Cultura islamica di padre Dante
domenica 14 dicembre 2014
Dante maomettano e islamico
Miguel Asín Palacios: Dante e l'Islam. L'escatologia islamica nella Divina Commedia, introduzione di Carlo Ossola, traduzione di R. Rossi Testa e Y. Tawfik, Luni editrice, Milano, pagg. XXX + 686, € 32,00
Risvolto
La visione escatologica dantesca viene
paragonata sistematicamente con altri immaginari regni ultraterreni
descritti in opere letterarie e religiose arabe. L'ascensione di Dante e
Beatrice attraverso le sfere del Paradiso e quella di Maometto da
Gerusalemme al trono di Dio, preceduta anch'essa da un viaggio notturno
attraverso le dimore infernali, si rivelano sorprendentemente affini;
l'architettura stessa dell'oltretomba dantesco troverebbe, secondo Asin
Palacios, un illustre precedente nella tradizione mussulmana.
Cultura islamica di padre Dante
Cultura islamica di padre Dante
di Carlo Ossola Il Sole Domenica 14.12.14
«Hic
incipit liber qui arabice vocatur Halmahereig, quod latine
interpretatur: "in altum ascendere". Hunc autem librum fecit Machometus
et imposuit ei hoc nomen» («Qui comincia il libro che in arabo si
intitola Halmahereig, che in latino significa: "salire in alto".
Maometto lo compose, e gli diede tale nome»). Ben prima che Enrico
Cerulli pubblicasse, nel 1949, il Libro della scala. La questione delle
fonti arabo-spagnole della Divina Commedia, un grande studioso spagnolo,
Miguel Asín Palacios (Saragozza, 5 luglio 1871 - San Sebastián, 12
agosto 1944) aveva posto, con una erudita e vastissima messe di
allegazioni, il problema dei contatti tra la struttura della visione di
Dante e le tradizioni del l'ascensione o mi'ra-'g´ di Maometto nei regni
dell'oltretomba.
Il suo saggio La escatología musulmana en la
Divina Comedia, pubblicato nel 1919, suscitò polemiche enormi; non si
riconosceva più, nell'autore, il sacerdote pieno di dottrina che aveva
edito l'Averroísmo teológico en Santo Tomás de Aquino (1904), bensì un
avventuroso e incauto assertore di contatti immaginari, e proprio alla
vigilia del VI centenario della morte di Dante (1921). Naturalmente il
libro non venne tradotto in italiano, ma trovò un recensore attento nel
grande arabista francese Louis Massignon, che gli consacrò, nello stesso
1919, un lungo saggio ora ripreso, da Andrea Celli, nel prezioso volume
dello stesso Massignon, Il soffio dell'Islam. La mistica araba e la
letteratura occidentale (Medusa, 2008). Asín conosceva i resoconti del
viaggio di Ricoldo da Montecroce, ma morì prima di aver potuto vedere
l'edizione del Liber de scala, che certo avrebbe portato ben altri
suffragi alle sue tesi (esso è ora edito da Anna Longoni, Rizzoli-Bur,
2013). Nei cinquant'anni dalla morte di Asín Palacios proposi
all'editore Pratiche di pubblicare il volume (nell'ottima traduzione di
Roberto Rossi Testa e Younis Tawfik) e da allora il libro si è
ristampato, sino alla presente edizione, nella quale propongo il
bilancio di ulteriori vent'anni di indagini. Dalle parallele ricerche di
Maria Corti, e poi di più giovani studiosi – da Andrea Celli a Luciano
Gargan –, è apparsa evidente l'ampia circolazione occidentale del Liber
de scala, sino alla menzione di una copia del Liber de scala
nell'inventario della biblioteca di un domenicano bolognese ai tempi di
Dante.
Ora non si tratta né di attingere a tipologie intemporali che
riunifichino i culti, come fece Frazer, e neppure di voler immaginare
filiazioni dirette, bensì – ben vide Maria Corti – ritrovare
costellazioni di testi e di senso che circolarono con libertà e
influenze reciproche nel Mediterraneo della fine del Medioevo
(Mediterraneo oggi irriconoscibile, per fratture e reciproca ignoranza,
rispetto alla sua storia plurimillenaria). Si tratta, ancor più, di
sceverare ciò che è della "memoria collettiva" di tutte le tradizioni
semitiche (ad esempio, il capitolo XXXIII che «parla del Paradiso in cui
fu creato Adamo, e dei fiumi che in esso si trovano») da ciò che è più
tipico di una tradizione araba che si innerverà in Occidente («Il XXVI
capitolo parla di come Dio fece molteplici mondi e creature di
molteplici specie»), e dai luoghi che possono aver suscitato
l'attenzione di Dante e che ho ampiamente esaminato nell'"Introduzione".
Oggi,
nel ripubblicare il volume, occorre riconoscere la funzione storica che
il saggio ebbe, e rendere onore a Miguel Asín Palacios, probo e
coraggioso nel l'aprire un problema storiografico, che non è spento. I
libri servono a suscitare ricerche: e mi auguro che questa edizione,
prima che nuovi giudizi, riapra le porte dell'inchiesta storica, sì che
rientri il vento delle generazioni che corsero le acque e le terre, come
vide Julio Cortázar per la parabola di Marco Polo: «Con il mio nome /
ho gettato sulle porte la pergamena aperta» (Marco Polo ricorda).
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento