domenica 2 novembre 2014

La crisi della Kultur umanistica europea all'epoca della Prima guerra mondiale: torna la Storia dell'arte di Schlosser


Julius von Schlosser: La storia dell'arte nelle esperienze e nei ricordi di un suo cultore, Marinotti

Risvolto

Ancora una volta, dopo scrittori e saggisti di sensibilità difforme e al di fuori del revival, pure nostalgico, di qualche decennio fa, è data l'occasione di rinnovare l'interesse per qualche aspetto del tema "Grande Vienna", sulla base delle testimonianze di chi, in quella già gloriosa capitale imperiale, visse ed operò prima e dopo la catastrofe del 1918. L'anniversario della cui preparazione, del resto, è appena iniziato in questo 2014. E Julius Ritter von Schlosser-Magnino (1866-1938), dopo Wickhoff, Riegl e Dvorak, l'ultimo maestro di un aspetto della cultura, la storia dell'arte, non privilegiato nelle più classiche ed autorevoli ricostruzioni storiche della realtà e del mito di cui, nel tempo, la capitale asburgica è divenuta oggetto e soggetto. Grande umanista di confine si potrebbe definire lo Schlosser, il cui libro memorando e ben noto agli specialisti, ma forse dimenticato rispetto all'ineludibile "La letteratura artistica" - viene riproposto accompagnato da uno scritto autorevole di Artur Rosenauer, maestro di quella insigne Scuola universitaria e di Sandro Scarrocchia, il più originale interprete italiano di quella stessa realtà accademica e culturale. 



Studiando l’arte nella vecchia Vienna 
Il saggio. Torna il classico del 1936 di Julius von Schlosser in cui lo storico austriaco proponeva il suo metodo “monografico”

DARIO PAPPALARDO Repubblica 2 11 2014

FA SORRIDERE leggere che, un secolo fa, qualcuno lamentava già la crisi della storia dell’arte. In futuro sarebbe andata anche peggio, se si pensa allo scarso riconoscimento della materia oggi. Quel qualcuno era Julius von Schlosser (1866-1938), ultimo esponente della leggendaria Scuola di Vienna. Nel disfacimento dell’Austria imperiale, la sua parabola sta al mondo della critica d’arte come quella di Joseph Roth sta alla letteratura. Lo studioso diventò responsabile delle collezioni di scultura e arti applicate del Kunsthistorisches Museum (1901) per poi ereditare (1922) quasi a malincuore — come ricorda nelle memorie — la cattedra all’Università di Vienna dal suo allievo Max Dvorak, scomparso prematuramente.
Schlosser, autore de La letteratura artistica e di una fantastica Storia del ritratto in cera ( ripubblicata da Quodlibet nel 2011), sostiene che compito dello storico dell’arte sia ancora quello di dare al termine “bello” il significato più puro. La filologia applicata allo studio dell’arte non serve. La biografia dell’artista meno che mai. Addio allora a confronti tra le opere, “scuo- le”, “stili”, contesto. Schlosser sconfessa Vasari e la sua idea di ciclico progresso e decadenza delle arti: non ha senso leggere un’evoluzione da Giotto a Michelangelo. Queste conclusioni l’esteta le matura nel corso di anni di “crisi”, raccontati nella Storia dell’arte uscita in Italia nel 1936 e ora riproposta da Marinotti edizioni (con la prefazione di Artur Rosenauer e appendici di Sandro Scarrocchia e Gianni Contessi). Il libro raccoglie una serie di saggi: a partire dal Commentario alla mia vita di carattere autobiografico per passare ai ritratti di predecessori e colleghi della Scuola di Vienna (da Morelli a Wickhoff; da Sickel a Riegl). In conclusione una riflessione su Storia dello stile e Storia del linguaggio.
Decisamente influenzato dal nuovo idealismo di Benedetto Croce, di cui traduce gli scritti, Schlosser contrappone a una storiografia artistica che fa proprio il positivismo e le categorie adottate dalla ricerca storica una “storia dello stile” che deve invece restituire «l’essenza dell’artista una ed autonoma». Lo strumento migliore a disposizione dello studioso resta così la “monografia”. Perché «ogni vera opera d’arte porta, come la personalità artistica ideale che essa racchiude, un’unità di misura in sé e non fuori di sé». Buoni esempi, in questo senso, sono il Giotto di Friedrich Rintelen (1911) e il Piero della Francesca di Roberto Longhi (1928). Ma Schlosser, uomo di un’altra epoca, forse non avrebbe apprezzato l’evoluzione e la rivoluzione di Longhi che, fondando la rivista Paragone ( 1950), promosse poi il confronto tra arti, artisti e letteratura come “metodo”. Quelle parole da una Vienna che non c’è più oggi sono la testimonianza lontana di chi credeva ancora che l’arte potesse salvare il mondo.

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