Francesco Antinucci: Spezie. Una storia di scoperte, avidità e lusso, Laterza
Risvolto
Le spezie: una merce inutile, priva di valore nutritivo, curativo o pratico, che ha mosso il mondo.
Per lungo tempo – decine di secoli – le spezie hanno influenzato
l’economia del mondo (di tutti i mondi, antico, medioevale, moderno) e
di conseguenza hanno determinato gran parte della sua storia. Il
prodotto più trasportato di questi che oggi chiameremmo ‘a elevato
valore aggiunto’ è stato, ad esempio, il pepe, una sostanza che non
serve ad alcuna funzione, come d’altronde tutte le altre spezie. Ma
perché l’uomo desidera tanto – anzi, sopra ogni cosa – prodotti
totalmente inutili? Perché in realtà essi assolvono a una funzione
ancora più importante di quelli utili: se quelli utili servono a
mantenerlo in vita, quelli inutili servono invece a rappresentarlo.
E siccome la costruzione della propria immagine è stata ed è per l’uomo
più importante di qualunque valore funzionale, la corsa alle spezie ha
dato vita alla più lucrosa attività economica della storia umana.
Francesco Antinucci racconta questa storia e la storia del veicolo
primario delle spezie: l’arte culinaria. Alla fine di ogni capitolo
ciascuno troverà le istruzioni per farne esperienza diretta, attraverso
le ricette più tipiche e più eseguibili della cucina della Roma antica,
del Medioevo e del Rinascimento.
Per una noce moscata l’Olanda perse New York Battaglie coloniali, viaggi avventurosi, avidità mercantili così il pepe & C hanno cambiato i gusti e condito ricchezzeRocco Moliterni Tuttolibri 8 11 2014
Se volete capire i gusti che andavano di moda in cucina nella Roma imperiale, più che mangiare in un’osteria di Trastevere, vi conviene sedervi al tavolo di un ristorante cinese a Pechino come a Shangai. Perché solo nei piatti cinesi ritroverete, ad esempio, quegli accostamenti di agro e piccante (tipici di una salsa come il liquamen) che sulle nostre tavole sono ormai scomparsi. E quei gusti avevano il loro segreto nelle spezie, di cui i romani, come riferisce Apicio nel suo celeberrimo De re coquinaria, facevano abbondante uso. A raccontarci l’epopea di questi esotici ingredienti, che hanno segnato la cucina occidentale dal tempo dei romani almeno fino alla vigilia della rivoluzione industriale, è il saggio di Francesco Antinucci Spezie. Una storia di scoperte, avidità e lusso.
Si tratta di un saggio, ma a leggerlo ti prende più di un romanzo d’avventure. Mostra come la grande storia, quella con la S maiuscola che parla di imperi, battaglie, conquiste e scoperte geografiche, sia in realtà strettamente connessa a quello che i poveri ma soprattutto i ricchi mettevano in tavola. Se infatti per i poveri la cucina è questione di sopravvivenza, per i ricchi e i potenti diventa anche e soprattutto una questione di status. Si rappresenta la propria condizione sociale attraverso i cibi che si è in grado di offrire ai propri ospiti. Oggi si mangia caviale non perché le uova di storione siano più buone o nutrienti di altri alimenti (nel Rinascimento si lasciavano ai contadini come scarto del pesce), ma perché la sua rarità e il suo costo ne fanno un cibo «prelibato». Nell’antichità e nel Medioevo una cosa simile accadeva con il pepe.
Già i romani, per approvvigionarsene, avevano scoperto le rotte che dall’Egitto portavano in India. E già ai tempi dei romani i profitti che si ricavavano commerciando spezie erano tali da ripagare ampiamente i rischi che si correvano per raggiungere quei luoghi lontani. Alle spezie si deve buona parte della fortuna della Serenissima: in un’epoca in cui le scorrerie dei saraceni rendevano difficile navigare nel Mediterraneo, i legami che Venezia manteneva con Costantinopoli le permettevano di rifornirsi di pepe, cardamomo & C. Non basta: alle spezie, e in particolare alla noce moscata, si deve il fatto che New York non si chiami Nuova Amsterdam, perché gli olandesi barattarono con gli inglesi le proprie conquiste in America pur di non averli tra i piedi, o meglio, tra le Molucche e le altre isole dell’Indonesia dove si produceva quella spezia. Peraltro, fu proprio il monopolio degli olandesi su certe rotte a far «innamorare» del tè (che non è propriamente una spezia, ma si guadagna il capitolo finale del libro con il caffè e il cioccolato) gli inglesi: la loro Compagnia delle indie si concentrò su questa pianta originaria della Cina e la fece diventare di moda nei locali più in voga di Londra. En passant: per un breve periodo il bel mondo londinese si era invece infatuato del caffè, solo che nei locali dove si consumava questa bevanda l’ingresso alle donne era interdetto, mentre nelle sale da tè il gentil sesso la faceva quasi da padrone.
Il coraggio e la perizia dei navigatori, che affrontavano gli oceani per andare a rifornirsi di spezie, non portò solo alla scoperta dell’America, ma fece anche sì che paesi piccoli come il Portogallo o l’Olanda riuscissero a conquistare imperi o terre ben più grandi dei loro stessi confini europei. Con due modelli diversi: lo statalismo portoghese, che con il tempo portò al tramonto dell’egemonia lusitana, e il modello privatistico degli olandesi, che permise loro di acquisire ricchezze immense per secoli.
Ma il libro di Antinucci è anche un libro di cucina, perché spiega e documenta secolo dopo secolo come si siano modificati i gusti e come le spezie abbiano giocato un ruolo centrale in queste modificazioni. Ci sono confronti di ricette e di piatti di cuochi o gastronomi famosi, dal già citato Apicio a Bartolomeo Scappi. Il cuoco rinascimentale di papa Pio V ebbe la «sfortuna» di vedere il pontefice della Controriforma puntare su una vita ascetica e connotata da pasti frugali. Il che, paradossalmente, si rivelò una fortuna per noi: avendo molto tempo a disposizione, Scappi ci ha lasciato un monumentale trattato che ci permette di capire cosa e come mangiassero le corti dell’epoca.
Antinucci sfata anche il luogo comune della discontinuità tra la cucina medievale e quella rinascimentale. La vera discontinuità, ossia la nascita della cucina moderna, si ha solo nel XVII secolo in Francia, con la riscoperta dei sapori «veri» degli alimenti. Il che significa il tramonto delle spezie, che quei sapori erano chiamate sovente a camuffare.
Edoardo Castagna Avvenire 23 gennaio 2015
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