domenica 23 novembre 2014

Un episodio curioso della Guerra Fredda e tanta voglia di Fantastoria

IL MISTERO DELLA CORAZZATA RUSSALuca Ribustini: Il mistero della corazzata russa. Fuoco, fango e sangue, Luigi Pellegrini, pp. 142, euro 15

Risvolto
La notte tra il 28 e il 29 ottobre 1955 la più grande corazzata della flotta sovietica, il Novorossiysk, a seguito di una spaventosa esplosione, affonda nelle acque gelide del porto di Sebastopoli in Crimea, provocando oltre 600 morti. Le cause dell’affondamento non sono mai state completamente chiarite e molte delle circostanze sono rimaste avvolte nel mistero. La possente nave da battaglia batteva bandiera italiana, con il nome di Giulio Cesare, fino al 1949 quando fu ceduta ai russi come risarcimento di guerra secondo quanto previsto dal Trattato di Pace. A luglio del 2013 una clamorosa rivelazione riapre il caso: un ex incursore del gruppo Gamma della Xa Flottiglia MAS nel corso di un’intervista rilasciata all’autore del libro, rivendica senza esitazione la paternità del sabotaggio. Il grande risalto dato dalla stampa russa e ucraina alle dichiarazioni dell’ex incursore della Xa MAS e l’intenzione dei reduci della corazzata di chiedere un’inchiesta internazionale, convincono l’autore ad avviare un’indagine per avvicinarsi il più possibile alla verità dei fatti. Ribustini ricostruisce quella drammatica notte, le circostanze e il contesto storico e politico nel quale maturarono scelte, alleanze, coperture nazionali e internazionali. Quasi 150 pagine di documenti recuperati da archivi militari, civili e dei servizi segreti oltre a testimonianze esclusive rilasciate da personaggi coinvolti a vario titolo nella vicenda, costituiscono la mole di fonti che comporranno la sconcertante tesi finale del libro. La storiografia sovietica si è occupata a lungo della tragedia del Novorossiysk che ancora oggi suscita dolore, emozioni e risentimenti. In Italia il silenzio: di questa storia, per anni, nessuno ha mai voluto parlare.

