mercoledì 19 novembre 2014

Severinate: Giovanni Gentile tecnico idealista del Divenire


Quel nesso tra tecnica e idea che fu anticipato da Gentile

Il suo attualismo mostra l’impossibilità di porre limiti al divenire

di Emanuele Severino Corriere 19.11.14

Il «realismo» è la prospettiva all’interno della quale scienza e tecnica anche oggi procedono. Non senza alcune spinte in direzione opposta, ad esempio la fisica quantistica di Heisenberg. Per il realismo il mondo esiste indipendentemente dalla conoscenza umana. È una prospettiva filosofica (in certo senso ereditata da alcune configurazioni storiche del senso comune). Adottando la quale, la tecno-scienza è oggi capace di trasformare radicalmente il mondo: più di qualsiasi altra forza che abbia tentato e tenti di farlo. Anche per questo motivo la filosofia del nostro tempo ha sempre più emarginato la prospettiva «idealistica» — per la quale, invece, il mondo, la natura, Dio stesso non sono indipendenti e separabili dalla conoscenza umana. Inoltre, per «idealismo» si è inteso soprattutto l’idealismo assoluto di Hegel, sì che il generale atteggiamento, divenuto preminente, di rifiuto della tradizione metafisica ha inteso la propria presa di distanza da Hegel, in cui la metafisica giunge al proprio culmine, come la definitiva chiusura dei conti con l’idealismo in quanto tale. 
Eppure realismo e idealismo hanno in comune un tratto fondamentale: la convinzione che la realtà includa la realtà che diviene . Alle culture che precedono la filosofia non è certamente ignota la trasformazione continua e variegata del mondo: teogonie e cosmogonie e, in generale, le metamorfosi costantemente presenti nel mito, la attestano nel modo più esplicito. Ma è loro ignoto il senso che la filosofia, sin dal proprio inizio, assegna al divenire — e che rimane alla base dell’intero sviluppo della civiltà occidentale, ossia della dimensione i cui tratti essenziali si son posti ormai alla base di ogni altra civiltà. 
Sin dall’inizio la filosofia intende il divenire come «unità di essere e di non essere». Ciò che diviene, infatti, «è» sin tanto che è, ma nel proprio passato e nel proprio futuro «non è», e quindi, come dice Platone, di esso non si può dire, separando il suo essere dal suo non essere, né soltanto che «è», né soltanto che «non è» ( Civitas , 479 e), ma è necessario dire che «insieme è e non è» ( hama on te kai me on , ibid., 478 d), ossia è appunto «unità di essere e di non essere». Anche Hegel definisce così il divenire — ma ormai è il senso comune a esser convinto che le cose del mondo che ora «sono», prima «non erano» ancora e poi «non saranno» più, e cioè, insieme, sono e non sono. 
D’altra parte, la filosofia porta alla luce un senso inaudito del divenire perché indica un senso inaudito dell’«essere» e del «non essere», dei quali il divenire è l’unità. Ossia porta alla luce l’opposizione infinita che sussiste tra l’ essere e il nulla (che è appunto la forma più radicale del non essere), intendendo l’essere come ciò che ogni cosa (e si intenda questa parola nel senso più ampio) ha in comune con ogni altra, e che pertanto costituisce e configura la totalità della realtà; e intendendo il nulla come la totale assenza di ogni forma di essere. 
Orbene, per lo più non si comprende come sia proprio il senso greco del divenire, che realismo e idealismo condividono, a far sì che il realismo, nonostante il suo attuale predominio sociale, sia destinato a mostrare la propria debolezza concettuale rispetto all’idealismo; ma non rispetto all’idealismo genericamente inteso, bensì rispetto a quella forma specifica di idealismo che è l’«attualismo» di Giovanni Gentile. 
Questa affermazione riesce sorprendente già nella cultura italiana; in quella internazionale, poi, può suonare come un’esagerazione fuori luogo. Ma se si riesce a raggiungere il sottosuolo essenziale del nostro tempo, al di là cioè di quanto il nostro tempo crede di sapere di sé, ci si imbatte in qualcosa di estremamente più sorprendente e sconcertante. Innanzitutto, l’essenziale solidarietà tra attualismo e tecno-scienza. La quale scaturisce da un fondamento ancora più sorprendente. Se ne richiamerà qui il senso generale (che altrove ho determinatamente analizzato), lasciando parlare i testi di Gentile. 
Per indicare il senso complessivo di queste affermazioni, va detto innanzitutto che il sottosuolo essenziale del nostro tempo, come di ogni tempo dell’Occidente, ha carattere filosofico . Ciò significa che il sottosuolo della civiltà della tecnica ha questo carattere. Per e in forza del quale essa è destinata a spingere al tramonto l’intera tradizione dell’Occidente: non soltanto, dunque, la tradizione culturale e i suoi valori, ma le stesse opere e istituzioni della tradizione occidentale. 
La tecnica è di diritto l’ultimo Dio dell’Occidente — dove Dio è stato il primo Tecnico, il Demiurgo che fa passare le cose del mondo dal non essere all’essere e viceversa. La tecnica è di diritto l’ultimo Dio — nella misura cioè in cui la volontà tecnica di oltrepassare ogni limite, producendo e annientando ciò che, rispettivamente, è ritenuto un valore e un disvalore, è garantita dall’ impossibilità dell’esistenza di ogni Limite inoltrepassabile, che le si opponga, cioè di ogni Essere immutabile, eterno, divino. Il Limite supremo è appunto Dio (soprattutto il Dio della tradizione dell’Occidente). Questa impossibilità può esser mostrata non dal sapere scientifico, ma soltanto da quello filosofico; e di fatto si mostra in ciò che chiamiamo sottosuolo filosofico del nostro tempo — ovvero nel luogo in cui cresce, insieme a pochi altri, il pensiero di Giovanni Gentile. 

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