Ue scorge una sorta di riven­di­ca­zione della pre­va­lenza dei diritti fon­da­men­tali rico­no­sciuti dalla Carta di Nizza sull’interesse eco­no­mico di una cor­po­ra­tion trans­na­zio­nale della forza di Goo­gle. Attri­bui­sce a que­sta sen­tenza l’efficacia costi­tu­tiva di «una nuova gerar­chia fon­data sui prin­cipi… espressi dai diritti fon­da­men­tali». Come se, per incanto, rove­sciando la sua giu­ri­spru­denza di favore al prin­ci­pio della con­cor­renza e a danno dei diritti del lavoro, la Corte di Lus­sem­burgo avesse abro­gato quella che Rodotà chiama la «con­tro costi­tu­zione» dell’Ue, fon­data sul Fiscal Com­pact e che, invece, io credo che sia la vera «costi­tu­zione» euro­pea. Come se, la stessa Corte, avesse anche espunto dal Trat­tato sul fun­zio­na­mento dell’Ue le norme che impon­gono come vin­colo asso­luto della dina­mica e come fine dell’Unione «l’economia di mer­cato aperta ed in libera con­cor­renza». Qui l’amore paterno dell’eccellente ma non soli­ta­rio legi­sla­tore della Carta di Nizza ha fatto aggio sull’acutissimo spi­rito cri­tico del giurista.
Ma, a riflet­tere, chissà: que­sta interpretazione-ricostruzione ope­rata da Rodotà potrebbe anche assu­mere valore pre­co­niz­zante di un pro­cesso che l’astuzia della sto­ria del diritto futuro, gra­zie ad una raf­fi­na­tis­sima erme­neu­tica, con tacite abro­ga­zioni e prov­vide addi­zioni, con­senta che i prin­cipi che Rodotà ha ride­fi­nito acqui­stino effet­ti­vità giu­ri­dica. Sic­ché da «uto­pia neces­sa­ria» diventi espe­rienza vivente quella soli­da­rietà che il movi­mento ope­raio si inventò e che Rodotà ricorda come rap­porto tra eguali e per­ciò auten­tica. Affiora così il tema dell’eguaglianza. Quello sul quale chi scrive sta aspet­tando il mag­gior defen­sor dei diritti del nostro tempo.

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