
Marina Montesano:
Marco Polo, Salerno edizioni
Risvolto
La fama planetaria del "Milione" ha dato
origine a una bibliografia smisurata a fronte della quale i profili
biografici di Marco Polo sono pochi. Colpa dei dati oggettivi scarni che
abbiamo sul personaggio. Sappiamo che rimase in viaggio, lontano da
Venezia per circa 25 anni, ma all'interno di quel periodo della sua vita
poche sono le scansioni cronologiche sicure. Gli studi filologici e
storici hanno portato ad affinare le nostre conoscenze sul testo, e
quindi indirettamente, sul suo autore, ma il "Milione" resta un libro
misterioso. È un diario di viaggio? Un mélange di fantastico e di reale?
È un testo di pratica di mercatura arricchito dalla prosa del
Rustichello? Per rispondere a queste domande partiremo dal contesto
originario del veneziano: il Mediterraneo nella seconda metà del
Duecento e lo seguiremo in viaggio, lungo la via della seta, fino alla
Cina e all'India. Ripercorreremo con lui i luoghi che visitò per
scoprire uno sguardo molto più attento alla realtà di quanto non si
creda; uno sguardo che non si soffermava solo sulle merci e le
ricchezze, ma che comunicava all'Occidente particolari inediti
sull'antropologia, i costumi, i riti, delle società osservate. Se ancora
oggi emergono dubbi sulla realtà del viaggio di Marco Polo, la
posizione di questo libro è chiara: il veneziano visitò l'Asia e la
descrisse come nessuno aveva mai fatto prima di lui. E poiché la vita è
un viaggio, il viaggio di Marco Polo sarà la sua biografia.
Il rompicapo del mercante
Saggi. «Marco Polo» di Marina Montesano, pubblicato da Salerno edizioni. Un libro che indaga sulla biografia del grande viaggiatore e fa entrare il lettore nei rituali medievali del macrocontinente euroasiatico
Franco Cardini, il Manifesto 3.12.2014
Della vita di Marco Polo, il grande viaggiatore veneziano, sappiamo poco e a meno di un qualche miracoloso ritrovamento documentario (e sono miracoli che pur succedono, quando si frequentano gli archivi) continueremo a saperne poco. Al riguardo, ci restano sì e no una decina di carte sicure, tra cui un testamento e una lista di beni che include alcune cose portate dall’Oriente. Al contrario sappiamo, o ci sembra di sapere, moltissime cose della sua opera, quella che gli italiani conoscono col generico, insicuro e convenzionale titolo Il Milione e che pare sia uno dei libri più letti al mondo.
Non è una biografia
Stretta in questo paradosso – un autore semignoto, un’opera arcinota -, la «questione poliana» è ormai da molti decenni una faccenda intricatissima che nulla ha da invidiare in complessità alla «questione omerica» e che ha fatto versare i rituali fiumi d’inchiostro e riempito i non meno rituali chilometri di scaffali. Ora, non vogliamo certo sostenere che il Marco Polo di Marina Montesano (Salerno Edizioni, 2014, pp. 333, euro 22) sia proprio la spada di Alessandro in grado di recidere questa specie di «nodo di Gordio» della nostra letteratura medievale e di tutta la filologia contemporanea: ma certo ci va vicino. A onta del titolo, non è una biografia del mercante e viaggiatore veneziano, per quanto gli ingredienti biografici vi siano tutti. E non è nemmeno un’esposizione e/o una «rivisitazione critica» della sua opera, tantopiù che uno dei punti più affascinanti e divertenti di questo libro è proprio la decostruzione di quello che impropriamente si considera il suo titolo, e dell’identità del suo autore, o magari dei suoi coautori. E, badate, siamo dinanzi a tutt’altro che a un testo inesistente o fittizio: al contrario, siamo dinanzi a un libro che esiste fin troppo; magari fino a presentarsi come ben più di uno. Anzi, qui sta la chiave del puzzle.
Marina Montesano, docente nell’Università di Messina e in quella del San Raffaele di Milano, è una medievista con una buona formazione di storica attenta alle questioni sia filologiche sia antropologiche, è ben conosciuta – oltre che come elzevirista de il manifesto – anche per i suoi studi sulla cristianizzazione dell’Europa, sulla cultura folklorica medievale e sulla stregoneria. Allieva di Anthony Molho alla Brown University del Rhode Island, ha al suo attivo una densa ricerca storico-antropologica sulla novellistica trecentesca toscana: e già questo la predisponeva da tempo all’incontro con l’opera poliana, o quanto meno con le sue versioni appunto in volgare toscano. Insomma, sembrava la candidata ideale per scrivere una vita di Marco Polo da inserire nella prestigiosa collana «Profili» a suo tempo fondata da Luigi Firpo e diretta adesso da Giuseppe Galasso, Andrea Giardina e Gherardo Ortalli. Una codirezione di tre studiosi tanto illustri, ma anche così diversi tra loro per indirizzi scientifici, era fatta apposta – e va detto – per accogliere una monografia come questa, ch’è tutto meno che historically correct.
