mercoledì 3 dicembre 2014

Il Marco Polo di Marina Montesano

Marina Montesano: Marco Polo, Salerno edizioni

Risvolto
La fama planetaria del "Milione" ha dato origine a una bibliografia smisurata a fronte della quale i profili biografici di Marco Polo sono pochi. Colpa dei dati oggettivi scarni che abbiamo sul personaggio. Sappiamo che rimase in viaggio, lontano da Venezia per circa 25 anni, ma all'interno di quel periodo della sua vita poche sono le scansioni cronologiche sicure. Gli studi filologici e storici hanno portato ad affinare le nostre conoscenze sul testo, e quindi indirettamente, sul suo autore, ma il "Milione" resta un libro misterioso. È un diario di viaggio? Un mélange di fantastico e di reale? È un testo di pratica di mercatura arricchito dalla prosa del Rustichello? Per rispondere a queste domande partiremo dal contesto originario del veneziano: il Mediterraneo nella seconda metà del Duecento e lo seguiremo in viaggio, lungo la via della seta, fino alla Cina e all'India. Ripercorreremo con lui i luoghi che visitò per scoprire uno sguardo molto più attento alla realtà di quanto non si creda; uno sguardo che non si soffermava solo sulle merci e le ricchezze, ma che comunicava all'Occidente particolari inediti sull'antropologia, i costumi, i riti, delle società osservate. Se ancora oggi emergono dubbi sulla realtà del viaggio di Marco Polo, la posizione di questo libro è chiara: il veneziano visitò l'Asia e la descrisse come nessuno aveva mai fatto prima di lui. E poiché la vita è un viaggio, il viaggio di Marco Polo sarà la sua biografia.
Il rompicapo del mercante


Saggi. «Marco Polo» di Marina Montesano, pubblicato da Salerno edizioni. Un libro che indaga sulla biografia del grande viaggiatore e fa entrare il lettore nei rituali medievali del macrocontinente euroasiatico 
Franco Cardini, il Manifesto 3.12.2014
Della vita di Marco Polo, il grande viag­gia­tore vene­ziano, sap­piamo poco e a meno di un qual­che mira­co­loso ritro­va­mento docu­men­ta­rio (e sono mira­coli che pur suc­ce­dono, quando si fre­quen­tano gli archivi) con­ti­nue­remo a saperne poco. Al riguardo, ci restano sì e no una decina di carte sicure, tra cui un testa­mento e una lista di beni che include alcune cose por­tate dall’Oriente. Al con­tra­rio sap­piamo, o ci sem­bra di sapere, mol­tis­sime cose della sua opera, quella che gli ita­liani cono­scono col gene­rico, insi­curo e con­ven­zio­nale titolo Il Milione e che pare sia uno dei libri più letti al mondo.



Non è una bio­gra­fia
Stretta in que­sto para­dosso – un autore semi­gnoto, un’opera arci­nota -, la «que­stione poliana» è ormai da molti decenni una fac­cenda intri­ca­tis­sima che nulla ha da invi­diare in com­ples­sità alla «que­stione ome­rica» e che ha fatto ver­sare i rituali fiumi d’inchiostro e riem­pito i non meno rituali chi­lo­me­tri di scaf­fali. Ora, non vogliamo certo soste­nere che il Marco Polo di Marina Mon­te­sano (Salerno Edi­zioni, 2014, pp. 333, euro 22) sia pro­prio la spada di Ales­san­dro in grado di reci­dere que­sta spe­cie di «nodo di Gor­dio» della nostra let­te­ra­tura medie­vale e di tutta la filo­lo­gia con­tem­po­ra­nea: ma certo ci va vicino. A onta del titolo, non è una bio­gra­fia del mer­cante e viag­gia­tore vene­ziano, per quanto gli ingre­dienti bio­gra­fici vi siano tutti. E non è nem­meno un’esposizione e/o una «rivi­si­ta­zione cri­tica» della sua opera, tan­to­più che uno dei punti più affa­sci­nanti e diver­tenti di que­sto libro è pro­prio la deco­stru­zione di quello che impro­pria­mente si con­si­dera il suo titolo, e dell’identità del suo autore, o magari dei suoi coau­tori. E, badate, siamo dinanzi a tutt’altro che a un testo ine­si­stente o fit­ti­zio: al con­tra­rio, siamo dinanzi a un libro che esi­ste fin troppo; magari fino a pre­sen­tarsi come ben più di uno. Anzi, qui sta la chiave del puzzle. 
Marina Mon­te­sano, docente nell’Università di Mes­sina e in quella del San Raf­faele di Milano, è una medie­vi­sta con una buona for­ma­zione di sto­rica attenta alle que­stioni sia filo­lo­gi­che sia antro­po­lo­gi­che, è ben cono­sciuta – oltre che come elze­vi­ri­sta de il mani­fe­sto – anche per i suoi studi sulla cri­stia­niz­za­zione dell’Europa, sulla cul­tura fol­klo­rica medie­vale e sulla stre­go­ne­ria. Allieva di Anthony Molho alla Brown Uni­ver­sity del Rhode Island, ha al suo attivo una densa ricerca storico-antropologica sulla novel­li­stica tre­cen­te­sca toscana: e già que­sto la pre­di­spo­neva da tempo all’incontro con l’opera poliana, o quanto meno con le sue ver­sioni appunto in vol­gare toscano. Insomma, sem­brava la can­di­data ideale per scri­vere una vita di Marco Polo da inse­rire nella pre­sti­giosa col­lana «Pro­fili» a suo tempo fon­data da Luigi Firpo e diretta adesso da Giu­seppe Galasso, Andrea Giar­dina e Ghe­rardo Ortalli. Una codi­re­zione di tre stu­diosi tanto illu­stri, ma anche così diversi tra loro per indi­rizzi scien­ti­fici, era fatta appo­sta – e va detto – per acco­gliere una mono­gra­fia come que­sta, ch’è tutto meno che histo­ri­cally cor­rect. 
Per­ché, in realtà, Mon­te­sano sem­bra dimo­strare che: primo, una bio­gra­fia di Marco Polo, poche e nem­meno sem­pre rile­vanti noti­zie docu­men­ta­ri­sti­ca­mente «sicure» a parte, non esi­ste se non rica­va­bile in fili­grana dalla sua opera; secondo, non è affatto certo che pure quest’opera esi­sta, o meglio che sia sul serio «sua» (anche se, alla fine, si sco­pre che l’autrice sostiene — fie­ra­mente — appunto la pater­nità poliana di qual­cosa che invero esi­ste eccome).

Un puzzle di fonti

Pro­viamo a spie­garci meglio. L’assunto di par­tenza di que­sta ricerca è un totale rove­scia­mento del canone sta­bi­lito fino dal 1954 da Arse­nio Fru­goni nel suo fon­da­men­tale Arnaldo da Bre­scia nelle fonti del secolo XII. Appre­stan­dosi a una bio­gra­fia del noto ma enig­ma­tico rifor­ma­tore dell’età del Bar­ba­rossa, Fru­goni insi­steva con argo­menti del tutto con­vin­centi e insu­pe­rati sul fatto che la vita di qual­cuno è irri­co­strui­bile attra­verso il pat­ch­work delle fonti che lo riguar­dano, come invece si fa troppo spesso. Veris­simo, senon­ché, obietta in modo del tutto con­vin­cente Marina Mon­te­sano, «il caso del Milione sem­bra più atti­nante all’apologo dei tre anelli: nes­suno sa qual è il vero, ma pro­ba­bil­mente c’è una parte di verità in ognuno di essi. Giu­stap­porli sarebbe errato, ma sfrut­tarne le varianti è essen­ziale, in assenza di un testo poliano auto­grafo, per rico­struire la ric­chezza della fonte». 


