E la minoranza Dem si spacca. Bersani e D’Alema avvertono: “Riprendiamoci il partito”
di Giovanna Casadio Repubblica 14.11.14
ROMA «Siamo con tutti e due i piedi nel partito, però la sinistra c’è e si farà sentire per creare un’alternativa a Renzi nel Pd». Pierluigi Bersani fa sentire la sua voce. L’accordo sul jobs act non frena lo scontro interno. Anzi, lo amplifica. Perché l’intesa siglata in extremis da Speranza e Damiano ha avuto un unico effetto: spaccare in tre la minoranza interna. Con i “trattativisti” decisi a rispettare il patto, i civatiani pronti a non votare nemmeno la fiducia e gli altri che oscillano tra il sì alla fiducia e il no agli articolo più acuminati.
Renzi, insomma, sembra incunearsi nelle difficoltà dell’opposizione. Ma la risposta potrebbe già esserci al convengo della prossima settimana a Milano di Area riformista. E qualcuno inizia già a parlare di un “tandem” destinato a riformarsi: quello tra Bersani e D’Alema. Di certo tra gli “antirenziani” serpeggia il dubbio che, alla fine, su Jobs Act e articolo 18 i cambiamenti siano assai meno di quelli sperati. Soprattutto temono di arrivare “disarmati” allo sciopero generale della Cgil del 5 dicembre. Sospetti che solo i “trattativisti” - da Speranza a Orfini e Damiano - non coltivano: «Al premier abbiamo fatto cambiare idea».
Certo le tre minoranze in questa fase cercano tutte di cogliere il massimo dall’emendamento promesso dal governo. «È comunque - dicono - un punto messo a segno, perché il premier- segretario ha dovuto prendere atto che non poteva blindare il Jobs Act uscito dal Senato» e ha quindi aperto alle modifiche. Eppure la tripartizione rischia di evidenziarsi presto con una spaccatura manifesta.
Pippo Civati ad esempio conia l’hashtag “passodopopassoindietro”. E poi avverte: «Non vorrei che fosse uno specchietto per le allodole...». Non lo convincono le deduzioni di Speranza e Damiano: «Le proteste del Nuovo centrodestra sono un buon indicatore che si va ormai nella direzione giusta». Ma Cuperlo e Fassina nicchiano: «Guardiamo al merito: l’articolo 18 non deve essere toccato affatto, al massimo un “tagliando” e il reintegro deve valere anche per i licenziamenti illegittimi in aziende in crisi». E a corroborare la posizione c’è la pistola fumante degli emendamenti elencati da Fassina, su cui domenica si comincia già a votare in commissione Lavoro.
Il governo ha fretta, la sinistra dem non ne ha per nulla. La minoranza si gioca nei prossimi giorni il tutto per tutto. Domani a Milano, dunque, nella riunione della corrente “Area riformista”, Bersani chiamerà alla riscossa la sinistra. Nessuna scissione, ma la scalata al partito sì. Non a caso è stato invitato a Milano anche Nicola Zingaretti, il “governatore” del Lazio indicato sempre dai sondaggi come l’anti Renzi possibile.
E forse non è un caso che mercoledì scorso nella riunione della minoranza proprio Massimo D’Alema abbia chiarito che la “ditta” non si molla: «La battaglia si conduce dentro il Pd ma basta con un partito che vuole parlare solo al potere italiano». Nel frattempo Renzi si è assicurato un “sì”, più o meno convinto almeno sulla fiducia. Il Jobs Act tornerà quindi al Senato. «Renzi si è rimangiato la rottura dentro il Pd», osserva Davide Zoggia. Nessuno ha voglia nelle file dem di esasperare i toni per ora. Damiano, il presidente della commissione lavoro, che ha condotto appunto la trattativa con il ministro Poletti, con Filippo Taddei, responsabile Economia del Pd, con il vice segretario Lorenzo Guerini e con Renzi stesso, è convinto che il risultato sia buono. «Non c’è solo l’articolo 18», continua a ripetere, indicando i cambiamenti sulle questioni del demansionamento, dei voucher, dei controlli a distanza ma non più sulle prestazioni lavorative. In cambio la sinistra dem ha dovuto ingoiare l’accelerazione: il Jobs Act passa davanti alla legge di Stabilità, proprio quello che la minoranza non avrebbe mai voluto. La tregua interna è dunque molto fragile. Civati nel fine settimana parteciperà a un’iniziativa politica con il leader di Sel, Nichi Vendola e con il Tsipras. Ma sarà anche all’appuntamento milanese con Bersani che ha l’ambizione di rinsaldare e unire la sinistra dem. Solo una speranza? Cuperlo e Fassina non ci saranno. «Non vado perché non mi hanno invitato», commenta Cuperlo.
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