     Bombe e misteri La guerra privata della X Mas contro la Marina bolscevica
LA CORAZZATA “GIULIO CESARE” ALLA FINE DEL CONFLITTO MONDIALE FU CEDUTA AI RUSSI: AFFONDÒ IN CRIMEA NEL 1955
di Luca Ribustini il Fatto 23.11.14
Questa è una storia poco nota rimasta sepolta per anni nei faldoni degli archivi e nella memoria dei protagonisti. In Italia era meglio non parlarne, in Russia, dopo trent’anni di silenzio, qualcosa cominciò a emergere dopo l’arrivo di Michail Gorbaciov. Il 28 ottobre 1955, nel porto di Sebastopoli in Crimea, la più grande corazzata della flotta sovietica, Novorossiysk, è ormeggiata di fronte all’ospedale della città Ucraina. Alle ore 1.30 del 29 ottobre una spaventosa esplosione squarcia lo scafo della nave a prua, provocando un’onda d’urto talmente forte da essere registrata dalle stazioni sismiche della regione. La possente nave da battaglia batteva bandiera italiana, con il nome di Giulio Cesare, fino al 1949 quando fu ceduta ai sovietici come risarcimento di guerra secondo quanto previsto dal Trattato di Pace. Il comandante non ordina l’abbandono nave ritenendo che la consistenza del fondale e la profondità dell’acqua consentano alla corazzata di non capovolgersi, ma commette un errore fatale. Alle 4.15 il Novorossiysk sprofonda nella sabbia inabissandosi, 604 marinai sovietici perderanno la vita. Dopo la tragedia venne istituita una commissione d’inchiesta che il 17 novembre 1955 presentò le sue conclusioni al Cremlino: ad affondare il Novorossiysk fu una mina magnetica tedesca RMH sfuggita all’opera di bonifica. Furono in pochi a credere che questa fosse la vera causa della tragedia, i marinai sovietici parlarono da subito di un atto di sabotaggio.
ALCUNI MESI DOPO, i rilievi fotografici e le relazioni dei sommozzatori sparirono. La corazzata fu demolita e con essa cancellate per sempre le preziose prove dei fatti accaduti.
Durante la mia inchiesta Viktor Saltykov – uno degli ultimi superstiti ancora in vita – mi raccontava che a tutti loro fu imposto il silenzio assoluto. Dopo la tragedia Viktor e il suo amico Leonid Smoliakov andarono a Leningrado dove riuscirono a sopravvivere tenendo accesa una caldaia per 360 rubli al mese. Avevano grandi speranze, il comunismo prometteva loro un avvenire di benessere ma Viktor già a vent’anni non crede alle “bugie che ci vengono raccontate”. Passa il tempo e lo scenario politico cambia, con Gorbaciov arriva la glasnost. All’inizio degli anni 90 Nikolaj Cerchasin confuta per la prima volta la versione ufficiale del Cremlino. Le voci di un possibile atto di sabotaggio prendono consistenza. Quando la vicenda sembrava sepolta assieme alla nave, una clamorosa rivelazione riapre il caso. A luglio del 2013 incontro per un’intervista un ex incursore dei reparti d’assalto del gruppo Gamma della Xª Flottiglia MAS, radiotelegrafista esperto in codici cifrati, agente dei servizi segreti italiani e, dall’8 settembre del 1943, agente dei servizi segreti tedeschi (SD, Sicherheitsdienst, ndr) agli ordini di Herbert Kappler e Karl Hasse, ottimo amico di Junio Valerio Borghese. Il suo nome è Ugo D’Esposito.
Durante la conversazione rivela senza alcuna esitazione che ad affondare il Novorossiysk fu un commando della Xª MAS. Decido di pubblicare l’intervista e sulla stampa russa e ucraina si scatena il finimondo. La notizia viene battuta dalle principali agenzie russe, la tv di stato della Federazione Russa manda in onda numerosi servizi da agosto a dicembre 2013. I superstiti ancora in vita annunciano l’intenzione di portare la vicenda davanti ad un tribunale internazionale e chiedere i danni all’Italia.
TRA LUGLIO e settembre del 2013, fase iniziale della mia inchiesta, la rivoluzione di Maidan è alle porte – giusto ieri l’altro 21 novembre ricorreva l’anniversario - e il clima che avverto intorno al mio lavoro è inquietante. Sulla stampa online giovani e giovanissimi russi e ucraini postano centinaia di commenti evocando Gulag e Siberia per “gli italiani” colpevoli della tragedia, punizioni esemplari per onorare la memoria degli “eroi” del Novorossiysk, “martiri del popolo della grande terra russa” che combatterono il “nemico americano” e i “fascisti di Mussolini”. Un armamentario lessicale che, accompagnato da stelle rosse, iconografie sovietiche e crest dell’Armata Rossa, mi ha lasciato sgomento. Roba che immaginavo sepolta sotto le macerie del Muro di Berlino, è invece vitale soprattutto tra le giovani generazioni come anche l'opinione diffusa - riportata il 21 novembre scorso dal giornalista russo Andrey Fediašin su La Voce della Russia - che sia in atto un processo di nazificazione dei centri di potere dell’Ucraina. Questo non è folklore ma residuati ideologici dati in pasto a popolazioni piuttosto disperate. Le opinioni raccolte in prima persona durante la diffusione della mia inchiesta, riflettono antichi rancori, storie di sopraffazione e violenza. Per molti cittadini dell’Ucraina, i russi sono quelli dell’Holodomor, il genocidio provocato da Stalin quando mise alla fame milioni di contadini ucraini. Per molti altri i russi sono il piccolo benessere conquistato e, soprattutto, una rassicurante identità collettiva che consente di sopravvivere alla disfatta del comunismo. Occuparsi di un fatto così tragico in questo contesto e dopo quasi sessant’anni significa avere la consapevolezza che la ricerca della verità dei fatti si scontra in primo luogo con la morte di molti dei protagonisti di quella vicenda, ma soprattutto con la reticenza o il silenzio di quelli ancora in vita, con gli insabbiamenti di Stato avvenuti sia da parte italiana che da parte sovietica. Solo alcuni dei sopravvissuti parlano, ma dicono poco e – probabilmente – non solo perché non sanno; forse hanno paura ed alcune cose non possono dirle. In questo contesto complesso è stato tuttavia possibile raccogliere testimonianze e ritrovare numerosi documenti coerenti con l’ipotesi di lavoro.