Perché, in realtà, Montesano sembra dimostrare che: primo, una biografia di Marco Polo, poche e nemmeno sempre rilevanti notizie documentaristicamente «sicure» a parte, non esiste se non ricavabile in filigrana dalla sua opera; secondo, non è affatto certo che pure quest’opera esista, o meglio che sia sul serio «sua» (anche se, alla fine, si scopre che l’autrice sostiene — fieramente — appunto la paternità poliana di qualcosa che invero esiste eccome).
Un puzzle di fonti
Proviamo a spiegarci meglio. L’assunto di partenza di questa ricerca è un totale rovesciamento del canone stabilito fino dal 1954 da Arsenio Frugoni nel suo fondamentale Arnaldo da Brescia nelle fonti del secolo XII. Apprestandosi a una biografia del noto ma enigmatico riformatore dell’età del Barbarossa, Frugoni insisteva con argomenti del tutto convincenti e insuperati sul fatto che la vita di qualcuno è irricostruibile attraverso il patchwork delle fonti che lo riguardano, come invece si fa troppo spesso. Verissimo, senonché, obietta in modo del tutto convincente Marina Montesano, «il caso del Milione sembra più attinante all’apologo dei tre anelli: nessuno sa qual è il vero, ma probabilmente c’è una parte di verità in ognuno di essi. Giustapporli sarebbe errato, ma sfruttarne le varianti è essenziale, in assenza di un testo poliano autografo, per ricostruire la ricchezza della fonte».
Difatti, non solo non sappiamo se davvero e fino a che punto alla stesura del libro contribuì un romanziere pisano compagno di prigionia di Marco a Genova, Rustichello; ma ignoriamo anche in quale idioma o miscuglio di idiomi si svolse la dettatura del testo da parte di quegli a questi, o se si trattò piuttosto di un dialogo-collaborazione tra i due. L’autografo rustichelliano non esiste; sappiamo che esso fu redatto in francoitaliano, ma noi ne abbiamo altresì testi in francese d’oil, in veneziano, in toscano e in altri volgari; nonché almeno due versioni latine che paiono molto importanti.
Bestiari fantastici
L’autrice, giocando sapientemente e abilmente tra queste varianti sul rispettivo valore delle quali siamo incerti, ci propone alla fine una sapiente, ricchissima decostruzione testuale che approda auerbachianamente a una proposta d’ipotetica ricostruzione ipertestuale. Eric Auerbach ci ha difatti insegnato che all’unicità di un testo – e in questo caso l’Urtext ci è ignoto e possiamo considerarlo irrecuperabile – può corrispondere una pluralità di opere, in questo caso le singole versioni.
Con queste premesse, l’originale rilettura dell’opera poliana è letteralmente indescrivibile, nel senso etimologico del termine. Questo bellissimo libro va letto tutto, da cima a fondo. Dall’attento, ricchissimo panorama di un macrocontinente eurasiatico medievale conteso tra nomadi e sedentari al mosaico etnoreligioso dell’impero mongolo fino all’indagine approfondita sulle culture sciamaniche con sconvolgenti scoperte, come il significato recondito dei suicidi rituali e del rito del «matrimonio fra giovani morti». E ancora i costumi sessuali – su cui Marco insiste con un’attenzione degna di un Paolo Mantegazza -, le fontane di fuoco, le leggende del «Prete Gianni» e del «Veglio della Montagna», il bestiario realistico (con la demitizzazione dello splendido unicorno che diventa un brutto e grosso rinoceronte) che contiene pagine inaspettate, come una caccia alla balena da far concorrenza a Herman Melville e descrizioni veridiche sì, ma da far invidia ai bestiari fantastici (andatevi a scoprire che cosa sono i «papioni» e i «gatti-pauli»); e poi la fascinazione per le città di una Cina già allora popolatissima e ricca, per l’India dei misteri e della magia, per un’economia tanto più «moderna» (e non sempre in modo positivo: si vedano le osservazioni a proposito della carta montea) rispetto a quella occidentale. Insomma, una ricerca rigorosamente scientifica, un apparato erudito da far paura (ma, tranquillizzatevi, relegato in note a fine volume) e una lettura affascinante e divertente. Una volta tanto, diciamolo: un bel libro.
Un Marco Polo di forte autenticità
8 mar 2015 Il Sole 24 Ore
Sentinelle che scrutano orizzonti deserti in attesa di un nemico che
sembra esserci sempre e non giungere mai. Messaggeri che smarriscono nei
labirinti del palazzo reale la via e il senso del compito che gli è
stato affidato. Imperatori che provano a riempire di saggezza un potere
che non riesce a vincere – come avrebbero voluto, come avevano creduto –
le loro angosce più profonde. Questo è l’immaginario dell’Oriente
costruitosi nella cultura dell’Occidente da Byron a Ezra Pound, da
Coleridge a Italo Calvino via via che l’Europa perdeva, dentro di sé,
ogni incanto e allontanava da sé, oltre il Sud, oltre il Mediterraneo, i
luoghi dove far abitare le proprie domande più inquietanti.
CORBIS
In quale misura questo fosse un Oriente se non vero almeno verosimile è
il tema implicito, sotto traccia, di una biografia di Marco Polo
condotta non solo con straordinaria intelligenza filologica, ma con
ammirevole capacità di definizione del contesto, storico, culturale,
antropologico dentro il quale si muovono un’impresa e la sua narrazione
diventate leggendarie già nel loro stesso farsi. Come il lettore fa
presto ad accorgersi non si tratta di un banale «Marco Polo aveva
ragione», anche se in molti momenti – come accade ad esempio nel bel
capitolo sulla geografia di Marco Polo – la giusta preoccupazione
dell’autrice è quella di sottrarre, appunto, il viaggiatore veneziano ad
un’aura leggendaria restituendo il suo racconto alle verità di fatto,
alle notizie autentiche e preziose di cui esso abbonda assai più di
quanto si possa talvolta credere.
Il libro è, in questo senso, assai più sottile, fondato com’è
sull’equilibrio, annunciato quasi da subito tra il viaggio di Marco Polo
(e dunque lo stesso Marco Polo) come un unicum nel suo tempo e nel
quadro assai più vasto delle relazioni e delle conoscenze tra Oriente e
Occidente, e l’esistenza di una trama, appunto, assai solida di rapporti
tra queste due parti del mondo che impedisce di fare di quel viaggio
una avventura romantica (l’aggettivo è qui intenzionale) in terre
misteriose. Dunque un Marco Polo tutto dentro la storia. La storia, in
primo luogo, della sua città, che nel momento in cui egli, e con lui il
padre e lo zio, si decide alla partenza, sta vivendo una fase delicata
di passaggio tra la possibile minaccia, da un lato, di un declino do-
| Marco Polo salpa da Venezia; manoscritto del tardo XV secolo
appartenente alla collezione della Bodleian Library, Oxford vuto
all’ascesa, nella penisola italiana, della potenza pisana prima e
genovese poi, e le prospettive vantaggiose che le si aprono, dall’altro
lato, se essa saprà ben inserirsi nei profondi mutamenti di forza che si
stanno determinando nel Mediterraneo orientale, ma soprattutto, al di
là di esso nell’Asia centrale e in Cina. Marco Polo, con la sua
famiglia, è, da questo punto di vista, la punta più avanzata di una
capacità di innovazione che il commercio veneziano mostra sul finire del
Tredicesimo secolo, capace (come oggi tante volte ci auguriamo che
accada per il made in Italy) di risolvere una crisi nei mercati di
origine in una scoperta e in un durevole e vantaggioso riposizionamento
su nuovi mercati.
E poi c’è la storia di Kublai e dell’Impero mongolo colto nel suo
momento di maggiore splendore, quando la conquista dello spazio cinese
non è più solo un gesto di forza militare, ma di costruzione politica e
di espressione culturale. Intorno, infine, le storie solo apparentemente
minori che toccano la Palestina e la Persia, l’India e la penisola
araba, che parlano delle ambizioni evangelizzatrici della Chiesa di Roma
come delle risposte segnate da un originale sincretismo religioso che
Marco Polo ritrova, si può dire, a ogni tappa del suo itinerario.
In tanta storia si sbaglierebbe a credere che non vi sia più
spazio per la leggenda. Al contrario, miti, credenze, false narrazioni e
frammenti di vere notizie si intrecciano fittamente nella trama di
questo viaggio. Si potrebbe, anzi, dire che la leggenda è essa stessa
storia, nella misura in cui si trova a campeggiare al centro di spazi,
di popoli, di culture dove il mito è fonte e forma della conoscenza.
Indovini, sciamani, credenze, riti, non sono meno autentici (o se si
preferisce più falsi) di quanto possa essere il favoloso mondo degli
animali descritti da Marco Polo. Liocorni, coccodrilli, grifoni, di cui
queste bellissime pagine si preoccupano giustamente non di spiegare
perché fossero costruzioni fasulle, ma perché esse fossero creature
vere, prodotte da un mondo che le riteneva e agiva come se tali fossero,
fondato com’era su una scarsezza costitutiva di informazioni e su un
paradigma scientifico assai diverso da quello al quale noi oggi siamo
disposti a far fede.
Straordinario è, in questa prospettiva, il capitolo dedicato alla
“economia alchemica” che altro non è che l’economia fondata sulla carta
moneta e non sui metalli preziosi che l’Imperatore mongolo ha imposto
nei suoi domini. Il Gran Khan, spiega Marco Polo, obbliga i sudditi che
posseggono oro, argento, perle, pietre preziose, a cederlo a lui
ricevendone in cambio, secondo una proporzione da lui stesso fissata,
delle carte nere che egli ottiene «dalla scorza di un albore che ha nome
gelso». Questo avviene in modo preciso e ordinato «in tal maniera –
conclude il racconto – che l’uomo puote ben dire che “l Grande Sire àe
l’alchimia perfettamente”». Leggenda di Faust che, inattesa e
inconsapevole, nasce nella Cina di Kublai o storia della economia
monetaria che sempre in quella Cina trova le sue origini? Il racconto di
Marco Polo consente entrambe le strade e in ciò si conferma una delle
più straordinarie avventure che si possano vivere e una delle più
seducenti letture che si possano consigliare.