lunedì 24 novembre 2014

Le avanguardie artistiche del Novecento secondo Daverio

Il secolo spezzato delle avanguardiePhilippe Daverio: Il secolo spezzato delle avanguardie. Il museo immaginato, Rizzoli 

RisvoltoL’arte del Novecento, in modo particolare nella prima metà del secolo, è un vorticoso susseguirsi di movimenti e “ismi”. Difficile dunque definirla in un sistema museale chiuso e immutabile, meglio, e forse più giusto, cercare di catturarne lo spirito di molteplicità e di contaminazione continua attraverso un programma di mostre temporanee, tematiche, che tengono conto di connessioni, rimandi e affinità fra artisti anche apparentemente lontani. Daverio diventa curatore di “esposizioni immaginate” e, come di consueto, rovescia le categorie storicizzate e propone di guardare con occhi nuovi al secolo passato. La danza, l’ansia dell’uomo contemporaneo, la città del futuro sono solo alcuni dei temi affrontati.



L’ironia dell’Avanguardia ai tempi della borghesia 

Philippe Daverio, viaggio per immagini all’inizio del Novecento 

Lunedì 24 Novembre, 2014 CORRIERE DELLA SERA © RIPRODUZIONE RISERVATA

Ci sono tanti modi per ammalarsi e Philippe Daverio vorrebbe «far ammalare» (non ammaliare) il lettore inoculandogli il virus dell’arte. È un virus al quale esporsi almeno una volta all’anno, meglio se sotto Natale. E il medico che lo prescrive è lui, l’alsaziano più noto d’Italia che spande questo dolce veleno attraverso la sua saga per immagini, giunta quest’anno al quarto volume: Il secolo spezzato delle Avanguardie (Rizzoli). I precedenti episodi di questa tetralogia pop sono stati Il museo immaginato (2011), Il secolo lungo della modernità (2012), Guardar lontano. Veder vicino (2013), ora disponibili in ebook. È una serie, questa dei libri illustrati di Daverio, che può tendere all’infinito, come poteva essere per le originali puntate del suo programma televisivo Passepartout , chiuso fuori dalla porta dall’«originale» programmazione della Rai. 
Il regalo che quest’anno «Babbo Daverio» ci recapita sotto l’albero contiene tutto ciò che finisce in -ismo: Impressionismo, Futurismo, Surrealismo, Dadaismo, -ismo, -ismo… Stili in rima come testi rap, ma più intelligenti di questi. Sono le poetiche dell’Avanguardia, un termine preso dal lessico militare: nel De bello Gallico di Giulio Cesare, infatti, sono chiamate d’avanguardia le milizie mandate in avanti a sfondare le file nemiche. L’arte, che è un po’ la guerra di un esercito di «pazzi» che lottano contro le convenzioni, ha preso il termine a prestito quando voleva sfondare le fila del gusto borghese, dell’accademismo o quello di pittori come Bouguereau. I cui nudi femminili (nel volume è riprodotta La giovinezza di Bacco del 1884), però, sono così pieni di quella malia tardoromantica che quasi quasi ci si rammarica un po’ di doverseli lasciare alle spalle. Tanto che si finisce per farli diventare un gradino della stessa genealogia che porta a opere d’avanguardia come la Danza di Matisse (1910): le danze delle kylix attiche, Canova, Bouguereau conducono a Matisse. 
È un cammino, quello delle Avanguardie, che abbandona la bellezza per l’idea? In un certo senso sì. Le opere d’Avanguardia cercano di rispondere a questo interrogativo: di che cos’è fatta l’arte? Qual è la sua essenza? E la risposta, anziché attraverso un trattato, è fornita dagli artisti attraverso l’opera stessa. Se provate a porvi questa domanda davanti a qualsiasi opera d’Avanguardia presentata nel volume noterete che l’artista ha spesso cercato di fornire una risposta: l’arte è luce, oppure è linea, oppure astrazione, oppure è l’artista che dà importanza all’opera, oppure ogni cosa è, potenzialmente, arte… 
Fu, quella delle Avanguardie, la rivoluzione dell’intelligenza, che si sviluppò anche intorno a un grande evento dell’epoca: l’Expo universale di Parigi del 1900. Possiamo aspettarci altrettanto da quella di Milano 2015? Se riprendiamo dalle pagine di Daverio quanto avvenne allora, pare proprio di no. Allora «fu costruita la Gare de Lyon con il suo ristorante per accogliere chi veniva dalle colonie; fu costruita la Gare d’Orsay, poi il Grand Palais e il Petit Palais nonché il ponte prospicente sulla Senna che prese il nome di Alexandre dallo zar di Russia... e furono organizzati i Giochi Olimpici». Oggi basterebbero delle buone mostre d’arte per l’Expo, collegamenti ferroviari efficienti, qualche argine in più per il Lambro o il Seveso e non fare le Olimpiadi. 
Ora che è più chiara anche l’epoca, lasciate che il virus inoculato dal dottor Daverio faccia effetto sfogliando le pagine; e non preoccupatevi. Scoprirete baci e abbracci, passi di danza, ironia e molti colori. Nonché richiami iconografici che si rincorrono da una tela all’altra. L’abbraccio di Chagall si riscopre in quello di Picasso; la Dama a Mosca di Kandinskij (1912) nella Passeggiata di Chagall (1917-18): solo che, nella prima, la dama è in primo piano e a volare nel cielo sembra un uomo; nella seconda le parti si invertono, come per parità di genere. La grammatica dell’arte, quando c’era, faceva sì che tutto si tenesse con tutto: e anche un’opera che è il massimo dell’Astrattismo, come Attorno al cerchio di Kandinskij, può avere un suo antecedente nell’ Ascesa all’Empireo di Hieronymus Bosch. Ovvio che ciascuno abbia il proprio senso e la propria epoca, ma il virus della passione si inocula anche attraverso il piacere per le suggestioni.

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