venerdì 12 dicembre 2014
Giustizia per Berija
Un giornale molto vicino al Cremlino riabilita il boia di Stalin: “Era un riformatore”
di Nicola Lombardozzi Repubblica 12.12.14
MOSCA
MA ERA veramente così cattivo? Quello che per anni è stato solo un
raffinato e poco pubblicizzato dibattito tra storici, da ieri è un tema
alla portata di tutti i cittadini russi. Tutti hanno saputo dai libri di
scuola, e da tanti aneddoti popolari, delle nefandezze e delle crudeltà
al limite del sadismo commesse da Lavrentij Berija, per anni a capo del
famigerato Nkvd (Commissariato del popolo per gli affari interni), e
protagonista degli ultimi anni del terrore staliniano. Adesso però
Nezavisimaya Gazeta , uno dei giornali più vicini al regime attuale, ha
deciso di pubblicare un complesso collage di lettere, documenti, e
testimonianze, in gran parte inediti. A leggerle, e limitandosi a queste
informazioni, verrebbe spontaneo schierarsi sulla tesi dei pochi
storici revisionisti convinti che Berija sia stato un capro espiatorio,
eliminato dai suoi compagni di partito, Krusciov in testa, perché
considerato un pericoloso riformatore del regime sovietico. Addirittura,
azzarda qualcuno, una sorta di Gorbaciov ante litteram. Il giornale non
fa alcun commento. Si limita a pubblicare le carte in occasione del
61esimo anniversario della morte di Berija. Ma in un Paese in cui la
dietrologia è di casa, tanti pensano che ci sia un tentativo di
trasformare in una vittima quello che per anni è stato definito “il boia
dello stalinismo”.
Le “nuove” carte risalgono alla primavera del
1953. Stalin è morto il 5 marzo. I dubbi sulla sua fine non sono ancora
dissipati. Nelle memorie del ministro degli Esteri, Molotov, sarebbe
stato proprio avvelenato da Berija che comunque viene nominato vice
primo ministro. Seconda carica per importanza rispetto a quella di
Georgij Malenkov, primo ministro. Il futuro leader dell’Urss, Nikita
Krusciov, tesse le sue trame da segretario del Partito. Nelle lettere
pubblicate ieri il “boia” Berija si rivolge a Malenkov chiedendogli di
svuotare le carceri sovietiche. Il 26 marzo scrive: «Tra campi di lavoro
e prigioni, ci sono 2.526.402 detenuti. Propongo una amnistia totale». E
spiega pure il perché: «La detenzione nei campi, il distacco dal mondo,
le privazioni continue, portano alla distruzione delle famiglie e della
loro vita». Ma non basta, Berija ammette che molti sono nei detenuti
ingiustamente: «La maggioranza è di ottima condotta, ha attitudine al
lavoro e può in condurre una vita onesta». E conclude: «La revisione
della nostra legge penale è necessaria e urgente. Ogni anno vengono
condannate un milione e mezzo di persone. La maggio parte per delitti
che non rappresentano un reale pericolo per lo Stato».
Berija sarebbe
stato arrestato con un blitz dell’esercito il 23 giugno del 1953,
accusato di essere una spia britannica. Prima però ebbe il tempo di
un’altra iniziativa che sembra smentire il personaggio sanguinario
passato alla Storia. Sempre in una lettera a Malenkov chiedeva infatti
di riaprire uno dei casi più sconcertanti di repressione staliniana.
Alla fine del 1952 era stata annunciata la scoperta di una
organizzazione segreta di medici, in gran parte ebrei, che avrebbero
sottoposto i loro pazienti a cure letali allo scopo di seminare il
panico nel popolo sovietico. Una provocazione che scatenò arresti in
serie di illustri accademici e di medici di ogni rango e fece esplodere
un’isteria antisemita di massa. La cosa fu smascherata molto tempo dopo
negli anni della destalinizzazione. Ma appunto il primo aprile ‘53, era
proprio Berija a denunciare le false accuse: «In seguito alle mie
dettagliate verifiche ho stabilito che è stata tutta un’invenzione
dell’ex vice ministro Rjumin, compiuta a fini criminosi di carriera.
Basandosi su presunti interrogatori non documentati di un professore già
defunto in carcere, ha fabbricato la sua versione inesistente». E
aggiungeva: «Propongo di riabilitare tutte le vittime della persecuzione
e indagare su tutti i responsabili dei servizi segreti colpevoli delle
false accuse. Ma anche di cambiare le leggi sovietiche per impedire
altri casi del genere in futuro». Non sono parole da “boia”. Ma il
dilemma storico resta. Berija scriveva in coscienza o per scaricare le
sue responsabilità? Arrestato in giugno, fu ucciso senza processo
nonostante le sue implorazioni ai “cari compagni”. Tra le tante versioni
sulla sua morte ce n’è una riportata da Indro Montanelli nella quale il
futuro leader dell’Urss raccontava, un po’ alticcio, a un esterrefatto
Giancarlo Pajetta: «Lo invitammo a una seduta del Comitato Centrale e lo
strangolammo con le nostre mani».
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento