lunedì 1 dicembre 2014

Barbara Spinelli pro domo sua: il lato a perdere del partito di Repubblica

La sovranità assente
Una critica che è in realtà una apologia, totale incomprensione delle contraddizioni di fondo, una pervicace incapacità di immaginare una realtà diversa, un'ipoteca pesantissima sulla "sinistra" [SGA].

Barbara Spinelli: La sovranità assente, Einaudi pagg. 78 euro 10

Risvolto
Solo se l'Europa diventa lo spazio dove si organizza la politica e la discussione democratica - se diventa l'istituzione intermedia fra Stati e mondializzazione, fra cittadini e mercati anonimi - ciascuna nazione potrà ridivenire padrona di sé. Altro che Europa light, senza piú regole. Di un'Europa pesante c'è bisogno, e di regole stringenti, ma radicalmente nuove. 
Come è stato possibile che si sia finiti col parlare d'Europa come di un sogno da cui meglio sarebbe risvegliarsi? Secondo Barbara Spinelli l'Europa è a un bivio ma si comporta come se non lo sapesse. Il tuonare dei governi contro gli eurocrati distruttori del sogno europeo è una scusa per nascondere le loro responsabilità. La trojka che ha vessato Grecia, Portogallo, Irlanda, è una loro creazione e lo è anche il Fiscal compact che incombe sulle nostre già fragili finanze. Sono gli Stati ad aver deciso di rispondere alla crisi scoppiata nel 2007 uccidendo la vocazione solidale dell'Unione, ignorando le ragioni per cui nacque, opponendo i paesi forti del centro alle sue nuove periferie. Occorre ripartire dalla visione del Manifesto di Ventotene per far sí che il Parlamento europeo esca dal suo sonno e scriva finalmente la Costituzione che i cittadini europei non posseggono e cui hanno diritto. Che metta l'economia e la moneta al servizio della politica e dei cittadini: non il contrario come avviene oggi.

“La sovranità assente” comprende tre saggi di Barbara Spinelli
Istruzioni per ricominciare a credere nella politica dell’Unione Europea Una riflessione per cambiare le regole comuni e superare la delusione degli Stati 

di Federico Fubini Repubblica 1.12.14
UNO spartiacque dev’essere stato passato in Italia, se uno dei Paesi più tradizionalmente aperti all’integrazione europea oggi inizia a rispondere in modo sorprendente. All’ultimo sondaggio della Commissione di Bruxelles, della primavera scorsa, risultano gli italiani (con i lettoni) i cittadini dell’Unione più convinti che loro loro voce non conti in Europa. Con francesi, britannici e greci, gli italiani sono anche i più pessimisti sul futuro dell’Unione europea. Con spagnoli, portoghesi e greci, sono ancora una volta loro i più negativi sulla situazione dell’economia. E persino più degli abitanti Paesi visitati dalla troika, sempre gli italiani sono gli europei fra i quali la popolarità dell’euro è scemata di più nell’ultimo anno. A differenza che in Spagna, o in Grecia, ormai la maggioranza risponde ai sondaggi esprimendo la propria avversione.

Dev’essere successo qualcosa, qui più che in altri Paesi colpiti dai traumi di questi anni. Dev’essere stata superata una soglia che rende l’ultimo libro di Barbara Spinelli, La sovranità assente ( Einaudi) materiale di riflessione incandescente e prezioso anche per chi non concorda con le sue tesi. Barbara Spinelli oggi siede nel Parlamento europeo, eletta in quella che in Italia si è presentata come Lista Tsipras, il leader della sinistra radicale oggi in testa ai sondaggi ad Atene. Come Tsipras, Spinelli contesta con forza le politiche economiche dell’area euro e il modo in cui esse vengono decise, e proprio la natura di quella lista è il contesto ideale ai saggi di Sovranità assente : persino all’apice dello stress sociale e del naufragio dell’idea europea, una formazione politica in Italia diventa riconoscibile sotto il nome di un leader di un altro Paese dell’Unione. Lo fa in nome di un dibattito comune, per quanto sofferto esso sia. È su questa tela di fondo che Barbara Spinelli nel primo dei tre saggi del volume (“Un futuro già scritto”) invita a osare un esercizio troppo spesso dimenticato: smettere di pensare al presente e al futuro come dimensioni dominate dalla necessità, anziché dalla possibilità. Qualcun altro lo definirebbe un manifesto contro il “pensiero unico”, Spinelli invece preferisce chiamare in causa il narratore di un’altra fase storica in cui gloriose istituzioni rivelano la loro fragilità e avviene l’impensabile: Robert Musil e l’incrinarsi dell’Impero austro-ungarico. Nell’ Uomo senza qualità, ricorda Spinelli, Musil descrive l’uomo dotato di senso della realtà, che non dice: «Qui è accaduto, accadrà o deve accadere questo oppure quello», bensì: «Qui potrebbe o dovrebbe accadere un certo evento, ma potrebbe benissimo essere diverso».
Il messaggio non potrebbe essere più chiaro: un’Europa dominata dal determinismo, dal rifiuto di ammettere alternative possibili, non può che infrangersi contro gli scogli. Gli europei stessi finiscono per voltarle le spalle. «L’utopia europeista non si accontenta della forza dei fatti, pur ritenendo i fatti degni della massima considerazione – scrive Barbara Spinelli – e reputa deleterio il pragmatismo di chi giudica possibile solo quello che al momento esiste». Nel merito, le posizioni della Lista Tsipras possono rappresentare la maggioranza relativa in Grecia, una minoranza in Italia o non raccogliere adesioni in Germania. Ma questo non libera chi dissente da esse dall’obbligo di misurarsi con quella che Spinelli chiama «la storia virtuale, fatta di bivi e crocicchi», quella dei “criticoni idealisti”. Ritenere a priori che esista una sola risposta possibile alla crisi, sia essa quella preferita dalla Bundesbank o il suo opposto, non può che impoverire le idee e portare a un vicolo cieco. La stessa rivisitazione che Spinelli fa del “Manifesto di Ventotene”, la prima pietra dell’europeismo europeo posata da un gruppo di confinati in pieno fascismo (fra essi suo padre Altiero Spinelli) contiene una lezione attuale: era un messaggio contro il nazionalismo, ma anche contro quel veleno della coesistenza civile che si chiama povertà. Mai come ora ha senso parlare di ieri per capire i pericoli di oggi.