Difatti, non solo non sap­piamo se dav­vero e fino a che punto alla ste­sura del libro con­tri­buì un roman­ziere pisano com­pa­gno di pri­gio­nia di Marco a Genova, Rusti­chello; ma igno­riamo anche in quale idioma o miscu­glio di idiomi si svolse la det­ta­tura del testo da parte di que­gli a que­sti, o se si trattò piut­to­sto di un dialogo-collaborazione tra i due. L’autografo rusti­chel­liano non esi­ste; sap­piamo che esso fu redatto in fran­coi­ta­liano, ma noi ne abbiamo altresì testi in fran­cese d’oil, in vene­ziano, in toscano e in altri vol­gari; non­ché almeno due ver­sioni latine che paiono molto impor­tanti.
Bestiari fan­ta­stici
L’autrice, gio­cando sapien­te­mente e abil­mente tra que­ste varianti sul rispet­tivo valore delle quali siamo incerti, ci pro­pone alla fine una sapiente, ric­chis­sima deco­stru­zione testuale che approda auer­ba­chia­na­mente a una pro­po­sta d’ipotetica rico­stru­zione iper­te­stuale. Eric Auer­bach ci ha difatti inse­gnato che all’unicità di un testo – e in que­sto caso l’Urtext ci è ignoto e pos­siamo con­si­de­rarlo irre­cu­pe­ra­bile – può cor­ri­spon­dere una plu­ra­lità di opere, in que­sto caso le sin­gole versioni. 
Con que­ste pre­messe, l’originale rilet­tura dell’opera poliana è let­te­ral­mente inde­scri­vi­bile, nel senso eti­mo­lo­gico del ter­mine. Que­sto bel­lis­simo libro va letto tutto, da cima a fondo. Dall’attento, ric­chis­simo pano­rama di un macro­con­ti­nente eura­sia­tico medie­vale con­teso tra nomadi e seden­tari al mosaico etno­re­li­gioso dell’impero mon­golo fino all’indagine appro­fon­dita sulle cul­ture scia­ma­ni­che con scon­vol­genti sco­perte, come il signi­fi­cato recon­dito dei sui­cidi rituali e del rito del «matri­mo­nio fra gio­vani morti». E ancora i costumi ses­suali – su cui Marco insi­ste con un’attenzione degna di un Paolo Man­te­gazza -, le fon­tane di fuoco, le leg­gende del «Prete Gianni» e del «Veglio della Mon­ta­gna», il bestia­rio rea­li­stico (con la demi­tiz­za­zione dello splen­dido uni­corno che diventa un brutto e grosso rino­ce­ronte) che con­tiene pagine ina­spet­tate, come una cac­cia alla balena da far con­cor­renza a Her­man Mel­ville e descri­zioni veri­di­che sì, ma da far invi­dia ai bestiari fan­ta­stici (anda­tevi a sco­prire che cosa sono i «papioni» e i «gatti-pauli»); e poi la fasci­na­zione per le città di una Cina già allora popo­la­tis­sima e ricca, per l’India dei misteri e della magia, per un’economia tanto più «moderna» (e non sem­pre in modo posi­tivo: si vedano le osser­va­zioni a pro­po­sito della carta mon­tea) rispetto a quella occi­den­tale. Insomma, una ricerca rigo­ro­sa­mente scien­ti­fica, un appa­rato eru­dito da far paura (ma, tran­quil­liz­za­tevi, rele­gato in note a fine volume) e una let­tura affa­sci­nante e diver­tente. Una volta tanto, dicia­molo: un bel libro.

