domenica 23 novembre 2014

Superstizione religiosa e superstizione scientistico-capitalistica confindustriale in Italia

Meglio Padre Pio [SGA].

Scienza & fede Un dialogo superficialeUn sondaggio mostra come gli italiani amino conciliare l'intervento divino e le spiegazioni scientifiche. È un bene?

di Vincenzo Barone Il Sole Domenica 23.11.14
Intervenendo sul caso Galileo, nel 1979, Giovanni Paolo II invitò gli intellettuali a rimuovere le «diffidenze» esistenti tra scienza e religione e a «dischiudere la porta a future collaborazioni». Da allora, ha preso corpo nel mondo cattolico una nuova teologia della natura, che non si contrappone alla scienza, ma pretende di trarre da essa alimento, presentandosi come il frutto di un lavoro condotto congiuntamente da scienziati e teologi, e spesso da scienziati-teologi. Non si tratta di un movimento rozzamente creazionista, ma di una corrente di pensiero almeno in apparenza più sofisticata, che diffonde l'idea che sia la scienza stessa a rinviare a Dio, indicando, con i suoi sviluppi più avanzati, un cammino verso la trascendenza. L'orizzonte generale entro cui questo programma si inscrive è contrassegnato da un mito ricorrente, quello del «dialogo tra scienza e fede». Le tesi di fondo della nuova teologia naturale sono, in realtà, facilmente confutabili: non esistono, all'interno della scienza, domande inevase di senso, né «strade verso Dio», a meno di non prendere sul serio amenità come il principio antropico, o di non credere – come taluni fanno – che il teorema di incompletezza di Gödel e le relazioni di indeterminazione di Heisenberg segnalino delle insufficienze da colmare con una forma superiore di sapienza. Rimane, tuttavia, quella parola magica – «dialogo» –, che sembra rappresentare un valore in sé. Chi mai si opporrebbe a un dialogo, se non un intollerante fondamentalista?

La compatibilità tra scienza e fede (quest'ultima intesa specificamente come credenza in un Essere trascendente che interviene nella natura) è stata oggetto di un sondaggio promosso dal Centro di documentazione interdisciplinare di scienza e fede della Pontificia Università della Santa Croce, diretto dall'astronomo e teologo Giuseppe Tanzella-Nitti (se ne trova un resoconto, a cura dell'astrofisico Matteo Bonato, sul sito www.disf.org, e un'esposizione più dettagliata sull'ultimo numero della rivista «Paradoxa»). A un campione rappresentativo della popolazione italiana è stato chiesto di esprimere un giudizio su una serie di affermazioni riguardanti le origini dell'uomo e dell'universo, e sul possibile ruolo svolto da Dio. Per ciò che riguarda la comparsa dell'uomo sulla Terra, il 42% degli intervistati ritiene che la specie umana si sia evoluta a partire da forme inferiori di vita con l'aiuto divino, mentre il 28% pensa che sia stato Dio a creare l'umanità. Il restante 30% ritiene che Dio non abbia avuto alcuna parte nell'evoluzione umana. I risultati relativi all'origine dell'universo mostrano un andamento simile: il 45% degli intervistati ritiene che l'universo sia stato creato da Dio e che, al tempo stesso, la scienza possa spiegarne l'origine, mentre il 27% è del parere che l'universo sia stato creato da Dio e che la scienza non sia in grado di spiegarne l'origine. Solo il 28% crede che l'origine dell'universo sia spiegabile in termini puramente scientifici. Il dato che fa riflettere è che per quasi la metà dei nostri connazionali la spiegazione scientifica e l'azione di Dio possono tranquillamente coesistere nella visione del mondo naturale. I cattolici trovano questo fatto «incoraggiante» e plaudono all'«apertura interdisciplinare» degli italiani. A uno scienziato, e a chiunque abbia a cuore la salute culturale della società, l'esito del sondaggio, invece, non può che apparire deprimente, giacché dimostra – e purtroppo non è una sorpresa – che nel grande pubblico regna una profonda incomprensione del metodo scientifico. In una famosa conferenza del 1941 su «Scienza e religione» (la si può leggere in Pensieri degli anni difficili, Bollati Boringhieri, 2014) Einstein spiegò che il «compito della scienza è quello di stabilire regole generali che determinino la connessione reciproca fra gli oggetti e gli eventi nello spazio e nel tempo», e aggiunse: «Quanto più un uomo è conscio dell'ordinata regolarità di tutti gli eventi, tanto più salda diventa la sua convinzione che non vi è posto, accanto a questa regolarità, per cause di natura differente. Per lui né la legge della volontà umana, né la legge della volontà divina esistono come causa indipendente degli eventi naturali». Il principio secondo cui non possono essere introdotti nel cosmo elementi di intenzionalità non è un aspetto secondario e negoziabile della scienza, ma uno dei suoi valori costitutivi, una regola imprescindibile del gioco. È grazie a questo «postulato di oggettività», come lo chiamava il grande biologo francese Jacques Monod (non a caso uno dei bersagli preferiti dei teologi cattolici), che la scienza è progredita e ha accumulato successi: respingendolo, non si costruisce un sapere più ricco e «interdisciplinare»; semplicemente, si esce dalla scienza. È peraltro evidente, sul piano logico, che se anche in un solo caso (al momento del Big Bang, per esempio, o nella transizione verso il genere Homo) ipotizzassimo un intervento soprannaturale, non avremmo motivo – a meno di non voler porre limiti a Dio – per non ammettere interventi simili in qualunque altra situazione.
Ne deriverebbe una conoscenza del tutto arbitraria, non assoggettabile a controllo: qualcosa di profondamente diverso da quella precisa forma culturale che va sotto il nome di scienza. Bisogna dunque essere chiari: il dialogo tra scienza e fede – questa ipotetica Grosse Koalition dello spirito – è impossibile, per l'essenza stessa delle due parti. Affermare ciò non significa essere fondamentalisti o inclini al conflitto; significa solo essere coerenti.
E infine, il fatto che la gente sappia, magari in modo superficiale, del Big Bang e dell'evoluzione, ma consideri questi processi governati da Dio, ci dice anche un'altra cosa: che la vera alfabetizzazione scientifica non passa attraverso la somministrazione di curiosità e di informazioni in pillole, bensì attraverso una più ardua opera di educazione ai meccanismi di funzionamento della scienza.

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