La corazzata russa affondata da camerati e servizi segreti Un saggio fa luce sul mistero della «Novorossiysk», fatta esplodere in Crimea il 28 ottobre 1955: responsabili ex membri dell’unità del principe Borghese 1 feb 2015  Libero GIUSEPPE PARLATO
Nella notte tra il 28 e il 29 ottobre 1955, nel porto di Sebastopoli, verso l’una e mezza, una violentissima esplosione squarciava lo scafo della Novorossiysk, la più grande corazzata della marina militare sovietica. I sismografi della Crimea a quell’ora registrarono una scossa di terremoto. Su questo fatto il governo, i comandi militari e i servizi sovietici non soltanto mantennero il più totale dei segreti, ma addirittura fecero di tutto per depistare coloro che volevano cercare la verità. Si disse che la nave aveva “inciampato” su una vecchia mina magnetica tedesca, sfuggita non si sa come alla meticolosa opera di bonifica fatta dopo la guerra.
Il bilancio umano fu disastroso. Il comandante non credeva che la nave si inabissasse davvero, ma che si adagiasse solo sul fondale, mentre invece affondò nel fango imprigionando gli uomini nello scafo. Per giorni si sentirono le loro voci e i loro canti disperati. Morirono così, per l’imperizia del comandante, centinaia di uomini, oltre a quelli morti nell’esplosione. In tutto ben 604. La storia, incredibile e inquietante, è raccontata, con lo stile dell’inviato e del detective, in un bel libro di Luca Ribustini dal titolo Il mistero della corazzata russa. Fuoco, fango e sangue ( Luigi Pellegrini, pp. 142, euro 15).
Ma quella maledetta nave non era stata sempre sovietica. Fino al 1949 si chiamava Giulio Cesare ed era la più grande corazzata della Marina italiana. Fu ceduta ai sovietici come risarcimento dei danni di guerra insieme con tante altre navi.
La tesi del governo sovietico non convinse nessuno, neppure i sovietici, i quali, quando arrivò al Cremlino Gorbaciov cercarono di venire a capo della faccenda, parlando di nuovo, come già si era fatto prima, di un sabotaggio da parte degli italiani. L’autore, meticolosamente, mette insieme tutti i dati e controlla i documenti passando dall’Archivio centrale dello Stato alle carte della Cia e dell’Oss, dal Sifar allo Stato Maggiore; a questo punto sono molti i dubbi e le coincidenze. I neofascisti avevano già tentato un sabotaggio a Taranto per evitare che la Cristoforo Colombo, la nave scuola della Marina italiana, fosse consegnata ai sovietici. Tra questi c’erano molti della Decima Mas, l’unità di Junio Valerio Borghese che aveva fatto saltare durante la guerra diverse navi britanniche e che nel 1943-45 aveva continuato la guerra a fianco dei tedeschi.
La svolta, clamorosa, è l'incontro dell’autore con un militare della Decima, Ugo D’Esposito, il quale tranquillamente ammette di avere fatto parte del gruppo che aveva minato la corazzata sovietica. Ribustini è molto prudente, ha qualche dubbio, ma ci sono anche forti elementi che portano, se non a vedere in lui il responsabile, certamente a individuare nei neofascisti e nella Decima i probabili esecutori. Inoltre c’è la data, abbastanza indicativa, il 28 ottobre, anniversario della Marcia su Roma.
C’è anche molto altro, che non riveliamo per non togliere al lettore la sorpresa. Resta da dire che nella storia non ci sono solo i neofascisti, ma anche lo Stato, in particolare i comandi militari e i servizi segreti. Infatti, sarebbe stato assai difficile inviare un mercantile nel porto di Sebastopoli, come probabilmente avvenne, e fare quel che si era deciso di fare senza la discreta presenza di qualcuno che avallasse l’operazione...
Un’operazione che non solo ha il sapore della vendetta italiana contro chi si era appropriato delle nostre navi, ma che soprattutto si inserisce nel complesso e pesante clima da Guerra Fredda di quella metà degli anni Cinquanta.

Nessun commento: