sabato 8 novembre 2014

Ian Buruma: Russia e Cina come società mafiose"

Il finto liberalismo dei regimi autoritari

Nelle società mafiose in Russia come in Cina la proprietà l’edificazione e i terreni rappresentano una moneta diffusa nello scambio di poteri
di Ian Buruma Repubblica 8.11.14

L’EPOCA in cui viviamo viene spesso riflessa con particolare chiarezza dallo specchio dell’arte. Molto si è scritto sulla Russia e la Cina post-comuniste, ma due recenti film: Il tocco del peccato di Jia Zhangke (Cina, 2013) e Leviathan, di Andrey Zvyagintsev (Russia, 2014), fotografano il panorama sociale e politico di questi Paesi meglio di qualsiasi scritto che mi sia capitato di leggere.
Il film di Jia è suddiviso in episodi ispirati per lo più a recenti fatti di cronaca. Leviathan ha come protagonista un brav’uomo che vede la propria esistenza devastata dal sindaco della città, spalleggiato dalla Chiesa ortodossa russa e da una magistratura corrotta.
Le due opere sono inoltre accomunate dal ruolo che in esse giocano la casa e il mercato immobiliare. In questa nuova Cina, dove il Partito comunista cinese (Ccp) continua a governare ma le idee di Karl Marx sono morte e sepolte quanto lo sono in Russia, tutto è in vendita: persino i simboli del passato maoista.
Non è una coincidenza che case e immobili rivestono un ruolo importante in entrambi i film. Nelle società mafiose la proprietà, l’edificazione e i terreni rappresentano una mone- ta diffusa nello scambio di poteri.
Il fatto che, a differenza del Ccp, il partito di Putin (Russia Unita) non rivendichi alcuna ideologia marxista è irrilevante: i due governi operano infatti secondo modalità analoghe.
Il partito di Putin è stato eletto in Russia così come il Partito per la giustizia e lo sviluppo del presidente Recep Tayyip Erdoðan è stato eletto in Turchia, quello del primo ministro Viktor Orbán — il Fidesz — in Ungheria e il regime militare del presidente Abdel Fattah el-Sisi è stato eletto in Egitto. Il Ccp non fu mai eletto, ma anche questo particolare è per lo più irrilevante. Tutti questi governi sono accomunati dalla fusione tra impresa capitalistica e autoritarismo politico.
Tale modello politico oggi è considerato, forse a ragione, un serio rivale delle democrazie liberali di stile americano. Tuttavia durante la Guerra fredda il capitalismo autoritario che di solito accompagnava i regimi militari era anti-comunista e si schierava decisamente dalla parte dell’America. Il dittatore sudcoreano Park Chung-hee, padre dell’attuale presidente Park Geun-hye, fu per molti aspetti un pioniere del tipo di società che oggi vediamo in Cina e in Russia. E altrettanto si potrebbe dire del generale cileno Augusto Pinochet.
Poiché nei client state dell’America la fine delle dittature ha coinciso più o meno con la fine della Guerra Fredda, quando sono state sostituite da democrazie liberali, molti si sono lasciati cullare dalla rassicurante convinzione che democrazia liberale e capitalismo avrebbero finito per confluire spontaneamente (inevitabilmente, persino) ovunque. La libertà politica fa bene agli affari, e viceversa.
Questo grande mito del ventesimo secolo è stato ormai infranto. All’inizio dell’anno Orbán ha affermato che la democrazia liberale non rappresenta più un modello attuabile, e ha citato Cina e Russia come Paesi di maggior successo — non per motivi ideologici, bensì perché egli ritiene che nel mondo di oggi siano più competitivi.
Esistono naturalmente motivi per dubitarne. L’economia russa dipende troppo dal petrolio e da altre risorse naturali, e in una crisi economica la legittimità del sistema monopartitico cinese potrebbe venire rapidamente meno. Inoltre, la consuetudine con cui i regimi illiberali piegano la legge ai propri fini non ispirerà la fiducia degli investitori — per lo meno non nel lungo periodo.
Eppure le società che Leviathan e Il tocco del peccato descrivono così aspramente continuano per ora ad apparire un modello valido per molti di coloro che si dicono delusi dalla stagnazione economica europea e la disfunzionalità politica americana. Gli uomini d’affari, gli artisti e gli architetti occidentali, così come altri che hanno bisogno di grandi quantità di denaro per realizzare progetti costosi, amano lavorare per i regimi autoritari che “realizzano fatti concreti”. E i pensatori illiberali, tanto dell’estrema destra che dell’estrema sinistra, ammirano i dittatori in grado di tener testa all’America.
I governanti della Cina sono forse meno sicuri rispetto a Putin. O forse Putin è semplicemente più astuto. È improbabile che i suoi seguaci in Russia vadano a vedere, e ancor meno siano influenzati, da un’opera così indipendente, mentre questo spaccato di libera espressione russa potrebbe convincere gli stranieri che nella democrazia autoritaria di Putin sopravvive un po’ di liberalismo. Almeno sino a quando anche questa illusione non sarà infranta. ( Traduzione di Marzia Porta)

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