Un Marco Polo di forte autenticità
8 mar 2015 Il Sole 24 Ore
Sentinelle che scrutano orizzonti deserti in attesa di un nemico che sembra esserci sempre e non giungere mai. Messaggeri che smarriscono nei labirinti del palazzo reale la via e il senso del compito che gli è stato affidato. Imperatori che provano a riempire di saggezza un potere che non riesce a vincere – come avrebbero voluto, come avevano creduto – le loro angosce più profonde. Questo è l’immaginario dell’Oriente costruitosi nella cultura dell’Occidente da Byron a Ezra Pound, da Coleridge a Italo Calvino via via che l’Europa perdeva, dentro di sé, ogni incanto e allontanava da sé, oltre il Sud, oltre il Mediterraneo, i luoghi dove far abitare le proprie domande più inquietanti.
CORBIS In quale misura questo fosse un Oriente se non vero almeno verosimile è il tema implicito, sotto traccia, di una biografia di Marco Polo condotta non solo con straordinaria intelligenza filologica, ma con ammirevole capacità di definizione del contesto, storico, culturale, antropologico dentro il quale si muovono un’impresa e la sua narrazione diventate leggendarie già nel loro stesso farsi. Come il lettore fa presto ad accorgersi non si tratta di un banale «Marco Polo aveva ragione», anche se in molti momenti – come accade ad esempio nel bel capitolo sulla geografia di Marco Polo – la giusta preoccupazione dell’autrice è quella di sottrarre, appunto, il viaggiatore veneziano ad un’aura leggendaria restituendo il suo racconto alle verità di fatto, alle notizie autentiche e preziose di cui esso abbonda assai più di quanto si possa talvolta credere.
Il libro è, in questo senso, assai più sottile, fondato com’è sull’equilibrio, annunciato quasi da subito tra il viaggio di Marco Polo (e dunque lo stesso Marco Polo) come un unicum nel suo tempo e nel quadro assai più vasto delle relazioni e delle conoscenze tra Oriente e Occidente, e l’esistenza di una trama, appunto, assai solida di rapporti tra queste due parti del mondo che impedisce di fare di quel viaggio una avventura romantica (l’aggettivo è qui intenzionale) in terre misteriose. Dunque un Marco Polo tutto dentro la storia. La storia, in primo luogo, della sua città, che nel momento in cui egli, e con lui il padre e lo zio, si decide alla partenza, sta vivendo una fase delicata di passaggio tra la possibile minaccia, da un lato, di un declino do-
| Marco Polo salpa da Venezia; manoscritto del tardo XV secolo appartenente alla collezione della Bodleian Library, Oxford vuto all’ascesa, nella penisola italiana, della potenza pisana prima e genovese poi, e le prospettive vantaggiose che le si aprono, dall’altro lato, se essa saprà ben inserirsi nei profondi mutamenti di forza che si stanno determinando nel Mediterraneo orientale, ma soprattutto, al di là di esso nell’Asia centrale e in Cina. Marco Polo, con la sua famiglia, è, da questo punto di vista, la punta più avanzata di una capacità di innovazione che il commercio veneziano mostra sul finire del Tredicesimo secolo, capace (come oggi tante volte ci auguriamo che accada per il made in Italy) di risolvere una crisi nei mercati di origine in una scoperta e in un durevole e vantaggioso riposizionamento su nuovi mercati.
E poi c’è la storia di Kublai e dell’Impero mongolo colto nel suo momento di maggiore splendore, quando la conquista dello spazio cinese non è più solo un gesto di forza militare, ma di costruzione politica e di espressione culturale. Intorno, infine, le storie solo apparentemente minori che toccano la Palestina e la Persia, l’India e la penisola araba, che parlano delle ambizioni evangelizzatrici della Chiesa di Roma come delle risposte segnate da un originale sincretismo religioso che Marco Polo ritrova, si può dire, a ogni tappa del suo itinerario.
In tanta storia si sbaglierebbe a credere che non vi sia più spazio per la leggenda. Al contrario, miti, credenze, false narrazioni e frammenti di vere notizie si intrecciano fittamente nella trama di questo viaggio. Si potrebbe, anzi, dire che la leggenda è essa stessa storia, nella misura in cui si trova a campeggiare al centro di spazi, di popoli, di culture dove il mito è fonte e forma della conoscenza. Indovini, sciamani, credenze, riti, non sono meno autentici (o se si preferisce più falsi) di quanto possa essere il favoloso mondo degli animali descritti da Marco Polo. Liocorni, coccodrilli, grifoni, di cui queste bellissime pagine si preoccupano giustamente non di spiegare perché fossero costruzioni fasulle, ma perché esse fossero creature vere, prodotte da un mondo che le riteneva e agiva come se tali fossero, fondato com’era su una scarsezza costitutiva di informazioni e su un paradigma scientifico assai diverso da quello al quale noi oggi siamo disposti a far fede.
Straordinario è, in questa prospettiva, il capitolo dedicato alla “economia alchemica” che altro non è che l’economia fondata sulla carta moneta e non sui metalli preziosi che l’Imperatore mongolo ha imposto nei suoi domini. Il Gran Khan, spiega Marco Polo, obbliga i sudditi che posseggono oro, argento, perle, pietre preziose, a cederlo a lui ricevendone in cambio, secondo una proporzione da lui stesso fissata, delle carte nere che egli ottiene «dalla scorza di un albore che ha nome gelso». Questo avviene in modo preciso e ordinato «in tal maniera – conclude il racconto – che l’uomo puote ben dire che “l Grande Sire àe l’alchimia perfettamente”». Leggenda di Faust che, inattesa e inconsapevole, nasce nella Cina di Kublai o storia della economia monetaria che sempre in quella Cina trova le sue origini? Il racconto di Marco Polo consente entrambe le strade e in ciò si conferma una delle più straordinarie avventure che si possano vivere e una delle più seducenti letture che si possano consigliare.

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