Il senso della rabbia 
L’Europa dei “Leviatani impazziti”
di Stefano Feltriil Fatto 6.12.14
In un’epoca di populismi sguaiati e slogan da felpa, Barbara Spinelli si assume un compito nobile e forse inutile: dare argomenti a una rabbia tanto diffusa quanto generica, incanalare il malessere contro l'Europa verso i giusti bersagli.
“La sovranità assente” è un libro breve ma denso, pubblicato da Einaudi, che raccoglie le idee che hanno portato l'editorialista di Repubblica alla sofferta scelta di passare dal commento alla politica attiva, candidandosi all'Europarlamento con la lista Tsipras. La Spinelli ha un punto di vista che in Italia è assai poco diffuso mentre nel dibattito internazionale trova il più autorevole referente nel filosofo tedesco Jürgen Habermas: la responsabilità del disastro europeo non è tanto delle tecnocrazie, dei funzionari della Commissione o di quelli della Bce, non è neppure degli gnomi senza volto e senza voti della Troika che impongono sacrifici sulle sponde del Mediterraneo. No, se dobbiamo prendercela con qualcuno, allora il giusto bersaglio della rabbia popolare devono essere i “Leviatatani impazziti”, come li chiamava il Manifesto di Ventotene di Spinelli padre, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni. Cioè gli Stati nazionali, quei governi che hanno prodotto tanti danni con la loro “veduta corta” perpetuando l'illusione che il vero problema fosse mantenere la sovranità a livello nazionale, fingere che il mondo non stia cambiando. Difendere lo status quo, nota acutamente la Spinelli, non protegge l'interesse nazionale, ma quello di minoranze che temono di rinunciare ai loro privilegi, piccoli e grandi. Come scriveva Niccolò Machiavelli, il cambiamento “ha per nimici tutti quelli che delli ordini vecchi fanno bene, et ha tiepidi difensori tutti quelli che delli ordini nuovi farebbono bene”. Sono i governi, quello di Berlino su tutti, ad aver anteposto le esigenze nazionali su quelle comuni. Ma scegliendo quello che nella Teoria dei Giochi si chiama atteggiamento “non cooperativo” hanno danneggiato tutti, inclusi loro stessi.
HABERMAS SI CONCENTRA sull'aspetto istituzionale, censurando la predominanza del Consiglio europeo (coordinamento dei governi) su Parlamento e Commissione. La Spinelli si preoccupa prima di conquistare i cuori e le menti: bisogna cambiare la testa dei politici prima che l'architettura istituzionale. Questa non è l'unica Europa possibile e inevitabile, si possono osare affermazioni ardite, come che l'ordine seguito alla pace di Westfalia del 1648, la nascita dello Stato moderno, non sia l'equilibrio a cui ritornare sempre, ma una lunga parentesi che è giusto chiudere nell'era della globalizzazione.
Barbara Spinelli trova nella cronaca recente molti argomenti per dimostrare che il problema europeo è di ideali e progetti, più che di trattati internazionali. La crisi economica non c'entra con l'ignavia di Bruxelles di fronte ai massacri a Gaza, con l'incredibile timidezza nella gestione della crisi Ucraina e all'esproprio territoriale della Crimea, o alla passività di fronte alla crisi siriana per non parlare dell'incapacità di affrontare la questione delle migrazioni con una prospettiva diversa da quella dello scarico di responsabilità verso il basso (e all'Italia nello specifico).
Dove ritrovare dunque la “sovranità assente”? Come si passa dalle nostre ormai inadeguate democrazie nazionali a una più compiuta ed efficace sovranità europea? La Spinelli sembra auspicare un percorso in cui a ogni cessione di potere si accompagna un aumento di legittimità, senza che si creino quei vuoti democratici che accompagnano tutta la storia dell'integrazione europea. Purtroppo questo è impossibile, la crisi costringe l'Europa a procedere per strappi e forzature, commissariando invece che condividendo l'autorità, ignorando le proteste invece che recependo le loro istanze, moltiplicando vertici a porte chiuse e riducendo spazi di confronto.
O HA RAGIONE la Spinelli, e questa Europa è in una fase terminale da cui non si riprenderà a meno di uno scatto vigoroso che oggi pare remoto. Oppure l'europarlamentare di Tsipras ha esagerato col pessimismo e gli ideali delle origini sono rimasti, per quanto rarefatti e geneticamente mutati, dentro la cultura istituzionale dell’Unione e stanno spingendo il continente, in modo sofferto, sgraziato, sicuramente iniquo, verso quella maggiore integrazione che anche la Spinelli auspica.

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