Evviva la democrazia che fa trionfare il bisogno di libertà sul totalitarismo. Oppure: evviva il potere costituente delle moltitudini. E' una tesi del tutto sbagliata - altrimenti il concetto stesso di Guerra Fredda non avrebbe senso alcuno - ma molto diffusa. Non tanto tra gli avversari ma soprattutto tra coloro che, a sinistra, gioirono e gioiscono della Restaurazione perché pensano che si siano aperte straordinarie possibilità. Inutile a questo punto lamentarsi dello smantellamento del Welfare: teniamoci la quel che abbiamo [SGA].
Mary Elise Sarotte: The Collapse: The Accidental Opening of the Berlin Wall, Basic Books
Risvolto
On the night of November 9, 1989, massive crowds surged toward the
Berlin Wall, drawn by an announcement that caught the world by surprise:
East Germans could now move freely to the West. The Wall—infamous
symbol of divided Cold War Europe—seemed to be falling. But the opening
of the gates that night was not planned by the East German ruling
regime—nor was it the result of a bargain between either Ronald Reagan
or George H.W. Bush and Soviet leader Mikhail Gorbachev. It was an accident.
In The Collapse,
prize-winning historian Mary Elise Sarotte reveals how a perfect storm
of decisions made by daring underground revolutionaries, disgruntled
Stasi officers, and dictatorial party bosses sparked an unexpected
series of events culminating in the chaotic fall of the Wall. With a
novelist’s eye for character and detail, she brings to vivid life a
story that sweeps across Budapest, Prague, Dresden, and Leipzig and up
to the armed checkpoints in Berlin.
We meet the revolutionaries
Roland Jahn, Aram Radomski, and Siggi Schefke, risking it all to smuggle
the truth across the Iron Curtain; the hapless Politburo member Günter
Schabowski, mistakenly suggesting that the Wall is open to a press
conference full of foreign journalists, including NBC’s Tom Brokaw; and
Stasi officer Harald Jäger, holding the fort at the crucial border
crossing that night. Soon, Brokaw starts broadcasting live from Berlin’s
Brandenburg Gate, where the crowds are exulting in the euphoria of
newfound freedom—and the dictators are plotting to restore control.
«I meriti Usa? Sopravvalutati E con l’Urss si sbagliò tutto»di Ennio Caretto Corriere 10.11.14
Il titolo del libro, «Il collasso: l’accidentale apertura del muro di
Berlino» (traduzione letterale), è intrigante, ma il contenuto lo è
ancora di più. Il muro cadde, scrive l’autrice, la storica Mary Elise
Sarotte, in seguito non all’intervento del presidente americano Ronald
Reagan come creduto comunemente negli Stati Uniti ma agli errori dei
leader comunisti tedeschi e alla rivolta dei berlinesi dell’Est.
L’Occidente contribuì alla sua caduta, «ma essa fu frutto innanzitutto
della complessa interazione tra Gorbaciov, gli incompetenti vertici
della Germania orientale e l’opposizione interna».
Che cosa avvenne esattamente a Berlino est quella notte di venticinque anni fa?
«Che un membro del Politburo, Günter Schabowsky, un incapace, annunciò a
una conferenza stampa televisiva serale che tutti i tedeschi orientali
sarebbero stati subito liberi di viaggiare all’estero. Non era vero, ma i
berlinesi si diressero in massa al muro e nessuno poté fermarli. La
Germania dell’Est era praticamente in rivolta e il partito era
impotente. Per la prima volta a Lipsia un mese prima la polizia aveva
rinunciato a usare la forza contro una dimostrazione di protesta perché
davvero enorme».
Quale fu il merito dell’America nella caduta del muro?
«Quello di avere contribuito a crearne i presupposti nel corso della
guerra fredda appoggiando l’Europa occidentale e i dissidenti
nell’impero sovietico e fornendo un modello di democrazia e di crescita
economica ai Paesi comunisti. Ma la caduta del muro colse di sorpresa
l’intero Occidente proprio perché non ne fu il diretto artefice. Lo
ricordo bene perché allora studiavo e vivevo a Berlino».
Ho sentito rivolgerle accuse di revisionismo storico…
«Non mi considero una storica revisionista ma un’accademica. Ho scritto
questo libro perché da anni quando presentavo il mio precedente libro (
«1989 , lo sforzo per creare l’Europa del dopo guerra fredda», ndr ), il
pubblico mi chiedeva come mai fosse crollato il muro di Berlino. Mi
resi conto che la storiografia concernente la fine della guerra fredda e
il periodo successivo era in prevalenza memorialistica».
Lei che operazione ha fatto?
«Ho attinto agli archivi e ai documenti desecretati di recente da sei
Paesi: le due Germanie, la Russia, l’America, l’Inghilterra e la
Francia. Le rivoluzioni sono come le esplosioni: l’esplosivo non basta,
ci vuole il detonatore. E il detonatore è locale. Noi americani tendiamo
ad agire da soli e questo non lo capiamo. Quando andammo in Iraq nel
2003 qualcuno coniò lo slogan “da Berlino a Bagdad”. Non fu affatto la
stessa cosa».
Nel libro «1989» lei si concentra sugli eventi di quell’anno e del ’90 in Europa.
«Sì, e il motivo è che perdemmo una grande occasione per costruire non
solo una nuova Europa ma altresì un nuovo ordine mondiale. Anche allora
esaminai molti documenti e giunsi a una conclusione diversa da quella
generalmente accettata. L’amministrazione Bush senior collaborò con
Gorbaciov soltanto a parole, ma in realtà emarginò la Russia
dall’Europa. Fu un capolavoro di politica e diplomazia, ma certi
successi contengono i semi di future crisi, quella ucraina per
intenderci, come scrisse nelle sue memorie il segretario di Stato James
Baker».
Non avrebbero potuto rimediarvi Bill Clinton e Bush junior?
«È una domanda a cui non so rispondere: la maggioranza dei loro
documenti non è ancora desecretata. Posso però dire che non vi
rimediarono e che con Putin non si ripresenterà un’occasione come quella
di 25 anni fa. Nella sua testa, l’Urss non è morta, è morto il
comunismo, ma la Russia mantiene la propria sfera d’influenza».
Tempo fa lei scrisse che la fine delle due Germanie plasmò la posizione di Putin verso l’Occidente
«Quando il muro di Berlino crollò e con esso crollò il comunismo Putin
era a Dresda quale ufficiale del Kgb. Penso che non abbia mai superato
il trauma della sconfitta di tutto ciò in cui credeva. È questo che
preoccupa la cancelliera Merkel nella crisi ucraina. Lei può parlare in
russo a Putin, che può parlarle in tedesco. Ma non sa se riuscirà a
strappargli una soluzione politica».
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